27 gennaio 1985

Marco (1,14-20) III^ fra l'Anno

[ buddista · cancro · chiesa · conversione · convivenza · disoccupazione · diversità · evangelizzazione · fine · giona · giovanni battista · indù · lavoro · lebbra · marco · musulmano · ninive · poveri · proselitismo · protestante · religioni · ricerca · rivelazione · rivoluzione ]

A titolo di apertura mi sembra curioso l'episodio di Giona profeta, sul quale in un primo momento avevo pensato di accentrare la mia predica. Giona che cosa dice? "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta". Ora, egli credeva veramente che la città sarebbe stata distrutta. E quando Dio prende compassione di quella gente che si converte, il nostro caro Giona si adonta. Perché lui non voleva la conversione di Ninive; lui voleva vedere la distruzione di Ninive. Questa è la pesantezza dell'episodio, che qui è certamente soltanto adombrato, e vi è il nucleo che non serve a capire quello che vi ho detto. Quindi, attenzione a questa mentalità maledetta che distingue il mondo in due, noi i buoni, gli altri i cattivi; e poi non è che a noi prema la conversione degli altri, a noi preme la distruzione degli altri. In questo caso, surrettiziamante, saremmo dei marxisti (ecco, a titolo di consolazione, per coloro che amano la polemica con gli altri).

Questo Evangelo di Marco è un po' diverso da quello di Giovanni, il quale -se ricordate- diceva che Gesù esercitò la sua attività contemporaneamente a Giovanni Battista; qui invece si dice che Gesù inizia a predicare in Galilea, dopo l'arresto di Giovanni. Vedete? Anche qui, modi diversi di vedere il personaggio. Gesù -questo resta il punto fermo- non inizia a Gerusalemme, ma in provincia, lontano dal centro del potere. E non annuncia il regno di Dio (era già un concetto noto); dice che è vicino. Che cosa vuol dire questo? Ricordate, qualche anno fa? Pare che qualcuno l'avesse scritto anche davanti alla nostra chiesa, si diceva: "La Cina è vicina". Lo ricordate? Ora, questo voleva dire: 'la rivoluzione è vicina', 'un modo nuovo di strutturare la società è vicino'. Concretizza l'ansia di rinnovamento, ma il rinnovamento di cui egli parla è diverso da quello che storicamente noi conosciamo. Il dire che il Regno di Dio è vicino è da paragonarsi appunto a quella frase 'la Cina è vicina', e non per esempio a un annuncio apocalittico, la descrizione delle ultime cose, 'oramai siamo vicini alla fine del mondo'... certo non è da interpretare a questo modo, potete immaginare. Almeno come linea di principio; appena nato verrebbe a dire che oramai siamo alla chiusura. Forse anche san Paolo, nella lettera ai Corinzi, cade in questa... sì, è vero sotto un certo profilo, che coloro che sono sposati, come coloro che non lo sono... è vero; ma non è più vero in questa maniera di concepire la fine imminente del mondo. Oppure, secondo alcuni, il ritorno di Israele all'antico splendore. 'Il Regno di Dio è vicino'. Vedete? tutti coloro che hanno dei proclami di rinnovamento, hanno sempre qualche punto di riferimento. Nulla di tutto questo. In Marco, Gesù come Battista nega che il Giudeo in quanto tale abbia particolari prerogative davanti a Dio. Ecco Giona, la mentalità di Giona sconfessata. Anzi, al giudizio dovrà vergognarsi persino di fronte ai pagani. Perché con la venuta di Gesù non esistono più queste distinzioni; esistono soltanto gli uomini di fronte a lui, per i quali tutti ci vorrà la conversione. E non è che questi siano i buoni e questi i cattivi, ma tutti cattivi di fronte al suo messaggio.

Ora, non si sa perché dobbiamo contrapporci sempre a qualcuno, quando invece dovremmo misurarci con Cristo. O ci convertiamo a lui, o diversamente saremo sempre nella tentazione di convertire gli altri a noi, partendo dal presupposto che noi siamo nella Verità, o addirittura siamo la Verità. Sicchè, o la conversione è un appello alla natura umana in quanto tale (senza guardare agli aggettivi di cui questa natura si ricopre), oppure è la presupposizione di un dualismo pregiudizievole per il fine che Cristo si propone predicandola (dico: predicando la conversione).

Adesso entriamo nel vivo di un discorso molto delicato. Vi chiedo un momento di attenzione, poi sarà più facile passare a qualche esemplificazione. Adesso mi misuro con dei concetti. Conversione: ma, quando udite questa parola, che cosa intendete? conversione al proprio gruppo religioso? ("Andiamo a convertire!" Chi? "I Musulmani" Chi? "In Africa, o nelle Americhe") Andate a convertire, chi? Questi signori, a chi? A voi. Al gruppo religioso. Ora, il proselitismo è quasi universalmente combattuto. Resta però una domanda: quale è la diversità tra proselitismo e evangelizzazione? Volete che io lo dica con una battura sarcastica? Eccola qui la diversità: evangelizzazione è ciò che facciamo noi; proselitismo ciò che fanno gli altri. Non vi mettete a ridere? "Eh, fanno del proselitismo" diciamo noi "in area musulmana". E loro, guardando noi, dicono: "Eh, fanno del proselitismo quei Cattolici". Ecco il significato di quella mia battura. Su questo tema -adesso entriamo ancora di più nel vivo della questione- vi dico la posizione Indù. Un Induista saggio, intelligente (non sto parlando dell'Indù popolare o volgare, come si suol dire; parlo di un Indù cólto) vi dirà: "La realtà è una. I saggi la chiamano con nomi differenti". La realtà è una, questo microfono per esempio: noi Italiani lo chiamiamo 'microfono', i Francesi lo chiameranno in un altro modo, i Tedeschi in un altro, gli Inglesi in un altro, e così via. Resta sospesa la domanda: ma quando si tratta di Dio? Siccome Dio non è una realtà che si tocca come il microfono, allora come minimo è un concetto. Qui si pongono problemi grossi, perché mentre i concetti noi li deriviamo dalla realtà, il concetto di Dio non lo deriviamo dalla realtà così come si derivano tutti gli altri concetti. Bisogna fare una serie di operazioni, nell'ipotesi; ma allora io adesso dovrei qui farvi una lezione sulla cosiddetta esistenza di Dio. E dovrei dirvi se è possibile... non è possibile... argomento affascinante, su cui avevo parlato una decina di anni fa, e adesso vorrei ritornarci unicamente per dire che probabilmente potrei esplicitarvi tutti i giochi della ragione attorno a questo gravissimo problema; ma il dirvi proprio "Venite qui ad ascoltarmi perché io adesso vi porterò le prove dell'esistenza ci Dio", certo questo non oserei più farlo. Allora vedete? Che, se è giusta questa proposizione "La realtà è una. I saggi la chiamano con nomi differenti", è proprio da chiedersi se Dio è una realtà 'una'. O se il modo di concepire Dio da parte di un Cristiano, da parte di un Musulmano, da parte di un Indù, non sia radicalmente diversa proprio per quel motivo che vi ho detto poc'anzi. Perché si tratta di un concetto strano, che non è derivato da alcuna realtà visibile o tangibile. Sicchè, il sincero Indù, che cosa farà sotto questo profilo? Raccomanderà al Cristiano, al Musulmano, e così via, di sforzarsi di diventare un migliore Cristiano, o un migliore Musulmano, o un migliore Buddista, e così via, piuttosto che far pressione su di lui per farlo diventare Indù. Ecco, posizione coerente e giusta. Ma adesso vediamo i problemi che ci stanno sotto. {...}

Questo atteggiamento è basato sulla credenza fondamentale che la realtà, a cui le diverse religioni danno nomi differenti, è di fatto la stessa. Il che -vi ho detto- non è. E che, tranne casi eccezionali, è meglio cercare quella realtà unica (Dio, poniamo) lungo il sentiero per cui si è stati preparati dalla propria educazione religiosa e culturale. Sicchè le cose in questa concezione resterebbero sempre le medesime. A livello concettuale c'è sempre più divaricazione e conflitto. Lo vedete anche voi: adesso ho visto che anche il cardinale Ratzinger comincia a rivedere le bucce sulla questione dell'ecumenismo... "Forse" dice "abbiamo detto troppo bene delle altre religioni. Bisogna adesso dire ancora che la Verità l'abbiamo noi e che l'altre sono nell'errore". Certo, certo impostando il problema in questo modo o in quell'altro eravamo fuori strada; ma il sottoscritto credo avesse già detto cose un poco più intelligenti sotto questo profilo. Eravamo fuori strada allora, lo siamo adesso con questa nuova presa di posizione, e lo saremo sempre fino a tanto che non si sono chiarite le cose, come io tenterò oggi, nella mia pochezza, di delineare.

Dicevo: a livello concettuale c'è sempre più divaricazione e conflitto tra le varie religioni. E poi -questa è la cosa sorprendente- a livello pratico (intendo: la vita sociale, le azioni di cui si occupa la macrosociologia, tanto per parlare in punta di forchetta) non si distingue l'uno dall'altro. Se vado in un negozio non distinguo una donna musulmana, da una Cristiana, da una Indù, non le distinguo. Soprattutto se fanno parte delle classi medio o delle classi superiori, non la distinguo. Le vedo tutte accanite allo stesso modo, per prendersi il miglior vestito, il miglio paio di scarpe, e così via, senza interessarsi di null'altro. Questo è un piccolo esempio. E se vado in una città, o Cristiana, o Musulmana, o Protestante, alla sera a partire dalle nove vado in un night club con una piccola macchina nascosta dentro un dito o nella mano, e, dopo avere fatto le varie fotografie, vado a indagare, indifferentemente troverò lì uno che è Cattolico, uno che è Protestante, uno che è Buddista, così via allo stesso modo. E non parliamo poi del mondo degli affari e del mondo della politica. Sicchè a livello concettuale quello scempio, sempre una maggiore divaricazione. Altro che l'oggetto unico! Sì, è Dio quell'oggetto unico? Vi ho detto attraverso quali peripezie bisognerà appunto indagarlo e trovarlo. Dunque la religione è causa di conflitti anziché di affratellamento. Quindi quei sentieri che l'Indù voleva rispettare (in buona fede, si capisce, non c'è altra alternativa) sono tutti sentieri sospetti. Perché sul piano concettuale si divaricano sempre più; sul piano pratico vanno tutti a finire nella medesima taverna (per usare la parola di Tommaseo).

Oggi, se si tolgono alcune frange di fanatismo, si presenta un problema più importante che non concepire la conversione come passaggio da una religione al Cristianesimo o viceversa. Attenzione, perché questo è un passaggio importante. Il problema, quale è? Il problema non è più quello di trovare (attenzione! adesso dirò che questa è la volontà di Cristo, è questo il concetto di conversione di Cristo) una collocazione storica dentro alla religione per avere la salvezza, perché tutte ve la predicano, tutte ve la predicano. Che cosa credete? ogni religione troverà certamente la maniera per dare all'individuo la forza per portare i suoi dispiaceri esistenziali. E anche qui, vogliamo la verifica? Troviamo nel mondo cattolico delle persone che si uccidono, oppure che vanno soggette a esaurimenti nervosi irrecuperabili, e ci si domanda: "E allora, la visione tua del mondo?"; dove, magari, nel mondo musulmano o nelle altre religioni non ci sono queste cose, oppure ci sono, allo stesso titolo. Ogni religione del mondo trova la maniera di predicare agli individui la forza per potere sopportare i mali della esistenza (e ne abbiamo parecchi, a partire dalla convivenza familiare, via via poi a tutta la convivenza sociale). Il problema dunque è quello di risolvere i problemi non risolti, la cui soluzione non è un fatto materialistico, ma dipende da cambiamento di mentalità, da una scelta spirituale. Vogliamo elencarli, questo problemi? così, a titolo di esemplificazione: la casa, il lavoro, la disoccupazione, la pace, la giustizia sociale, e vuoi quanto vuoi. Queste non sono fatalità simili al cancro, anche se escludo che il cancro sia una fatalità. Intendete quel che dico: escludo che anche quello sia una fatalità; e invece potrebbe essere una fatalità una legge fisica come quella di un terremoto, problema che dovrà essere poi risolto dal teista in un certo modo. Dunque siamo di fronte a rapporti di spiriti, dunque siamo di fronte a responsabilità spirituali.

Adesso facciamo due soli esempi: uno, la questione della disoccupazione; l'altro, la questione della lebbra (giacchè oggi dovrebbe essere appunto la giornata mondiale della lebbra). Ecco qui la mia opinione. Il problema della disoccupazione. In questa visione della conversione cristiana potrebbe essere risolto nel giro di ventiquattro ore. Esempio: quanti sono in Italia quelli che guadagnano una cifra che si aggira tra il milione e mezzo e i due milioni? (non vado tanto in su) quanti sono gli Italiani che guadagnano danari che stanno al di sotto di un milione? Parecchi, fratelli miei, parecchi. Allora, se è vero che ci sono due milioni, due e mezzo di disoccupati in questa bella Italia, se veramente credessimo nel medesimo Dio, se veramente credessimo nella rivoluzione di Gesù, che è poi la conversione a lui e al Vangelo, allora voi che cosa fareste? Io l'ho già detto ad alcuni miei colleghi. Io sono tra quelli... anch'io sono tra quelli che guadagnano... io lavoro all'università, tanto per intenderci... ecco qui che cosa sono pronto a fare. Se io guadagno la cifra che guadagno al di sopra del milione e mezzo, io la metto qui, tu la metti qui, tu la metti qui, tu a metti qui... siamo in quattro. Noi, in quattro, riducendoci al guadagno di un milione e mezzo diamo lavoro a una persona. Fate i vostri calcolo e poi vedrete che una decina di milioni che lavorano con questo guadagno, se si autotassassero ufficialmente, se rinunciassero a quelle duecentocinquantamila lire al di sopra di quello che guadagnano, insieme darebbero una cifra di un milione a una persona che è disoccupata, e in ventiquattro ore noi avremmo risolto il problema della disoccupazione. Ma tutto questo che cosa implica? Non certamente un'operazione meccanica, perché l'operazione meccanica la può fare una dittatura (e poi con delle riserve). Ma qui la può fare solo chi crede in Dio seriamente, cioè a dire: chi accetta la rivoluzione di Gesù, il concetto di conversione di Gesù.

{...} Lasciamo correre il problema.... o siete curiosi di sentire come voglio risolvere il problema della lebbra? Avanti, vi dico anche quello. L'altro giorno, vengon da me delle persone, "Lei è disposto a dare qualche cosa...?" "Cosa volete, io vi do... io vi do anche tutto lo stipendio...". Oramai, non è più questo il punto. Certo, Francesco di Assisi resta emblematico. Perché? Perché dando il bacio al lebbroso ha ricostituito una unità che era stata spezzata mediante concetti religiosi. Egli vuole dunque tenere l'emarginato all'interno -diciamo così- della società. Ma, ecco qui il punto. Io sono pronto a dare tutto il mio stipendio perché si formi un centro di ricerca sulla lebbra così come c'è un centro di ricerca sul cancro. Voi sapete che se avessimo speso per la ricerca sulla lebbra una decima parte di quello che spendiamo per la ricerca sul cancro, la lebbra sarebbe già sparita dalla faccia della Terra. Allora ecco che cosa vuol dire convertirsi. Non fare i piagnucolosi per dire "Ma diamo a questi poveri lebbrosi...". Che cosa date a questi poveri lebbrosi? Date nulla! a parte quelli che stanno loro vicino... si capisce, per lenire i loro dolori, per aiutarli e così via; io non discuto che questo sia un atto di eroismo. Ma la conversione di cui parla Gesù implica che noi si risolva il problema alla radice. Perché non si fa questo? perché non si fa questo centro di ricerca? Perché la lebbra è laggiù, mentre il cancro è quassù. Il cancro occupa l'organismo di noi ricchi, ma quelli sono lontani, e allora -diciamo la brutta parola- si arrangino. Sicchè: 'giornata per...' sì, pronti! Se raccogliamo delle offerte... ma qui voglio vedere un gruppo di medici che la smetta appunto di dedicarsi a quella ricerca (perché quella, tra l'altro, rende anche un pozzo di danari...), e là intanto continuano, quando con molto meno, molto molto meno, si potrebbe risolvere il problema della lebbra. Ecco, questo è un piccolo esempio di che cosa vuol dire per Gesù la conversione. Entrare cioè in un ordine di idee dove si risolvono i problemi.

Terminiamo. La questione della conversione rende scottante il problema di vedere in quale senso la Chiesa è tra quei fatti a cui è attribuita la definitività. Ora, nel momento in cui il convertito accetta ilo battesimo e si unisce alla Chiesa, di fatto egli confessa non solo che crede nella definitività della rivelazione di Dio in Cristo e così via, ma anche nella necessità di quella comunità come parte della risposta a quella rivelazione. E forse questo è l'errore in cui noi ci troviamo.

Chiedo scusa, termino qui, spero che la prossima domenica ci sia un argomento più o meno simile, e poi continueremo questo discorso molto pesante e molto decisivo.