Presentazione

Al di là dell'Himalaya un pianeta misterioso

Sua Santità Tenzin Ghiatzo XIV Dalai Lama: "oceano di saggezza"

Il buddismo, sentiero della grande compassione

Charma: le danze rituali dei Lama

Tibet: il sorriso dell'anima

Kyil-khor: il Mandala

L'arte tibetana

Tibet oggi

Intervista a Fosco Maraini

Tashi Tsering Lama: il pittore d'oro

La casa del Tibet di Votigno di Canossa

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Circa due anni fa, visto il buon esito di una serata organizzata dall'Associazione Scoprire il Mondo in collaborazione con la Casa del Tibet di Votigno di Canossa (RE), nasceva l'idea di preparare qualcosa di più importante in occasione del Millennio di fondazione della Città di Bassano del Grappa. Tutto rientrava negli intenti generali dell'Associazione e quindi si poteva certamente vagliare tale possibilità. Dai primi informali incontri tra amici accomunati dagli stessi interessi e dalla stessa passione, si è passati alla formulazione del programma generale ed alla stesura dei dettagli che nel procedere organizzativo coinvolgevano anche i comuni di Marostica e Montecchio Precalcino. L'intermezzo della manifestazione "Il Tibet che non c'è più" dello scorso maggio, con la mostra fotografica di Fosco Alaraini, la sua personale partecipazione, i numerosi incontri avuti in quell'occasione, hanno permesso di superare ogni indugio per la stesura del programma definitivo del maggio 1998.

La vulcanica fantasia di Stefano Dallari, presidente della Casa del Tibet, l'esperienza politica di Piero Verni, presidente dell'Associazione ItaliaTibet, la passione fortissima per questi luoghi di Claudio Cardelli, giornalista e fotografo, e l'incoraggiamento di una personalità quale Fosco Maraini, hanno fatto superare ogni dubbio e rompere ogni indugio. La manifestazione si doveva fare anche per concretizzare veramente uno dei principali scopi di Scoprire il Mondo: incontrare e conoscere le culture mondiali.

Lo sforzo organizzativo è stato notevole ed un vivissimo ringraziamento va a quanti in tutto questo tempo si sono operati affinché ci fosse una buona riuscita della manifestazione. Un grazie particolare a Mariuccia Selvaggi dedicatasi a risolvere molti problemi, a Enzo Dalla Pellegrina per aver messo a disposizione la sua professionalità per la preparazione di questo catalogo, a Susi e Franco Ferraro per aver seguito l'allestimento delle mostre, a Luciano Fabris, curatore della parte pubblicitaria, a Stefania Marchesini per il lavoro di segreteria, a Cesare Piazza per essersi operato nei modi più svariati, alla ditta Manfrotto per aver messo a disposizione gli splendidi locali del restaurato Palazzo Roberti, alle amministrazioni Comunali di Marostica, Bassano del Grappa, Montecchio Precalcino e ancora: a Marco, a Marino, a Bianca, a Vania, Massimo per l'allestimento delle mostre ed a quanti altri in vari modi hanno partecipato a questo grande lavoro, ai Frati Cappuccini di Bassano del Grappa per l'ospitalità data ai monaci tibetani.

Si è sempre cercato di preparare una manifestazione che, con la maggior risonanza possibile, desse la possibilità di avere una visione globale e obbiettiva del mondo e della cultura tibetana.

Come associazione ci siamo prefissi fin dalla nostra nascita di diffondere la cultura del viaggio.

La scelta del Tibet come oggetto del nostro incontro non nasce da una particolare simpatia per la religione o la filosofia buddista, oggi purtroppo molto spesso di moda per il vasto richiamo che personaggi dello spettacolo o dello sport gli hanno dato, ma dalla consapevolezza che questa martoriata regione sta attraversando una fase estremamente delicata della sua storia e che potrebbe essere compromessa la sua stessa esistenza.

Se talvolta ci si affanna tanto per la tutela e la protezione di una specie animale o vegetale, siamo convinti che ancor più ci dobbiamo preoccupare se a correre il pericolo di scomparire è un'intera cultura ed un intero popolo.

Il Tibet, paese così lontano da noi geograficamente, e la cultura Buddista Lamaista così lontana per la nostra mentalità occidentale, sono tuttavia patrimonio dell'umanità. In un mondo in cui sempre più si parla di villaggio globale e le distanze diventano sempre più corte, i contatti sempre più frequenti tra i popoli devono essere un momento di reciproca conoscenza e di interscambio di esperienze. Il turismo stesso, di cui noi siamo fautori, dovrebbe essere un modo per una conoscenza dei popoli e non una prevaricazione delle culture dominanti su quelle più deboli. Vorremmo quindi avere un po' meno turisti e un po' più viaggiatori.

Sia allora, questo itinerario tra le varie mostre ed incontri che abbiamo organizzato, un modo per poter maggiormente conoscere questa cultura. Un giorno, chi avrà la fortuna di scoprire questo meraviglioso paese, dovrà certamente avvicinarlo con la consapevolezza di chi arriva come ospite, con la modestia e la riservatezza di chi si trova in casa d'altri, con la curiosità del viaggiatore che vuole conoscere e scoprire, e non con l'arroganza e la sfrontatezza del turista invadente.

Ed infine permettetemi un ultimo ma doveroso ringraziamento. In tanti abbiamo lavorato attorno a questo progetto; chi si è prodigato con le idee, chi con le sue esperienze, chi con la sua buona volontà. Tutto questo tuttavia non sarebbe stato possibile realizzare se non ci fosse stato chi dall'ombra, senza mai apparire, non avesse finanziato gli ingenti costi che questa impresa ha comportato: il Dott. Giuseppe Bottecchia.

Grazie a tutti di cuore ed arrivederci alla prossima impresa.

Il Presidente Giuseppe Bosio

Bassano, 1 maggio 1998


AL DI LA' DELL'HIMALAYA UN PIANETA MISTERIOSO

Situato nel cuore del continente asiatico, il Tibet costituisce un insieme geografico e umano circondato dalle montagne più alte della terra: a sud la barriera dell'Himalaya, a ovest il Karakorum, a nord i monti Kunlun.

Prima dell'invasione cinese, il giovane Tenzin Ghiatzo era stato scelto a regnare, come XIV Dalai Lama, su questo altopiano nel cuore dell'Asia che offriva paesaggi di travolgente bellezza, immersi nell'aria rarefatta dei 5000 metri.

La prima delle tre province, l'Utzong, a ridosso dell'Himalya, arida e polverosa, durante il periodo delle piogge estive rinverdiva nelle ampie vallate lungo il corso del Brahmaputra culminando in maestose cime di oltre 6000 metri.

Il Kham, verso est, si snodava attraverso gole profonde percorse dai più grandi fiumi dell'Asia, il Mekong e lo Yantze, in una varietà di foreste popolate da orsi, scimmie, leopardi, panda, aquile, che la rendevano la regione più inaccessibile del Tibet.

La provincia dell'Amdo, a nord, tra le montagne del Kunlun ed il lago Kokonor, offriva un paesaggio spettacolare in cui tutti gli elementi della natura erano combinati in un modo unico: vasti orizzonti, praterie sconfinate, fiumi, foreste, in un susseguirsi di montagne, laghi sacri, grotte.

1 sette milioni di abitanti discendevano da tribù nomadi di una razza assimilabile a quella mongola che allevavano yak e pecore, vivevano in basse tende di feltro e scendevano dagli altipiani soltanto per barattare carne e formaggio con i cereali coltivati dai contadini. Nei riparati fondovalle e lungo il corso dei fiumi viveva la maggior parte della popolazione coltivando orzo: malgrado il clima austero e le faticose condizioni ambientali, la vita dei tibetani era prospera e la carestia pressoché sconosciuta. Abilmente conservata, la carne si manteneva fresca per un anno ed i cereali per un secolo! Rare erano pure le malattie, poiché l'altitudine inibiva la crescita di virus e batteri.

La donna aveva uno status pari a quello dell'uomo nel lavoro e nella conduzione della casa: tuttora si può verificare il carattere eccezionalmente indipendente della donna tibetana, assai libera tanto economicamente quanto socialmente; ella possiede beni personali propri, spesso amministra il patrimonio del marito e mantiene senz'altro la posizione più emancipata tra tutte le donne dell'Asia.

Il commercio si snodava attraverso le antiche vie carovaniere, a sud verso l'India, a est verso la Cina, a nord verso la Mongolia: lana, erbe, medicinali, polvere d'oro, muschio, code di yak, sale, appesantivano il carico di yak, cammelli e muli dei mercanti in viaggio.

Considerato dalla grande cultura dell'India come la dimora dei suoi Dei e dall'antica cultura cinese come il luogo mitico dove il saggio LaoTze si recò al crepuscolo della sua vita, il Tibet ha una storia indissolubilmente legata alla pratica buddista della sua gente.

La diffusione del buddismo Mahayana proveniente dall'India, iniziò nel VI secolo d.C.: coltivare la compassione associata alla rinuncia e alla saggezza, divenne la caratteristica dell'animo tibetano.

La caccia, la pesca e perfino uccidere un insetto divennero azioni da non commettere, mentre mulini di preghiera sorgevano lungo tutti i corsi d'acqua e bandiere dì preghiera riempivano il cielo.

I "Mani", cumuli di pietre con iscritte formule sacre talora alti come case, e i "Chorten", reliquiari dei santi buddisti terminanti a guglia, trasformarono il paese in una rete di località sacre unite da un flusso perenne di pellegrini. Dove un tempo le valli erano state dominate dagli "dzong", forti abbarbicati sulle cime delle montagne, ora sorgevano i "gompa", monasteri grandi come città, che divennero centri di cultura e di istruzione. Fu proprio nei chiostri che fiorì la cultura tibetana: scrittura, letteratura, medicina, arti, architettura e gli studi superiori delle università monastiche, derivati tutti dal grande corpo del Dharma, o insieme della dottrina buddista, che il Tibet ricevette nella sua integrità.

Nei monasteri i discepoli memorizzavano insegnamenti e li dibattevano anche per venti anni prima di affrontare l'esame finale di Ghesce o Dottorato in Scienze Divine. Mentre un gruppo di monaci svolgeva a rotazione il servizio amministrativo, la maggior parte di loro entrati nel "Sangha", la Comunità Spirituale, in giovanissima età, era tesa alla ricerca dell'Illuminazione attraverso i rituali, lo studio e la meditazione quotidiana.

Nelle grotte e nelle capanne situate nei luoghi più impervi del Tibet, assistiti da pochi discepoli, igomchen" (eremiti) si ritiravano a meditare in un ambiente puro ed assoluto, diventato teatro di esperienze mistiche di santi e asceti.

Così scriveva Milarepa, santo e poeta del XI secolo: "Lassù, tra quelle aride e assolate pietraie, si svolge uno strano mercato: puoi barattarvi il vortice della vita per una beatitudine senza confini".

1 più importanti di tutti i praticanti religiosi erano comunque i "1u1ku" o Lama reincarnati", ritenuti in grado di scegliere il tempo ed il luogo della loro rinascita. Riconosciuti dai loro discepoli fin dalla prima infanzia, essi facevano ritorno ai loro monasteri, dove riprendevano il grande lavoro buddista per condurre tutti gli esseri viventi alla liberazione. Alla testa di costoro vi erano le emanazioni dei grandi Buddha, tra i quali il Dalai Lama rappresentava il massimo della santità nel Paese delle Nevi.

La struttura della società laica era ancora feudale, eppure, in virtù di una dottrina che sottolineava la temporaneità degli eventi, era imbevuta di uno spirito fondamentalmente democratico e faceva sì che i tibetani, socialmente conservatori, fossero individualmente tolleranti, essendo la loro cultura incentrata sul rispetto e sull'amore per ogni forma di vita.

Questa situazione trovò la Cina, quando si accinse ad invadere il Tibet nel 1949, iniziando una delle più spietate forme di sistematica violazione dei diritti umani che il nostro secolo ricordi. Facile impresa la conquista di un popolo che ha come unica arma la nonviolenza. La storia del Tibet è quella di una nazione antica proiettata di colpo nel ventesimo secolo, è la storia della perdita della sua sovranità e dell'esile speranza che ancora rimane di ricostruire la sua libertà e la sua identità.


SUA SANTITA' TENZIN CHIATZO XIV DALAI LAMA: OCEANO DI SAGGEZZA

Il Dalai Lama può essere considerato il simbolo vivente della cultura tibetana: è la principale autorità spirituale del Tibet, nonché il detentore del potere temporale prima della drammatica invasione cinese. Viene considerato dal suo popolo e da milioni di buddisti nel mondo una emanazione di Cenresig, il Buddha della Compassione.

Molto singolare era la procedura attraverso la quale venivano scelti in Tibet i Dalai Lama e val la pena raccontare, quasi fosse una magica fiaba, il riconoscimento del piccolo Tenzin Chiatzo quale reincarnazione del precedente XIII Dalai Lama. Egli nacque il 6 luglio 1935 nel piccolo villaggio agricolo di Takstern, nella provincia dell'Amdo.

Poco dopo la morte del XIII Dalai Lama, sul pilastro nord orientale ove giaceva il suo corpo, spuntò un gigantesco fungo a forma di stella, mentre ripetuti arcobaleni e curiose formazioni di nubi apparivano sempre in direzione nord orientale. Qualche giorno più tardi, anche la testa del defunto Dalai Lama si voltò verso nord est. Esiste un lago considerato sacro dai tibetani, chiamato Lamo Lhatzo, le cui acque avrebbero il potere di mostrare il futuro: esse manifestarono ai grandi Lama sopraggiunti, la visione di un imponente monastero dai tetti d'oro e di giada. Dal monastero scendeva verso oriente un sentiero che conduceva ad una casa con le tegole color turchese, un cortile, un bambino e un cane pezzato bianco e marrone. Apparvero infine tre lettere dell'alfabeto tibetano che indicavano, si presumeva, le iniziali del luogo e della provincia esatti.

Guidati da questa visione, i gruppi di Maestri viaggiarono per mille miglia fino al monastero Kumbum famoso per i suoi tetti d'oro e di giada. Da li, alcuni monaci giunsero ad una casa dal tetto color turchese e, travestiti da mercanti, chiesero ospitalità. Mentre un cane pezzato, bianco e marrone, abbaiava in cortile, un bambino corse loro incontro, chiamandoli per nome senza averli mai incontrati prima e reclamando vivacemente come suo un rosario che il lama più anziano aveva al collo: era appartenuto al precedente Dalai Lama. Straordinario era il fatto che il bambino parlasse il raffinato dialetto di Lhasa, città di residenza del Dalai Lama, dialetto che in quella provincia nessuno conosceva. Quando all'alba i Maestri si accinsero a partire, il bambino pianse a lungo pregandoli di portarlo con loro Riuscirono a calmarlo solo con la promessa che sarebbero tornati presto.

Tornarono e sottoposero il bimbo ad una serie di prove, mostrando gli oggetti appartenuti al XIII Dalai Lama confusi in mezzo a copie abilmente contraffatte: ogni volta il piccolo sceglieva correttamente ed affermava con forza che quegli oggetti gli appartenevano.

Quando partì felice con i lama alla volta di Lhasa, salutando tranquillamente i suoi genitori ed affrontando un lungo e faticosissimo viaggio fra gli altipiani del Tibet settentrionale, durato ben quattro mesi, aveva soltanto tre anni e mezzo.

Giunti a Lhasa, vennero fatte ulteriori prove fra le quali il riconoscimento sul suo corpo degli otto segni appartenuti a tutti i Dalai Lama precedenti. Da quel momento, Tenzin Ghiatzo venne considerato supremo capo spirituale e temporale del Tibet.

Studiò scienze, matematica, inglese; fu definito impareggiabile nell'apprendimento della filosofia buddista e nel dibattito dai più grandi maestri di Sutra e di Tantra, suoi tutori, mentre cresceva la sua curiosità per il mondo e la cultura oltre i confini del Tibet.

Il 7 ottobre 1950 la Cina Comunista invase il Tibet. A sedici anni non ancora compiuti, Tenzin Chiatzo fu costretto ad assumere il pieno potere temporale, cercando un compromesso con i cinesi durato nove anni. Ma nel marzo del '59 l'Esercito di Liberazione cinese uccise in un sol giorno più di 87.000 tibetani: il Dalai Lama fu costretto a fuggire da Lhasa, dove i generali di Pechino volevano farlo prigioniero. Fu seguito da più di 100.000 profughi che si sottrassero così alla brutale repressione e alla distruzione pressoché totale della cultura tradizionale tibetana.

Dopo un drammatico viaggio di alcune settimane il Dalai Lama arrivò in India dove ottenne asilo politico. Dall'inizio degli anni '60, Tenzin Chiatzo vive a Dharamsala, nell'India settentrionale, dove svolge un'instancabile attività in difesa del suo popolo e della preservazione della cultura tibetana.

S.S. il Dalai Lama è ammirato e rispettato in tutto il mondo come uomo di pace. Egli ha costantemente predicato la politica della non violenza, anche di fronte ad una brutale aggressione, un'attitudine che lo ha portato ad essere insignito del Premio Nobel per la pace, nel dicembre 1989, primo cittadino asiatico a ricevere tale riconoscimento.

In numerose conferenze e insegnamenti, nel corso di visite in vari paesi del mondo, ha toccato il cuore di moltissime persone di differenti culture e religioni con la semplicità, la profondità e l'universalità del suo messaggio: un appello per una maggiore comprensione, per il rispetto di tutte le forme di vita e per la nascita di un "senso di responsabilità globale" tra le nazioni e i popoli di questo pianeta.

"Mentre il ventesimo secolo si avvicina alla fine, scopriamo che il mondo è diventato più piccolo e che i popoli della terra formano quasi una sola comunità. Alleanze politiche e militari hanno creato grandi gruppi multinazionali, l'industria e il commercio hanno prodotto un'economia globale e i mezzi di comunicazione del pianeta stanno eliminando antiche barriere provocate dalle distanze, dai linguaggi e dalle razze. Ci uniscono i gravi problemi che abbiamo di fronte: la sovrappopolazione, l'esaurimento delle risorse naturali e una crisi ambientale che minaccia l'aria, l'acqua, gli alberi e il vasto numero di meravigliose forme di vita che costituiscono il reale fondamento dell'esistenza su questo piccolo pianeta che condividiamo. lo credo che per affrontare queste sfide dei nostri tempi, gli esseri umani debbano sviluppare un maggiore senso di responsabilità universale.

Ognuno di noi deve imparare a lavorare non solo per sé stesso, per la propria famiglia o per il proprio paese, ma per il beneficio di tutta l'umanità. La responsabilità universale è la vera chiave per la sopravvivenza umana. E' il fondamento migliore per la pace mondiale, per un equo uso delle risorse naturali e per una corretta gestione dell'ambiente che lasceremo alle future generazioni .....

Non possiamo più sostenere le divisioni nazionali, razziali o ideologiche che ci separano senza ripercussioni disastrose. Nel contesto di questa nuova interdipendenza, il modo migliore di fare il nostro interesse è sicuramente quello di prendere in considerazione gli interessi degli altri. La necessità di cooperazione può solo rafforzare il genere umano, poiché ci aiuta a riconoscere che la base più solida per un nuovo ordine mondiale non è semplicemente costruita da più ampie alleanze politiche o economiche, ma piuttosto dalla sincera pratica di amore e compassione di ciascun individuo. La soluzione del problema e la cooperazione si ottengono praticando l'altruismo. Una mente impegnata nella compassione è come un bacino che trabocca, una fonte costante di energia, di determinazione e di gentilezza. La mente è come un seme: quando la si coltiva, fa sorgere molte altre qualità positive come la clemenza, la tolleranza, la forza interiore e la fiducia nel vincere paure e insicurezze. La mente compassionevole è come un elisir in grado di trasformare situazioni negative in fonti di beneficio lo credo che malgrado il rapido progresso della civilizzazione in questo secolo, la causa più immediata del nostro presente dilemma sia l'eccessiva importanza che diamo al solo progresso materiale. Ci siamo votati alla sua ricerca a tal punto che, senza saperlo, ci siamo dimenticati di coltivare i bisogni umani più basilari: l'amore, la gentilezza, la cooperazione e l'attenzione alle necessità altrui lo ritengo che il ruolo del Tibet in una Comunità asiatica sia quella di diventare una "zona di pace": un santuario neutrale, demilitarizzato, dove le armi siano proibite e dove la gente viva in armonia con la natura. Questo non è solo un sogno, è precisamente il modo in cui i Tibetani hanno cercato di vivere per oltre mille anni, prima che il nostro paese fosse invaso. In Tibet tutte le forme di vita naturale erano strettamente protette, in accordo ai principi buddisti; inoltre, per gli ultimi trecento anni della nostra storia, non abbiamo mai avuto un esercito. Questo nostro azzurro pianeta è l'ambiente più incantevole che conosciamo: la sua vita è la nostra vita, il suo futuro è il nostro futuro. Di fronte a problemi di portata globale come l'effetto serra e il deterioramento dello strato di ozono, le organizzazioni individuali e le singole nazioni sono impotenti. Se non lavoreremo insieme non troveremo nessuna soluzione. La nostra madre Terra ci sta dando una lezione di Responsabilità Universale.

Io, per quanto mi riguarda, credo fermamente che gli individui possano realmente "fare la differenza" nella società. E dato che periodi di così grande cambiamento, come quelli che dobbiamo affrontare oggi, avvengono molto raramente nella storia dell'umanità, è compito di ognuno di noi fare il migliore uso del nostro tempo per contribuire a creare un mondo più felice".

Tenzin Ghialzo


IL BUDDISMO, SENTIERO DELLA GRANDE COMPASSIONE

Il Buddismo è la prima religione universale apparsa nella storia ed è tuttora una delle più importanti vie spirituali dell'Asia. Nato nel VI secolo a.C., Siddharta Gautama iniziò la sua vita come principe nel piccolo stato di Sakyan, circa duecento chilometri a nord di Benares, ai piedi dell'Himalaya. Egli trascorse la sua giovinezza nella capitale Kapilavastu, un attivo centro commerciale pieno di mercanti e soldati, circondato da un turrito muro alto circa nove metri. Messo in guardia da un astrologo che il figlio sarebbe diventato imperatore o un Buddha (Risvegliato), il Re Suddhodana cercò di assicurarsi la prima alternativa, tenendo il principe chiuso nel palazzo, lontano dall'influenza di estranei. Egli uscì dalla sua prigione dorata soltanto in quattro occasioni: la prima volta vide un infermo, la seconda un morto, la terza un vecchio e l'ultima un prigioniero. Allora egli rifletté: "Il destino dell'uomo è proprio solo quello di nascere, ammalarsi e morire? Non c'è proprio nulla al di là di queste cose temporali?"

Questi quattro segni lo indussero a meditare sul mondo: non segni soprannaturali, ma umani e naturali. Siddharta rimase talmente turbato da ciò che vide che decise di abbandonare la famiglia nonché il futuro regno. Di notte lasciò Kapilavastu, si liberò degli abiti regali, si rasò il capo e divenne pellegrino errante. Viaggiò verso sud, studiò con i più famosi filosofi dell'epoca: nelle sei grandi città del Madhyadesa il pensiero metafisico era all'apice della sua fioritura, come nella Grecia contemporanea.

La speculazione filosofica, la trance estatica, la metafisica: nulla lo appagava, nulla lo liberava. Giunto al villaggio di Dungeshvari egli decise di dedicarsi completamente alla meditazione per sperimentare su sé stesso la diretta realizzazione della natura dei fenomeni. Per sei anni visse in assoluta austerità, senza alcun risultato. Poi un giorno, scivolò nell'acqua e non fu più capace di uscirne da solo. Fu trascinato dalla corrente fino ad un villaggio chiamato Bakraur, dove una giovane lo trasse dalle acque, lo curò e lo restituì alla vita.

Una volta guarito, egli rimase ad osservare le acque del fiume Naranjara, luminose nella splendente luce lunare di maggio, si sedette all'ombra di un grosso albero e si immerse in meditazione. Qui finalmente, all'alba del giorno seguente, egli raggiunse l'Illuminazione: Siddharta, il principe dei Sakya, non esisteva più. Era diventato il Buddha, l'Illuminato. Per una settimana il Buddha rimase presso l'albero, da solo cercando di capire come spiegare agli altri la natura della sua realizzazione. Decise quindi di aiutare gli esseri a trovare la via della liberazione predicando la sua dottrina.

Nel Parco delle Gazzelle, non lontano da Benares, predicò per la prima volta a cinque asceti che erano stati in passato suoi discepoli. Cominciò così per il Buddha la via di predicatore itinerante e fu fondata la prima comunità buddista.

Ben presto il Buddha, la sua Dottrina (Dharma) e la Comunità dei suoi monaci (Sangha) vennero definiti come le Tre Gemme (Triratna), le tre fondamenta del Buddismo.

Il nucleo della dottrina enunciata dal Buddha è dato dalle Quattro Nobili Verità: la verità della sofferenza, dell'origine della sofferenza, della cessazione della sofferenza e del sentiero che conduce all'Illuminazione.

La via da seguire per raggiungere questo fine è il cosiddetto "Ottuplice Sentiero": esso porta alla liberazione dal ciclo interminabile di nascite, morti e rinascite (samsara), attraverso il quale ogni essere porta in sé il seme di un'esistenza futura. Solo un Buddha che abbia spezzato questo ciclo non è più legato alla vita terrena, essendo la rinascita condizionata all'attaccamento e all'ignoranza.

Quando il Buddha lasciò il suo corpo terreno ed entrò nella pace del Nirvana, lo stato di suprema armonia al di là dal ciclo delle esistenze, aveva 80 anni ed il suo insegnamento, ormai diventato una tradizione religiosa, si estese sui vasti spazi asiatici nella forma non violenta della persuasione.

Essendo il Buddismo basato su una tolleranza senza riserve, si adattò elasticamente ad abitudini mentali e a sfere culturali diverse, poiché non possedeva né un'organizzazione clericale chiusa con al vertice un'autorità indiscussa, né una dottrina tassativa e ortodossa.

Il Grande Veicolo Mahayana, manifestazione del Buddismo Tibetano, trova espressione nella leggenda del Bodisattua Avalokitesvara, essere che giunse, sulla via della liberazione, fino alle soglie del Nirvana: avendo però chiara visione di tutte le sofferenze delle creature, fece giuramento di rinunciare alla beatitudine fino all'istante in cui tutti gli esseri senzienti fossero partecipi della liberazione. Il Bodisattva, colui che assolve i suoi compiti nel mondo per amore di tutti gli esseri, è l'essenza della Grande Compassione del Buddismo Tibetano.


CHARMA: LE DANZE RITUALI DEI LAMA

I "Chani" sono parte integrante dell'universo spirituale tantrico: colui che danza compie una precisa serie di movenze simboliche che gli consentono di identificarsi con determinate divinità evocate, con le quali il praticante si immedesima a tal punto da generare in sé stesso le qualità psichiche e le caratteristiche positive di cui la divinità stessa è portatrice.

L'origine dei "Chani" viene fatta risalire a Buddha stesso, il quale ne espose i principi generali in alcuni "Tantra", mentre tutti i testi concordano nel far risalire a Curu Padmasambhava, vissuto nell'VIII secolo, la prima esecuzione di danze "Cham" sul suolo del Tibet, esattamente a Samye, nella regione centrale, dove si sta ultimando la costruzione del primo monastero buddista tibetano: tali danze furono rappresentate al fine di consacrare il luogo, benedire le prime ordinazioni monastiche e sottomettere gli spiriti della terra.

Tutti i monasteri tibetani hanno il loro ciclo di "Chani" basato sempre su di un testo, il "Charnyig", che contiene gli insegnamenti relativi alle danze rituali secondo la peculiare tradizione del monastero e che descrive le caratteristiche generali, i costumi, le maschere, i movimenti, gli attributi delle divinità, i personaggi, i testi delle preghiere da recitare, le musiche.

I "Cham" sono di regola eseguiti nei cortili dei "Compa" (monasteri). Elaborate cerimonie si svolgono nei giorni immediatamente precedenti per purificare il terreno e trasformarlo in spazio sacro.

L'esecuzione di un "Cham" è quasi sempre pubblica: osservando anno dopo anno le maschere, i costumi, le movenze delle diverse divinità, donne e uomini del Tibet e dell'Himalaya incontrano gli archetipi e le qualità di cui esse sono portatrici.

Molti studiosi si sono chiesti quanto nomadi, pastori, contadini e artigiani effettivamente comprendano dell'elaborato rituale del "Cham": in quale modo la gente, anche la più umile e semplice, riesce a percepire che per tutta la durata della danza la divisione tra materiale e spirituale, umano e divino, visibile ed invisibile è misteriosamente abolita ed il terreno dove si sta svolgendo il "Cham" si è tramutato in uno spazio amateriale ed atemporale in grado di fornire una diretta ed esplicita comunicazione tra l'infinitamente piccolo (l'uomo e la sua vita di ogni giorno) e l'infinitamente grande (il mondo degli archetipi che le divinità rappresentano).

Nella quasi totalità dei casi gli attori sono monaci che eseguono il "Chani" come parte del loro addestramento spirituale insieme alla meditazione, alla visualizzazione e ad altri cerimoniali tantrici.

Il danzatore deve prima di tutto imparare i movimenti della danza, poi comprendere il senso generale del "Chani" e le meditazioni ad esso associate, dopo aver ricevuto dal Maestro l'iniziazione in un contesto rituale estremamente elaborato.

Si potrebbe affermare che i "Chani" costituiscono una sorta di "meditazione in movimento": la grazia dell'espressione corporea, l'abilità nel mantenere le corrette visualizzazioni, il perfetto controllo del corpo, parola e mente, sono traguardi ai quali i danzatori pervengono solo dopo molti anni di pratica. Una parte notevole del fascino coreografico delle danze rituali tibetane è costituito dai costumi e dalle maschere che i danzatori indossano: gli abiti, ricchi e sgargianti, sono ampi e dotati di larghe maniche, vengono sempre indossati sopra la veste monastica, sono confezionati dagli stessi monaci e i colori hanno tutti un preciso significato simbolico in relazione alla divinità rappresentata.

Le maschere sono molto grandi, di legno intagliato, dai colori luminosi o di cartapesta laccata. 1 colori ed i tratti del volto delle maschere derivano naturalmente dall'iconografia tantrica ed ogni divinità possiede la sua peculiare espressione ed il suo colore. Esse si dividono in due grandi gruppi, quelle pacifiche e quelle irate: le prime rappresentano l'elemento statico dei processi mentali, le seconde, dalle espressioni feroci, rappresentano gli aspetti dinamici della mente.

Tutti i danzatori impugnano oggetti rituali che svolgono anch'essi una precisa funzione simbolica. "Adasha", lo specchio, solo per citarne uno, esprime uno dei concetti principali della psicologia buddista: l'idea che la mente sia pura ed incontaminata allo stesso modo di uno specchio, il quale può essere offuscato solo dalla polvere che il trascorrere del tempo deposita su di esso; ma basterà pulire con un panno la polvere e lo specchio tornerà a brillare ed a riflettere le immagini. Allo stesso modo la mente è pura fin dall'inizio e la polvere dell'ignoranza, anche se le impedisce momentaneamente di svolgere la sua funzione, non è tuttavia in grado di comprometterne od alterarne l'essenza.

Uno degli aspetti più affascinanti e solenni dell'arte tibetana è rappresentato dalla musica rituale che accompagna anche le danze "Cham": l'orchestra entra in scena sempre dall'ingresso principale del monastero ed i musicisti procedono in fila con passi lenti e cadenzati. Il canto e la musica diventano il "medium" che consente a quanti lo usano di sincronizzare armoniosamente corpo parola e mente: armonia considerata nel Buddismo tantrico un requisito fondamentale per ottenere la realizzazione interiore.

Particolarmente singolare è il "dungchen", lunga tromba in ottone o in argento composta da tre segmenti conici che si inseriscono l'uno nell'altro a mo' di telescopio; data la lunghezza (fino a quattro metri) ed il relativo peso, quando viene suonata la sua parte terminale è appoggiata a terra o su un piccolo supporto di legno.

Il particolare suono degli strumenti rituali tibetani produce una sorta di "show' istantaneo che può rompere il circolo vizioso o il vortice dei pensieri incontrollati e delle confusioni mentali.


TIBET, IL SORRISO DELL'ANIMA

Lhasa Agosto 1987

"Puoi farmi solo una domanda" mi dice il reggente settantenne del monastero di Drepung, vicino a Lhasa. Ha passato trentacinque anni in assoluta solitudine murato nel buio di una grotta, meditando senza posa. Un monaco gli allungava ogni giorno da un piccolo pertugio una ciotola di cibo. I cinesi lo hanno risparmiato semplicemente perché non lo hanno trovato.

"E' l'uomo più saggio del Tibet" mi aveva detto con un filo di voce pieno di ammirazione Tuten Tsering, l'amico tibetano dei miei giorni sul Tetto del Mondo.
Cosa dobbiamo fare gli chiedo per essere dei bravi buddisti ?
Mi risponde subito con poche sillabe: Help the people (Aiuta gli altri).
Negli anni ho riflettuto a lungo su queste parole e incontrando il mondo tibetano, anche fuori dei confini del Paese delle Nevi, mi sono reso conto che questa frase non è semplicemente il risultato della ricerca incessante di una mente illuminata da trenta cinque anni di buio, ma è l'essenza stessa dell'anima tibetana, o scientificamente parlando, è l'analisi del laboratorio Tibet.

Laboratorio Tibet ?
Mi spiego meglio: per secoli, nell'isolamento delle vette, in Tibet, un intero popolo di otto milioni di persone ha lavorato incessantemente su se stesso creando un immenso, ma specialissimo laboratorio di psicologia. Già di psicologia, perché la logica tibetana, alimentata dalla dottrina buddista, indagando sull'esistenza, sui suoi ritmi, sulla sofferenza che ne pervade i giorni, ha posto la causa di ogni conflitto, di ogni liberazione, non nelle mani di una divinità o nel caso, ma nella mente dell'uomo e ha rivolto al funzionamento di questa mente tutta la sua attenzione. Ha capito che ogni uomo cerca la felicità e combatte ogni giorno per allontanare la sofferenza. Un compito difficile perché la mente dell'uomo è deviata da tanti veleni: l'odio, l'ignoranza, l'orgoglio, l'invidia, la violenza, i desideri, il potere ......

Ed allora, per questa mente avvelenata, occorre una medicina e questa medicina i tibetani la chiamano Meditazione. Una pillola gratuita da respirare con concentrazione per guardarsi dentro. Una medicina che entra nei meandri della mente, toglie le paure, gli ostacoli, i confini e affratella ogni essere umano con gli altri uomini, con la Creazione.

E' già moltissimo, ma per la logica tibetana non è abbastanza ed ecco allora un'altra invenzione del Laboratorio Tibet: una motivazione positiva deve guidare ogni azione dell'uomo.
A cosa serve, dicono i maestri, meditare se poi non riusciamo ad aiutare meglio gli altri ? A cosa serve la spiritualità se non diventa uno strumento di solidarietà, di aiuto, di altruismo?

Eccolo allora quell' "aiuta gli altri" del Reggente di Drepung che diventa la guida di ogni pensiero e di ogni azione, l'invocazione necessaria prima di ogni meditazione.

E' l'altruismo concreto che spazza via tutte le illusioni personali, le autogratificazioni, gli egoismi inutili. Sono gli altri il termometro della nostra elevazione. Siamo guariti quando facciamo guarire gli altri a la stessa illuminazione è al servizio del prossimo, il fine ultimo della nostra esistenza per i tibetani è essere un Messia capace di rinunciare al cielo per amore della terra. Ma, anche se non raggiungiamo il traguardo della saggezza e della libertà assoluta in una sola esistenza, niente viene sciupato perché il corpo si dissolve, ma lo spirito prende un nuovo corpo e ricomincia la strada interrotta verso la vetta della verità. Si rinasce un'altra volta sul pianeta terra, il pianeta della sofferenza, ma la meta della luce è sempre più vicina. Ma il nostro costante desiderio di felicità che fine ha fatto ? Eccolo il segreto sorridente del Buddismo: l'altruismo, coniugato con la saggezza, ci rende felici. Ci riempie di una felicità vera, imperturbabile, superiore al tranello di qualsiasi droga, un'estasi personale, gloriosa e dolcissima. Un fiore in un giardino. Questa corrente positiva è terribilmente magnetica per noi occidentali, ci confonde e ci affascina, sposta i nostri desideri perché un messaggio che non si contrappone alla nostra voglia di felicità, ma la armonizza con il nostro quotidiano. Ci rende felici su questa terra, ma ci riempie di sorrisi i passi quotidiani. E i tibetani sono i testimoni di questa felicità.
Perché, nonostante tutto, anche oggi sotto il dramma dell'occupazione i tibetani non sono solo il popolo della non violenza, sono anche il Popolo Felice e il Popolo del Sorriso.

Del sorriso che nasce dall'anima. Un miracolo? No, il risultato, come si diceva prima, di una costante applicazione.

Diamo un'occhiata alla storia. In tempi antichi, con l'arrivo dall'India del messaggio del Buddha, i fieri guerrieri tibetani, i conquistatori dell'intera Cina, con tutta la determinazione dei grandi combattenti, hanno accettato la sublime sfida del Buddha: cambiare se stessi. Hanno impiegato secoli, ma ci sono riusciti e oggi sono il popolo che incarna gli ideali di tolleranza, di dialogo, di rispetto per ogni essere vivente e rifiuta la violenza anche nelle condizioni più estreme. Ciò che mi ha più colpito, visitando il Tibet, è stato vedere questa gente oppressa, non solo perdonare i cinesi, ma pregare per loro. Quale altro popolo ha fatto altrettanto ? Certo per raggiungere questi livelli il Tibet ha avuto bisogno di condizioni particolarissime. Intanto, per secoli, nessuna ingerenza, nessun inquinamento esterno. Nell'isolamento di atmosfere rarefatte l'uomo tibetano si è modellato intorno alle leggi morali e in sintonia con una natura intatta. Il Karma, la reincarnazione, concetti così alieni per le nostre menti occidentali, sono stati assimilati perfettamente fra i silenzi degli altipiani himalaiani. E i tibetani hanno trasformato la religione buddista in pratica di vita, in una società dove, come scrive Fosco Maraini in Segreto Tibet: "Ovunque si sentiva cantare".

Un popolo unico dunque capace di una civiltà e di una cultura sofisticata e irripetibile, oggi non più confinata tra le vette himalaiane, ma dispersa nel mondo con i suoi contenuti universali. In questo senso l'importanza del Tibet è enorme. Il risultato dello sforzo tibetano, durato secoli, rappresenta infatti per l'umanità una straordinaria esperienza di verità: "L'uomo è un essere positivo".

Col Tibet infatti, attraverso il semplice sorriso di un tibetano fiorisce l'idea che l'uomo non è un lupo da cui difendersi con la violenza, le leggi, gli eserciti, le mille paure, ma un essere sublime con un'intera scintilla di perfezione nel cuore. Ed ognuno al di là di ogni povertà, di ogni razza, ogni credo, può con le sole sue forze riscattassi ed elevarsi. Buddha era un uomo come noi. Essere uomini significa ereditare dal proprio destino questa luminosa certezza. Guardarci dentro, camminando nel mondo possiamo fidarci do noi stessi e degli altri. Il Tibet è l'espressione di questa fiducia. Certo sono molti ad obbiettare che questa civiltà tibetana, pur così profonda, non ha saputo capire il mondo e non ha saputo tutelare se stessa tanto da lasciarsi facilmente ingoiare dalle fauci cinesi, proprio per la mancanza di un dialogo costruttivo con l'esterno. Tutto ciò è vero ed i cannoni cinesi hanno avuto buon gioco contro una società incredula più che impotente davanti a tanta barbarie. Ma è anche giusto riflettere sulle responsabilità della religione che ha creato in Tibet un arretramento tecnologico di stampo medioevale, instillando nella gente la fatale illusione che il Tibet potesse per sempre cibarsi del suo splendido isolamento. Un isolamento continuato anche dopo l'invasione cinese che ha impedito un vero aiuto mondiale alla causa tibetana ed ha costretto a sforzi enormi chiunque volesse sensibilizzare il mondo al dramma del Paese delle Nevi. Oggi, al contrario, dopo tanta stampa e films, si sente dire che il Tibet è di moda e che corre addirittura il rischio di essere travolto e digerito dalla nostra fame occidentale per essere poi rapidamente sostituito da altre mode. Lasceremo di nuovo il Tibet nel suo dramma dopo avere oltretutto stimolato i tibetani a diventare occidentali piuttosto che gli occidentali a diventare tibetani.

Occorre però dire che la popolarità del Tibet e del Dalai Lama in Occidente è necessaria per alimentare pressioni sul governo cinese da parte dell'opinione pubblica stimolata dai mass-media.

Perché il Tibet ha bisogno di noi, della nostra solidarietà per continuare la sua lotta e salvare la sua preziosa cultura dall'estinzione. Ma è altrettanto vero che anche noi abbiamo un grandissimo bisogno del Tibet. Sì, perché il Tibet è la coscienza del pianeta, una luce che spegnendosi renderebbe vano l'olocausto di un popolo mistico e sarebbe la sconfitta della parte migliore di noi. Tibet è oggi questa sfida. E' una sfida alla barbarie di un millennio tecnologico ed insensibile, è una risposta ad un mondo dominato dai profitti dell'economia e non dai valori della morale e della spiritualità. E' la risposta del benessere di tutti contro la ricchezza di pochi. E' soprattutto il richiamo al risveglio spirituale per salvare la nostra vita e quella del pianeta terra. Quello che ci insegna il Tibet è evidente: non dobbiamo aspettare nessun Messia, il Dalai Lama dobbiamo essere noi, qui e adesso. Per risvegliare l'anima e farla sorridere.

Stefano Dallari


KYIL-KHOR: IL MANDALA

I Mandala fanno parte delle raffigurazioni di tipo meditativo: essi rappresentano la creazione metafisica del mondo. Sono simboli cosmici che riproducono l'ordine dell'Universo attraverso la loro rigorosa costruzione geometrica e sono sempre disposti in modo tale che l'intero quadro sia costruito a partire da un pulito centrale. Essi sono per lo più sviluppati in un quadrato, con sporgenze (le Porte) sui quattro lati e suddivisi mediante diagonali in quattro parti di diverso colore.

Kyilkhor può essere tradotto con cerchio e la parola sanscrita Mandala significa "raggruppamento" o "associazione", nel senso che ogni cosa si raggruppa attorno ad un punto centrale.

Il Mandala è circondato da un recinto di vajra (diamante, folgore uno dei principali oggetti rituali tantrici), allo scopo di tener lontano ogni tipo di interferenze. All'interno appare un simbolo della sorgente della realtà, a forma di tetraedro, con i tre angoli del triangolo superiore che simboleggiano corpo, parola e mente di Buddha.

Il loro espandersi graduale, dalla più bassa alla più alta sommità, rappresenta l'incremento di conoscenza e saggezza. All'interno compare un sedile di loto, che simboleggia la purezza e reca al centro un doppio vajra, simbolo delle Cinque Saggezze. Sopra il centro quadrato del doppio vajra sorge la "Dimora Indistruttibile", all'interno della quale vi sono i troni delle "divinità": sedili di loto bianco su cui sono adagiati un disco di luna, simbolo della Grande Compassione che spegne il fuoco della sofferenza, e un disco di sole, simbolo della Saggezza che sradica l'ignoranza, comprendendo la mancanza di esistenza assoluta di tutti i fenomeni, ovvero la "vacuità".

Nella maggior parte dei Mandala i Buddha delle cinque famiglie rappresentano i cinque aggregati psicofisici purificati, le cinque madri sono i cinque elementi purificati e le cinque divinità sono i cinque sensi.

Esistono diversi modi di costruire un Mandala: alcuni sono tridimensionali, altri a due dimensioni fatti con la sabbia o dipinti su stoffa; altri ancora vengono visualizzati, come il Mandala del corpo. Anche le dimensioni possono variare: alcuni sono talmente piccoli da stare nel palmo di una mano. I Mandala di sabbia colorata o polvere profumata hanno carattere puramente transitorio: essi sono creati per determinate cerimonie al termine delle quali vengono poi dissolti con un rituale il cui significato più evidente rimanda ad uno dei cardini della filosofia buddista: l'impermanenza di tutte le cose.

Per costruire un Mandala di sabbia bisogna usare molti colori, utilizzando pietre preziose, corallo, polvere d'oro, pietre dure, sabbie, terre, fiori e carbone. Le polveri colorate vengono disposte con l'ausilio di cornetti metallici dotati di diversi fori che lasciano cadere la sabbia andando a comporre il disegno, operazione che richiede una grande precisione e abilità.

Tutte le composizioni hanno in comune certi principi inerenti al loro carattere di immagine poste al di fuori del tempo e dello spazio: la simmetria, l'assialità, la centralità, la frontalità. Centralità significa non soltanto disposizione attorno al centro, ma anche preponderanza del centro, nel senso che la figura centrale è più grande e le altre vanno via via rimpicciolendosi con il diminuire della loro importanza gerarchica. La frontalità implica l'ordinamento delle figure su di un piano ed in posizione frontale rispetto l'osservatore, il che le pone al di fuori dello spazio empirico, tridimensionale del mondo fenomenico: questo perché i personaggi raffigurati si sottraggono tutti alla sfera del samsara (ciclo ininterrotto di nascitamorterinascita) e sono al di là dello spazio e del tempo.

L'arte deve mettere in evidenza questa extraspazialità e temporalità indicando il carattere simbolico ed ideale dello spazio in cui essi appaiono, al contrario delle composizioni narrative, immerse nello spazio e nel tempo del mondo empirico e nella sfera delle azioni e della sofferenza umana.

Il Mandala, rappresentazione visiva di una manifestazione della Trasformazione, è uno degli elementi fondamentali della pratica del Tantra: è quasi una fotografia scattata al momento della manifestazione pura della divinità.
Al centro c'è la divinità principale, intesa sempre come archetipo e mai come un essere che presiede alle attività dell'uomo: essa rappresenta la condizione primordiale dell'esistenza corrispondente all'elemento spazio. Alle quattro direzioni, rappresentate dai colori degli altri quattro elementi, ci sono altrettante forme di divinità che simboleggiano le funzioni della saggezza nelle quattro azioni:
elemento acqua colore bianco azione pacifica, ad est;
elemento aria - colore verde azione feroce per la sottomissione delle forze negative, a nord;
elemento fuoco colore rosso azione del potere, a ovest;
elemento terra colore giallo azione della crescita, a sud.

Riportando il simbolismo del Mandala alla nostra vita ordinaria, possiamo immaginare che qualsiasi posto in cui ci troviamo sia l'area del nostro Kyirkhor, qualsiasi cosa facciamo sia parte dell'energia del nostro Kyir-khor. Ci troviamo al centro del nostro mandala e alla periferia di quello degli altri: è un'energia totalmente interpenetrante. Anche se ci trovassimo in un eremo solitario, non potremmo mai isolarci completamente: ci sarà sempre qualcuno che pensa a noi, che si chiede come stiamo; anche se moriremo, gli amici e i figli ci ricorderanno come parte del loro Kyirkhor. E' un'energia danzante: non è possibile escludere gli altri dal nostro Mandala, ne' essere esclusi da loro. Il Kyir-khor è quindi la nostra esperienza, sensazione, consapevolezza di trovarsi a vivere nel mondo, noi in relazione ad insiemi, irradianti simmetricamente, di condizioni, luoghi, atmosfere, tempi ed elementi costitutivi.

Ognuna delle cinque espressioni dell'Essere è associata ad un colore, ad un elemento ed a una forma simbolica, collegata alle stagioni, ai momenti della giornata, ai punti cardinali e ad ogni aspetto del mondo fenomenico. I cinque campi di energia sono le condizioni, le circostanze, le situazioni, le personalità, le tendenze e le forze interagenti che costituiscono le nostre relazioni con gli altri.

I monaci impegnati nella costruzione del Mandala e nell'esecuzione delle danze Cham, provengono dal Monastero di Kopan, fondato nella valle di Katmandhu da Lama Yeshe e da Lama Zopa nel 1970, anno in cui fu avviato il primo corso di meditazione per occidentali che da allora si svolge ogni anni, in novembre. Lama Zopa Rinpoche è ora il capo spirituale della Fondazione per Preservazione della Tradizione Mahayana (FPMT), che conta attualmente più di sessanta centri e varie attività in tutto il mondo.

La FPMT lavora allo scopo di alleviare le sofferenze fisiche e mentali degli esseri: il Maitri Leproshi Centre, per esempio, gestisce nove cliniche per la prevenzione ed il trattamento della lebbra nel Bihar, in India; in Australia molti gruppi operano al fine di creare istituti di accoglienza per malati terminali; "The Land of Medicine Buddha" in America, gestisce un centro di guarigione fondato su pratiche di purificazione fisica e mentale.

Lama Zopa viaggia in continuazione per questi centri, insegnando e assistendo migliaia di studenti; egli è noto come un perfetto esempio degli insegnamenti che offre e mostra tutte le qualità di un Bodhisattiva nel suo instancabile e compassionevole lavoro per gli altri.

"Fino a quando esisterà lo spazio,
Fino a quando gli esseri senzienti soffriranno, lo sarò là,
Per servire il più possibile".
Shantideva


L'ARTE TIBETANA

Le rappresentazioni artistiche del Tibet sono profondamente legate alla pratica del Vayrayana. Questa forma di Buddismo ha mantenuto gli elementi essenziali dell'insegnamento del Buddha e nel contempo ha fatto proprie alcune espressioni culturali delle tradizioni tibetane prebuddiste.

Scopo del Vajrayana è sempre la liberazione dell'uomo dal dolore e dalla sofferenza, liberazione che può essere conquistata solo attraverso il raggiungimento dell'Illuminazione, stato superiore di coscienza al di là della vita e della morte.

Grazie ad un ricco patrimonio di tecniche meditative, visualizzazioni, rituali, esercizi psicofisici, il praticante Vajrayana addestra la sua mente alle più alte forme di consapevolezza che lo mettono in grado di ottenere quella "visione intuitiva", quella chiarezza psichica che conducono alla "conquista" dello stato di Buddha.

Tutte le manifestazioni della poliedrica arte tibetana, dalle danze Cham, al teatro, alla scultura, alla pittura alla costruzione del Mandala di sabbia, sono strumenti di un processo evolutivo interiore, spesso inaccessibile ai profani e comprensibile solo agli iniziati.

Talvolta le molte figure sono condensate in una singola figura complessa che mostra numerose teste, braccia, mani; oppure abbiamo raffigurazioni di un'unica divinità rappresentata in unione corporale con il suo elemento femminile (Shakti) o ancora compaiono demonizzazioni di talune sequenze di figure (Protettori del Dharma): il significato di tali rappresentazioni tantriche è stato troppe volte frainteso ed il Lamaismo è stato spesso frettolosamente definito come corrotto a causa della mancata comprensione di una simbologia estremamente raffinata. In realtà queste figure non erano create per essere esposte alla vista di non praticanti, ma destinate solo a coloro spiritualmente preparati, attraverso il Metodo e sotto la guida del Maestro, alla interiore comprensione di tali immagini.

Il praticante entra così in contatto con i suoi archetipi interiori, con quelle energie mentali che normalmente non vengono utilizzate perché giacciono negli strati profondi della coscienza. Le cosiddette divinità del Pantheon tantrico, lungi dall'essere considerate degli dei che sovrintendono agli affari del mondo, incarnano invece determinati aspetti della mente umana. Esse funzionano da promemoria, al fine di ricordare al praticante che il suo scopo è quello di entrare in contatto con quelle energie mentali interne simbolicamente raffigurate dalla divinità.

Il senso profondo dell'immagine del Buddha, così frequentemente dipinta sulle "tangke" (composizioni pittoriche su lino bardato di seta), è ricordare che il principio dell'Illuminazione è già insito nella dimensione umana.

Pittori e scultori sono spesso dei religiosi, tanto che i termini con i quali essi vengono designati significano: "pittori di divinità" (Iliabripa) o "fabbricanti di divinità" (lhabzopa). Essi si considerano umili artigiani e non creatori individuali, tanto che pitture e sculture non sono quasi mai firmate: la rappresentazione figurativa è un atto religioso, non meno della visualizzazione mentale della meditazione.

La necessità di creare divinità, così come il codice rituale scaturito dalla meditazione vuole che sia, è alla base del realismo che caratterizza queste opere d'arte: le statue sono vestite e ornate di pietre preziose vere; laddove il significato della divinità lo esige, il sesso è espressamente sottolineato, come per Yama e le Dakini; le maschere rappresentano un'iconografia codificata che ha fissato l'aspetto reale delle figure del Pantheon.

Come nella creazione poetica del Bardo, stadio intermedio fra morte e successiva rinascita, la divinità è evocata in meditazione prima di essere dipinta o viene precedentemente vista in sogno, come nel caso del "Grande scopritore di tesori" Mingjur Dorje, il quale annotava, sempre in sogno, la biografia segreta di una divinità o ne riceveva sotto dettatura il testo!

A volte l'artista non fa parte di un ordine monastico, ma in ogni caso deve essere istruito sotto la guida di monaci esperti: la sua opera deve servire allo scopo per cui è creata. Diventa così obbligato non soltanto il tema, ma anche la composizione, la proporzione dei corpi, l'esatta riproduzione di tutte le parti del corpo: non si tratta soltanto di norme tecniche necessarie per ottenere buoni risultati, ma dello stesso pensiero cosmologico di base, il quale fa si che anche nei più piccoli dettagli di ogni opera sia nascosta una precisa simbolistica.

Al pittore si richiede anche grande abilità nel preparare i colori: egli predilige i colori luminosi, così come sono quelli dei paesaggi in cui vive e utilizza sostanze minerali o vegetali che vengono finemente triturate in mortaio, solubilizzate in acqua e mescolate con colla prima di essere stese sul tessuto.

Tutto quanto si è detto per la pittura vale anche per l'arte plastica, mentre l'arte del bronzo richiede maggiori capacità tecniche, per questo di rado raggiunge quel contenuto visionario caratteristico delle pitture di qualità migliore. Ottenere un pezzo pregiato dipende soprattutto dall'abilità del fonditore, professione tramandata, in base alle più antiche notizie a disposizione, da artisti nepalesi: attraverso essi, l'arte della dinastia Pala del Bengala arrivò fino al Tibet dove i fonditori tibetani divennero artigiani specializzati del settore, servendosi del procedimento tecnico della "cera perduta".

La doratura dei bronzi presenta una meravigliosa lucentezza probabilmente dovuta all'uso di lamine d'oro di non comune sottigliezza applicate su un fondo rosso di lacca con il quale il bronzo era stato precedentemente ricoperto.

Così come le opere pittoriche, anche le sculture erano utilizzate durante i rituali e munite di una formula suscitatrice di vita (mantra), inclusa nella statua su una sottile striscia di carta.

Mulini di preghiere, vajra, campane, amuleti, trombe sono spesso piccole opere d'arte decorate da intagli e tempestate di pietre preziose.

Difficile afferrare i significati più profondi dell'arte tibetana, soprattutto in un'epoca come la nostra in cui gli uomini mostrano scarso rispetto per i valori umani e religiosi e lavorano anzi ad annullare tutto quello che ha costituito per secoli l'essenza della vita e che ha permesso di penetrare sempre più a fondo nei segreti dell'animo umano per tradurli poi in termini di una simbolistica di incomparabile bellezza, capace di dare a ciascuno il proprio, adeguato alla sua capacità di comprensione, in una forma ottenuta attraverso tecniche estremamente raffinate.


TIBET OGGI

Il Tibet, nazione indipendente con una storia che risale al 127 a.C., è stato invaso nel 1949 dalla Repubblica Popolare Cinese. L'invasione e l'occupazione sono state un atto di aggressione e una palese violazione delle leggi internazionali. Oggi il Tibet è oppresso da un'occupazione illegale e repressiva.

Un milione e duecentomila tibetani, un quinto della popolazione, sono morti come risultato dell'occupazione cinese.

Migliaia di prigionieri religiosi e politici vengono detenuti in campi di lavoro forzato, dove la tortura è pratica comune.

Uno degli aspetti più penosi della dominazione cinese è stato il "Tharrizing" o "seduta di rieducazione", durante la quale i tibetani erano costretti ad autoaccusarsi di crimini non commessi e ad autodegradarsi. I bambini erano sovente obbligati ad accusare i genitori di aver compiuto questo o quel crimine e a colpirli con sassi. Molti genitori, a loro volta, hanno assistito all'esecuzione dei loro figli, sono stati costretti a pagare i proiettili usati per ucciderli e a ringraziare i cinesi per aver eliminato "elementi antisociali".

Le donne tibetane sono soggette tuttora a sterilizzazioni forzate e a procurati aborti: occorre che i cinesi in Tibet siano sempre più numerosi e i tibetani sempre meno.

Spesso vengono sterilizzate in condizioni spaventose tutte le donne in età fertile di un paese: radunate a forza davanti ad una tenda montata allo scopo, sono costrette ad attendere il loro turno ascoltando le urla delle donne operate all'interno. Manca totalmente qualsiasi forma di anestesia. Altissima è la percentuale di donne morte per infezione, poiché vengono obbligate ad abortire anche donne gravide di cinque o sei mesi. Le donne tibetane si rifiutano di partorire negli ospedali perché in molti casi il bimbo viene loro sottratto e considerato "morto durante il parto".

Inoltre il Tibet, un tempo pacifico stato cuscinetto tra l'India e la Cina, è stato trasformato in una vasta base militare che ospita buona parte della forza missilistica nucleare cinese, valutata complessivamente in 350 testate nucleari.

Esistono ormai in Tibet numerose miniere di uranio dove la manodopera è tutta tibetana; parecchie persone che vivono nei villaggi vicini alle basi atomiche, ai luoghi d'interramento delle scorie nucleari e alle miniere d'uranio, sono gravemente malate, mentre continuano a nascere bambini deformi, i campi non danno più colture, gli animali muoiono e le acque di fiumi che attraversano vasti territori dell'Asia, quali il Brahmaputra, sono contaminate da materiale radioattivo. Tutto il subcontinente indiano rischia la contaminazione.

Le risorse naturali del Tibet e la sua fragile ecologia stanno per essere irrimediabilmente distrutte. Gli animali selvatici sono stati sterminati, le foreste abbattute, il terreno impoverito ed eroso. Le immense foreste delle regioni orientali del Kham e dell'Amdo, intatte sino alla metà di questo secolo, grazie ad una sorta di ecologismo naturale proprio del Buddismo, sono ormai ridotte a spelacchiate macchie circondate da un vero e proprio deserto. La deforestazione del Tibet procede senza sosta dal 1963 ventiquattro ore su ventiquattro.

Più di 6000 monasteri, templi ed edifici storici sono stati razziati e rasi al suolo, le loro antiche opere d'arte e i tesori della letteratura sono stati distrutti o venduti dai cinesi, migliaia di statue d'oro di valore inestimabile sono state fuse, trasformate in lingotti e trasportate a Pechino.

La Cina proibisce in Tibet l'insegnamento e lo studio del Buddismo, l'odierna apparenza di libertà religiosa è stata inaugurata unicamente per fini di propaganda e turismo. Finti monaci prezzolati popolano finti monasteri, mentre i monaci e le monache vengono espulsi, maltrattati ed imprigionati.

Oppressione ed atrocità regolano la vita dei tibetani rimasti in Tibet la cui esistenza si svolge come in un incubo senza fine.

Prima della sua fuga dal Tibet S.S. il Dalai Lama aveva attivamente promosso la costituzione democratica, combinando i principi buddisti della non violenza e della tolleranza con la democrazia popolare.

Il Covento Tibetano in esilio, con sede a Dharamsala, in India, è stato riorganizzato secondo principi democratici: esso amninistra tutte le questioni che riguardano i Tibetani in esilio incluse la rifondazione, la preservazione e lo sviluppo delle strutture educative, nonché la lotta non violenta per la restaurazione della libertà.

Nonostante la rigida chiusura del Governo di Pechino che si ostina a negare l'esistenza di una "questione tibetana", dal 1959 ad oggi il Dalai Lama ha formulato diverse proposte politiche per sbloccare la situazione ed avviare un serio negoziato.

Il progetto più articolato è costituito dal Piano di Pace in Cinque Punti presentato dal Dalai Lama nel 1987, documento in cui si chiede che l'intero territorio del Tibet venga dichiarato "zona di pace" e smilitarizzato; che cessi la politica di massiccia immigrazione dei coloni cinesi, la quale sta riducendo i Tibetani ad una minoranza nel loro stesso paese; che siano garantite agli abitanti le libertà democratiche e i diritti civili; che cessi lo sfruttamento selvaggio e sistematico dell'ecosisterna tibetano e che inizino al più presto serie e concrete trattative tra le autorità della Repubblica Popolare Cinese e il Governo Tibetano in esilio, per trovare una soluzione pacifica e democratica al dramma del Tibet.

A tutt'oggi il governo di Pechino non ha dato risposta.


Intervista a Fosco Maraini

Qual è stato l'incontro piú importante che tu hai fatto in Tibel? Quello che ti è rimasto maggiormente dentro? L'incontro con i luoghi o con gli uomini?
Tutti e due sono stati importanti; certo, con i luoghi è molto più facile perché, pur non parlando, comunicano senza la difficoltà della lingua; con la gente, invece, devi superare la differenza linguistica. Certamente tutti e due sono stati significativi.

Il fatto che tu abbia voluto approfondire il rapporto con questa gente, imparando la lingua, significa che hai scoperto delle sintonie con questo popolo, o è stata solo una curiosità?
Ho sentito delle sintonie, eccome! Mi piace il loro atteggiamento; quello di allora, perché ora non so, era positivo, geloso verso la vita che sentivano come una cosa bellissima. Lo percepivi immediatamente, venendo dall'India o dal Nepal, dove la gente ha sempre l'aria un po' annoiata, stanca e critica di tutto. D'un tratto incontravi i primi tibetani che ti battevano grandi pacche sulle spalle, che cantavano, che bevevano, invitandoti a mangiare in loro compagnia, come se ti conoscessero da sempre. C'era molta immediatezza.

Quindi gioia e fratellanza?
Una gioia e fratellanza straordinarie, riconosciute da tutti.

E da che cosa deriva, secondo te, questa carateristica?
Io credo derivi da questa natura così ostica, che impone uno stile di vita speciale: nel Tibet vero e proprio le persone sono sempre poche, sole; in queste solitudini incontrare qualcuno è una gioia e la persona che si incontra è, fino a prova contraria, sempre un amico.

Però, Fosco, questa gioia c'era anche nelle città?
Non si può parlare di vere e proprie città: in Tibet, all'infuori di Lhasa che aveva allora 50.000 abitanti, e Chiantze con 10.000, gli altri erano paesotti.

Qnando sei arrivato in Tibet, che tipo di società hai trovato: feudale o abbastanza
equilibrata? Esistevano disparità sociali?
Sì, c'erano disparità sociali, certamente; però non l'estrema povertà che era invece modica e dignitosa.

C'erano mendicanti per le strade di Lhasa?
Sì, c'erano mendicanti, ma non molti a Lhasa e nelle grandi città. Li trovavi invece più numerosi in quei pochi centri abitati, ma non era un'angosciosa miseria, come trovavi in India, a Calcutta. Era una cosa imparagonabile.

Fosco, ti sei sorpreso nel vedere quanta popolazione maschile si faceva monaco? Hai analizzato l'importanza della religione?
Beh, effettivamente uno restava un po' sconcertato, sbalordito. Era proprio un'esagerazione.

Questo, secondo te, dipendeva da un'esasperazione religiosa, da in controllo demografico o da un ritmo di vita che aveva bisogno di questo tipo di equilibrio?
E' difficile a dirsi se era un controllo inconscio, ma non credo; era piuttosto il fatto che la chiesa Lamaista Ghelupa rappresentava una situazioive favorita, per cui tanti cercavano di entrarci.

Quindi, secondo te, era un potere?
Era un potere, quindi entrarci a far parte era importante; ogni famiglia cercava di avere un figlio che fosse Lama e che facesse carriera.

Era quindi una specie di democrazia allargata: ogni fainiglia poteva avere un suo membro a livello di potere.
Sì, certamente. C'era un equitismo democratico, nel senso che anche il figlio della più povera e misera coppia, se intelligente e studioso, poteva raggiungere gradi molto alti nella gerarchia.

La reincarnazione, secondo te, a cosa rispondeva? A una logica di ricerca?
La teoria della reincarnazione è cominciata nell'alto medioevo, molto prima dei Chelupa e dei Dalai Lama, nel '200, forse prima, con le sette del tempo e della mentalità di allora. Mentalità talmente diverse da quella di adesso, che è difficile per noi entrare nel loro pensiero. Davvero credevano che il morto, il grande luminare, si dovesse reincarnare. Questa origine antica si è protratta fino al giorno d'oggi. Non vi è dubbio che tutto ciò è stridente con gli atteggiamenti moderni.

Tu, Fosco, non credi nella reincarnazione?
Mah! Non è vero che non credo; non ci sono elementi per dire sì, né per dire no; resto agnostico.

Dal punito di vista pratico porta alcune conseguenze importanti: l'uomo ha a che fare con sé stesso anche dopo la morte; in pratica, aiuta a prevedere.
Sì, la reincarnazione, in quanto tale, mi sembra una delle migliori spiegazioni del dramma umano. Ad esempio, il grande problema della sofferenza dei bambini e degli innocenti, come la spieghi se la vita è una, e si contrae una sola volta sulla scena del mondo? E' tale ingiustizia che bisogna proprio presupporre degli ordini nel cosmo, che lascia profondamente perplessi. Viceversa, la reincarnazione resta sempre come ulteriore possibilità, spiegherebbe la sofferenza dei bambini e degli innocenti.

Quindi aiuterebbe questi innocenti ad accettarla oltretutto?
Sì, e anche gli altri. Non si può generalizzare, però: un bambino che soffre fa soffrire anche chi lo osserva.

Noi siamo abituati a considerare le cose legate a noi, mettere sempre l'individuo al centro delle attività, delle responsabilità. Questo si respirava anche in Tibet?
No, c'era un senso comunitario molto forte. In tutti i paesi dell'Estremo Oriente, che hanno subito l'influsso del buddismo, c'è un senso comunitario più forte che da noi. C'era anche in Tibet, meno che in Giappone, ma c'era.

C'è uno sforzo, da parte di alcune persone, di allargare questa "concezione" di vita tibetana, anche all'occidente. Come lo vedi?
Mi sembra che ci sia un vasto movimento disperso in tanti rivoli, specialmente in America, Francia, Svizzera.

E vedi questo in maniera positiva?
Certo, qualsiasi allargamento di orizzonti è positivo.

Sono i meccanisini che possono funzionare anche in occidente?
Anche se trovano delle difficoltà a livello di massa, sono comunque degli allargamenti di orizzonte che possono servire almeno a livello d'élite.

Che cosa è, secondo te Fosco, l'essenza del Tibet?
Mi sembra che in Tibet si sia veramente vissuto il buddismo in maniera totale, molto più che in Cina, in Giappone e in Corea, dove altre forze si sono sempre accompagnate a quella buddista. In Tibet sì, ma il bonpo, che non è da paragonare allo Shinto, si è talmente plasmato sui tibetani e sul buddismo, da diventare poi la religione originale, una specie di specchio invertito del buddismo.

Tornando ai giorni nostri, Fosco, qual'è la tua attenzione, la tua visione dei prossimi anni dell'umanità?
Riguardo al Tibet?

No, in generale. Durante il tuo vasto cammino, hai visto l'umanità trasformarsi molto, molto rapidamente.
Mah! Purtroppo non è che sia molto ottimista, per due ragioni: una che siamo sempre di più e quindi le possibilità di frizione aumentano, non diminuiscono; poi per lo sviluppo della tecnologia, con armi sempre più specializzate, siamo sempre più velenosi, sempre più pericolosi. Quindi non so, non vedo ci siano ragioni di grande ottimismo. Forse, se succederà qualche grande cataclisma, dopo può essere che ci sia un miglioramento.

Tu hai seguito l'uomo anche attraverso le guerre ed i cataclismi, ma non sembra che tutto ciò sia servito a modificare profondamente l'atteggiatnento umano verso gli altri.
No, gli atteggiamenti umani restano praticamente immutati; però le guerre trasformano il mondo, non vi è dubbio. Basta guardare cosa è stata la seconda guerra mondiale, le cui conseguenze sono durate fino a pochi giorni fa. Ed è a causa dello sfaldamento di queste conseguenze che noi ora viviamo in un momento di grande rivoluzione. Le guerre sono, senza dubbio, delle terribili tragedie, che certamente trasformano l'umanità.

L'arrivo sulla piana di Pari, che cosa è stato per te?
Ah! E' stata una cosa indimenticabile: esci da una valle stretta, una gola boscosa e, tutto d'un tratto, sbocchi di colpo in un altopiano sconfinato, dove la cosa più vicina che vedi è a 30 chilometri. Vedi il Chiomolari, questa massa colossale, e vedi un puntino minutissimo, come un capo di spillo: che cosa è? Forse uno yak, forse una tenda, forse un altro puntino .... cambia dimensione immediatamente. Passi da un mondo normale, dove le cose hanno normali dimensioni, a un mondo dove tutto è misurato in altri temi.


Tashi Tsering Lama: il pittore d'oro

Tashi Tsering Lama, considerato uno dei migliori pittori tibetani viventi, è nato il 15 Marzo 1959 a Kalimpong in Tibet. Come molti altri tibetani la sua famiglia è fuggita dal Tibet a seguito dell'invasione cinese del 1959.

Fin dai primi anni di vita Tashi ha dimostrato uno spiccato interesse per le pratiche spirituali e in particolare per la pittura sacra tradizionale tibetana, per questo è entrato all'età di dieci anni nel monastero Chumey Tantric College nel sud dell'India dove ha approfondito le tecniche di pittura tradizionale con grandi maestri come Nawang Norbu, Chortin Jamaing e Sangye Gyatzo.

Lasciato il monastero, nel 1985 si è stabilito a Katmandu, in Nepal, si è sposato con una tibetana, Lamu, ed ha avuto due figlie, Tenzin e Dicky.

Qui ha organizzato numerosi corsi per studenti occidentali e ha dato lezioni di pittura tradizionale per conto dell'Università americana del Wisconsin.

Tashi ha dipinto tanke per i monasteri tibetani più importanti dell'India e si è guadagnato l'appellativo di "Golden Painter" (il pittore d'oro) per la sua particolare abilità nell'uso dell'oro.

Dal 1994 si è stabilito in Italia a Votigno di Canossa (Reggio Emilia) il borgo medievale che ospita la Casa del Tibet di cui Tashi è direttore.

Qui Tashi ha magistralmente affrescato un tempio in puro stile tibetano e dipinto alcune splendide opere sacre su pietra.

Tashi è anche un attivo divulgatore della cultura tibetana con corsi, conferenze e dimostrazioni pittoriche in ogni parte d'Italia.

Tashi Tsering Lama - Votigno di Canossa 42026 Reggio Emilia Tel. 0522 877177


La casa del Tibet di Votigno di Canossa (RE)

Sorta nel marzo del 1990 sotto gli auspici del Dalai Lama, la casa del Tibet di Votigno di Canossa (Reggio Emilia) è un Centro Culturale internazionale per la salvaguardia e la diffusione della cultura tibetana. La casa del Tibet, unica in Italia, è ospitata nell'antico borgo medioevale di Votigno, sulle colline reggiane, a pochi Km dal castello di Canossa, luogo della storica mediazione del 1077 fra Papato e Impero grazie alla Contessa Matilde.

Fondata da Stefano Dallari, medico reggiano, la Casa del Tibet, dal giorno della sua nascita, ha svolto un'intensa e proficua attività culturale organizzando tra l'altro mostre di alto livello in alcune città d'Italia. Inoltre offre presso la sua sede, una biblioteca, un luogo per la meditazione, un museo sul Tibet e spazi per tavole rotonde, seminari, corsi, etc. con possibilità di alloggio.

Particolare è l'impegno della casa del Tibet nel campo del dialogo interreligioso e della spiritualità.

Direttore del Centro è il pittore tibetano Tashi Tsering Lama che vive nel borgo con la moglie Lamu ed è considerato a livello internazionale uno dei maggiori esperti di pittura sacra tibetana.

Si deve alla sua arte il bellissimo tempio tibetano al centro del borgo, a pochi passi dalla chiesetta dedicata a S. Francesco di Assisi ed altre opere che contribuiscono a dare un'atmosfera tibetana all'antico borgo medioevale tanto che un giornalista ha definito Votigno 'La piccola Lhasa italiana".

Fosco Maraini, lo scrittore e fotografo fiorentino protagonista di storiche spedizioni in Tibet e del libro "Segreto Tibet", è il Presidente Onorario della Casa del Tibet a cui ha donato le splendide foto scattate dal 1937 nel Paese delle Nevi.
Presidente Onorario è anche la cantante Ivana Spagna autrice della canzone "10 Marzo 1959" dedicata al giorno in cui il Paese delle Nevi ha perso la sua libertà.

Il centro è aperto tutte le domeniche pomeriggio; su appuntamento telefonando allo 0522 877177


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