Da un Documento del  Cuib Mikis Mantakas tratto da un articolo di Ciaoeuropa http://www.ciaoeuropa.it/ 

La femminilità,

tra mito e tragica realtà!

 

Da diverso tempo intendevamo discorrere su un argomento complesso e profondo, allo stesso tempo, com’è la femminilità, nei suoi rapporti metastorici e simbolici col mondo della Tradizione e nei legami problematici con la quotidianità decadente dell’esistenza moderna, e finalmente ne abbiamo la possibilità, non prevaricando le “competenze” dell’altrui sesso, ma essendo “ispirati” in un’analisi morfologica del mito della donna e patologica della sua attualità, da colei che ci sta vicino in ogni istante della nostra vita, nella lotta e nella fede, e che, per noi, rappresenta il simbolo vivente della donna “in piedi tra le rovine”. La presenza femminile nella storia dell’umanità è sempre stata caratterizzata da un ruolo fondamentale, non secondario, ma glorioso, di una polarità insostituibile nello sviluppo degli accadimenti mitici e storici che tutte le tradizioni serbano in sé, e che solo l’odio profondo per qualsivoglia altezza e per la Verità, da parte delle ideologie illuministe e liberal-massoniche della sovversione, ha potuto trasmutare in ombre, in presenze sommesse ed oscure, in storie minute di sottomissione. Si è dimenticato o si vuol far dimenticare il potere femminile che da sempre, manifestamente o in maniera sotterranea, agisce attraverso simboli e leggende, che, incredibilmente per chi ignora o non riconosce l’universalità della Tradizione, si ritrovano in situazioni storiche e luoghi geografici diversi e distanti. Crediamo che, non arbitrariamente, sia possibile associare la donna al valore simbolico dell’acqua, cioè ad un’idea di rigenerazione, di vita, di protezione – si ricordi come uno dei due volti di Giano, divinità romana, sia femmina e stia a rappresentare il potere temporale, la casta dei guerrieri, cioè coloro che sono deputati alla difesa della dottrina -, di maternità universale, che solo in alcuni casi, come si esplicita nel significato delle acque inferiori, assume una valenza di degenerescenza spirituale, di scatenamento di forze infere e ctonie, di sovversione amazzone. Nell’organicità tradizionale varie sono le forme assunte da tale polarità fondamentale e complementare, non opposta o inferiore a quello che è il centro maschile, avendo come archetipo primo, dalla sfera metafisica a quella mitica, il simbolismo della Luna rispetto al Sole. Nella tradizione indù troviamo Prakriti, la sostanza primordiale che attende il sigillo di Purusha, il principio attivo, l’essenza, per dar vita alle indefinite forme della manifestazione; parimenti, nella tradizione estremo-orientale è possibile riscontrare la complementarietà dello yin, elemento femminile e passivo, e dello yang, elemento maschile ed attivo, che si esplicita nel simbolo che erroneamente viene definito “del bene e del male”. Come non ricordare, inoltre, che sempre nel taoismo l’Uomo rappresenta la coincidentia oppositorum tra il Padre Cielo e la Madre Terra. Nella Cristianità tale è il senso della Vergine Madre di Dio, dello Spirito Santo che tutto consola e rigenera, e della figura di Maria Maddalena, così ignorata dall’ufficialità ecclesiastica, ma così giustamente apprezzata dalla tradizione gnostica e dalla letteratura apocrifa. Medesime considerazioni si posso concettualizzare se da un ambito d’analisi metafisica si passa ad un’interpretazione dei miti e delle leggende, presenti nelle più diverse tradizioni. Si rammenti la Teogonia esiodea, nella quale Urano, la potestà celeste, è sposo di Gea, la Terra, la quale in ogni modo cerca di difendere Zeus, suo figlio, dalla volontà omicida del padre: ritorna l’idea di protezione e di maternità universale. Identica è la valenza simbolica del mito di Iside, origine dell’universo, vergine, sposa, signora della natura, incarnazione del principio vitale e generatore, che raccoglie e ricompone il corpo di Osiride, fatto a pezzi dall’usurpatore Seth. E’ all’aspetto lunare a cui facciamo esplicito riferimento, alle leggi nascoste che governano l’universo, che gestiscono il contatto con la natura e la dominano – potere che fu spesso attribuito alle “streghe” – e che hanno, per esempio, in Demetra o in Artemide le proprie rappresentazioni numeniche, speculari all’aspetto solare, identificato nelle divinità di Helios e Apollo. A questo punto riteniamo che sia essenziale porre in essere una precisa e decisa chiarificazione sul come ortodossamente si debba intendere quel complesso di riti, simboli, miti e rivelazioni, che alla figura femminile fanno principalmente riferimento, sottolineando con fermezza la differenza tra forme di adattamento cicliche e forme di pura sovversione, come già abbiamo accennato in precedenza. Avendo chiarito, crediamo in maniera esauriente, il giusto rapporto di relazione e gerarchia dell’aspetto femmineo e lunare con quello maschile e solare e la sua reale valenza simbolica e spirituale, è fondamentale comprendere come, col trascorrere delle ere e la conseguente solidificazione del manifestato, fosse necessario un adattamento delle forme tradizionali in una direzione di riconquista dello stato edenico primordiale e, quindi, di quell’idea di rinascita associata alla donna. Tale processo – è bene ribadirlo con forza – esplicita un mutamento delle forme e non un’inversione dell’essenza tradizionale, che conserva sempre, al di là di ogni contingenza temporale e spaziale, la propria immutabilità. A coloro che sono ignare vittime di tale confusione, ricordiamo come, in saghe, leggende, miti di varie tradizioni, la ritrovata primordialità sia associata alla conquista amorosa di una donna, che simboleggia la Sophia, la Conoscenza: abbiamo già scritto di Iside ed Osiride e similmente sono i simbolismi legati alle pratiche tantriche, all’eros platonico, che ha come fine ultimo la ricomposizione dell’Androgino originario, fino a rammentare la figura dantesca di Beatrice o quella petrarchesca di Laura. La femminilità ha, poi, anche una sua immagine potente e terribile, come quella delle dee telluriche e ctonie, delle grandi “madri nere”, di Kalì, di Astarte, della ribelle Lilith, delle divinità sotterranee come Ecate, annunziata dal latrare dei cani. In tale poliedricità si presenta la donna nel mondo della Tradizione, ad un’analisi metafisica e mitica, e non come un costume, una moda, coacervi di regole dettate dal pensiero unico del neocapitalismo, che tutto omologa e che ogni essere umano, donna o uomo che sia, trasforma in semplice fruitore del mercato arrogante ed invadente. In quest’epoca di “schiavi senza Signoria”, in cui la parità dei sessi si esplicita nell’eguale asservimento ai “principi” del profitto e del consumo, parlare di femminilità è difficile, non potendone più riscontrare le caratteristiche peculiari. La donna, tradizionalmente intesa, trasmuta in potenza la devozione, la maternità, la libera fedeltà ad un destino modellato su un ordine cosmico; il femminismo moderno, invece, ammalato di sessuofobia, vieta la virilità olimpica e la femminilità eterica o demetrica, vietando, cioè, la differenziazione polare, spirituale e corporale tra i sessi, snervando completamente il senso dell’attrazione e del magnetismo. Nella società moderna, in cui tale dissacrazione è pacificamente accettata, in cui “propter vitam vitai perdere causas”, in cui la perdita non solo dei valori, ma del centro che li produce, come notava in un famoso passo dell’Antropologia Emanuel Kant, è totale, per l’uomo e la donna “differenziati”, è necessario comprendere le seguenti riflessioni di Julius Evola: “Mentre l’etica tradizionale chiedeva all’uomo ed alla donna di essere sempre più se stessi, di esprimere con tratti sempre più decisi ciò che fa dell’uomo un uomo, dell’altra una donna – ecco che la civiltà nuova volge il livellamento, verso l’informe, verso uno stadio che invero non sta al di là, ma al di qua dell’individuazione e della differenza dei sessi”.

 

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