Federico Dall'asta

Davide Manferdini

 

 

La gestione del capriolo nel Parco regionale

"Boschi di Carrega" (Parma)

*

 

 

PREMESSA

Il carattere di questa relazione non è certamente sperimentale, ma puramente compilativo. Si tratta di una rielaborazione di nozioni e dati già presenti in letteratura. Anche le parti grafiche sono digitalizzazioni, ridimensionamenti e ritocchi di materiale già pubblicato.

Desideriamo ringraziare il personale del Centro Parco e della cooperativa Oikos per la disponibilità e l'attenzione dimostrata.

 

INTRODUZIONE

Il Consorzio per la Zona dei Boschi di Carrega (attualmente Consorzio Parco regionale Boschi di Carrega) viene costituito negli anni '70 tra le Amministrazioni comunali di Collecchio, Felino, Fornovo, Sala Baganza, Parma e l'Amministrazione provinciale di Parma con il fine di tutelare l'area dei Boschi di Carrega. Nel marzo del 1982 viene istituito il Parco con D.P.G.R. n°136. Dallo stesso decreto è stato definito il regolamento del Parco (1987). Entrambi gli atti hanno trovato conferma giuridica nella L.R. 11/88 e nella successiva L.R. 40/92.

Il territorio del Parco Regionale Boschi di Carrega confina con i centri abitati di Collecchio a nord, Sala Baganza a est, e con i più piccoli insediamenti di Maiatico a sud, Cafragna e Talignano a ovest.

Geologicamente, i 1.260 ha del Parco si estendono sui depositi marini del paleo golfo padano e sui terrazzi alluvionali del fiume Taro e del torrente Baganza che si sono sviluppati nei periodi glaciali ed interglaciali, in una fascia altitudinale comprese tra i 120 ed i 325 m s.l.m. Nella zona sud-occidentale sono presenti affioramenti di rocce argillose che caratterizzano fortemente il paesaggio (di tipo calanchivo). Nell'intera zona sono molteplici le tracce dell'antica presenza del mare: ai numerosi ritrovamenti fossili (tra i più rappresentati sono i molluschi a livello di gruppo ed i gasteropodi a livello di specie) databili fino a 5,5 milioni di anni fa, si affiancano particolari strutture lasciate dal moto ondoso alla base degli odierni "torrioni di Maiatico".

Dai dati climatologici si desume un clima di tipo temperato subcontinentale considerando i dati di temperatura ed un clima sublitoraneo padano per i dati pluviometrici. Si tratta in entrambi i casi di una tipologia di clima axerico, con una subaridità nei mesi estivi di giugno e luglio. Il territorio del Parco non è quindi sottoposto ad importanti stress idrotermici. Inoltre la copertura vegetazionale e le condizioni morfologiche di particolari zone portano all'instaurarsi di specifici microclimi.

Dati dal 1976 al 1988 Temperatura (°C) Precipitazioni (mm) Umidità (%)

Media annua

12,0 841,7 73

Minima *

1,5 (gennaio) 50,7 (luglio) 65 (luglio)

Massima *

22,5 (luglio) 114,2 (ottobre) 82 (novembre)
* Valori medi mensili. I dati sono stati rilevati dalla stazione meteorologica interna al Parco, situata nelle vicinanze di via Case nuove e spostata nel 1985 nei pressi del Centro Parco.

Dal punto di vista vegetazionale, il Parco è ricco di flora erbacea con specie tipicamente collinari (Anemone nemorosa, Pulmonaria officinalis, Hepatica nobilis e Vinca minor), alcune specie montane (Geranium nodosum) e numerose specie appartenenti alla flora spontanea protetta. La dendroflora originaria dei Boschi di Carrega era probabilmente caratterizzata dalle formazioni tipiche dei querceti mesofili con dominanza di rovere (Quercus petraea), cerro (Quercus cerris), roverella (Quercus pubescens) e orniello (Fraxinus ornus). Nelle vallecole più umide si aveva la prevalenza del carpino bianco (Carpinus betulus) e farnia (Quercus robur).

L'assetto boschivo originario venne modificato da interventi volti a convertire particelle boscate in colture agrarie. Negli ultimi due secoli sono stati effettuati limitati interventi di forestazione ed avviamento all'alto fusto. Sono state introdotte specie alloctone a scopo ornamentale ed agricolo: castagno (Castanea sativa), faggio (Fagus silvatica), alcune specie di conifere (Picea abies, Pinus sylvestris e Cedrus atlantica), leccio (Quecus ilex), noce nero (Juglans nigra) e nelle zone agricole gelso (Morus alba) e vite (Vitis vinifera).

Nell'odierno paesaggio forestale si possono identificare varie forme di bosco: bosco di castagno, presente soprattutto in pendii con un suolo tendenzialmente acidulo, che occupa una superficie di circa 230 ha, il bosco di cerro, diffuso nella zona nord, per circa 110 ha, il bosco di rovere, in soli 7 ha, il bosco misto di querce con rovere, cerro e roverella (sul versante meridionale di Monte Castione si hanno popolamenti quasi puri di roverella). Inoltre, seppur meno diffusi, si trovano il bosco misto di latifoglie (circa 50 ha), il bosco misto di conifere e latifoglie (circa 30 ha) ed il bosco di conifere (circa 20 ha), frutto quest'ultimo dei rimboschimenti effettuati nella zona est del Parco.

Caso a se stante sono i circa 50 ha del Parco Monumentale, risalente all'800, situato nei pressi del Casino dei Boschi, dove sono state introdotte numerose specie esotiche o comunque estranee alla flora dei boschi locali. La micoflora del Parco può contare su di un numero di specie piuttosto elevato, circa 400 escludendo quelle microscopiche.

La diversità degli ambienti, le vicende storiche e l'istituzione stessa del Parco sono i presupposti che permettono alla zona di ospitare una ricca fauna composta sia da specie di pianura che di montagna. Di particolare rilievo sono: il capriolo (Capreolus capreolus) che trova un ambiente ideale nelle zone di transizione tra il bosco e le distese aperte, particolarmente rappresentate nel Parco, la testuggine d'acqua (Emys orbicularis), specie autoctona presente nei laghetti e negli stagni ed il cinghiale (Sus scrofa) che preferisce le boscaglie miste a latifoglie intersecate a zone umide. Sono inoltre numerose le specie di micromammiferi come topo ragno (Sorex araneus), arvicola [Microtus arvalis e Microtus (pitymys) subterraneus] e moscardino.

Tra i carnivori sono presenti volpe (Vulpes v. vulpes), tasso (Meles m. meles), faina (Martes f. foina) e donnola (Mustella nivalis). L'ittiofauna è quella tipica dei rii e dei laghetti, da segnalare la presenza nei laghetti della sanguinerola (Phoxinus phoxinus), un piccolo Ciprinide particolarmente sensibile alla qualità delle acque. L'erpetofauna è piuttosto consistente e l'ornitofauna ha una composizione abbastanza complessa, con circa 70 specie regolarmente presenti nel Parco.

 

Programma di gestione del capriolo

La presenza caratteristica dei Boschi di Carrega è sicuramente il capriolo (Capreolus capreolus). Oggetto di cacce nobiliari, venne praticamente estinto alla fine dell'800, fu reimmesso ai primi del '900 a scopo ornamentale e venatorio, mescolando in tal modo popolamenti antichi con altri più recenti. Oggi è diffuso in tutto il Parco e nelle zone contigue.

In gran parte del territorio il capriolo ha trovato un ambiente molto adatto: boschi di latifoglie dominato da querce e castagni appartenenti alla fascia submediterranea, con un ricco sottobosco, e numerose situazioni di transizione bosco/prato. In particolare i margini del bosco rappresentano la zona nella quale crescono più vigorosi arbusti appartenenti a varie specie che costituiscono, disposti a mosaico con radure prative, gli ambienti in cui la densità dei caprioli risulta più alta.

Il comportamento sociale del capriolo è abbastanza insolito: d'inverno ha tendenze gregarie e forma piccoli clan famigliari guidati da una femmina matura; in primavera ed in estate conduce invece vita sostanzialmente solitaria, con i maschi che difendono il proprio territorio scacciando i consimili. Il comportamento territoriale della primavera e dell'estate è testimoniato dalle marcature: particolarmente evidenti sono le "piazzole", piccole aree di territorio raspate con gli zoccoli ed i "fregoni", segni lasciati dal palco, che si sviluppa nel periodo invernale per poi cadere in novembre, sfregato contro cespugli ed alberelli. Tra luglio ed agosto si ha il periodo degli amori caratterizzato da lunghi corteggiamenti.

La popolazione di capriolo, sia a livello italiano sia europeo, è qui probabilmente tra le più elevate in quanto a densità (oltre 25 capi per Kmq). Dal 1985 vengono effettuati censimenti annuali e dal 1991 il Parco sta attuando un progetto specifico di conoscenza del capriolo con risvolti ed applicazioni pratiche sulla gestione: "Programma di gestione del capriolo".

Il Programma prevede due tipi di progetti:

- Progetti di monitoraggio i cui principali obiettivi sono le determinazioni della consistenza numerica, dello stato sanitario e delle nicchie ecologiche

- Progetti d'intervento volti ad un miglioramento delle tecniche di cattura, d'indagine e di liberazione allo scopo di ridurre i fattori stressanti per gli animali monitorati

Le operazioni di cattura sono state effettuate dopo attenta analisi della situazione operativa ed ambientale del Parco scegliendo il metodo della cattura con reti: si utilizzano 25 reti con maglia di 100 mm per 500 m di fronte utile. Ogni rete è armata con anelli nella parte superiore e cordone fisso nella parte inferiore per consentire l'insacco e lo scorrimento attorno all'animale catturato. Le aree di cattura vengono attentamente valutate in base alla presenza costante dei caprioli, alle caratteristiche del terreno, al numero, al sesso e agli spostamenti costanti degli animali da catturare.

Per la cattura sono stati organizzati tre gruppi di lavoro:

- personale di rete
- battitori: 2-3 gruppi guidati da un capo battuta che indirizzano gli animali verso la rete
- gruppo misure: costituito da veterinari e tecnici in grado di eseguire misurazioni biometriche ed il montaggio di targhette auricolari e radiocollari


Il gruppo misure lavora in apposite piazzole dove vengono raccolti, incaprettati e bendati, i caprioli catturati dal personale di rete. Tutte le operazioni vengono effettuate cercando di limitare al massimo i fattori traumatici per gli animali. Per esempio, dal punto di vista farmacologico sono state introdotte tecniche di manipolazione naturale e l'uso di prodotti omeopatici (Arnica, Nux vomica, Colchicum, Belladonna e Laurocerasus).

Dagli esami condotti non risulta un aumento degli indici di mortalità da depauperamento delle difese, né tanto meno alterazioni morfologiche. E' stata rilevata un'alta carica parassitaria interna, indice di un rapporto ospite/parassita squilibrato. Le morti occasionali si verificano quasi esclusivamente per incidenti dovuti a fattori antropici: investimenti dal traffico veicolare nelle strade interne o limitrofe al Parco, lavorazioni agricole, bracconaggio oppure dovute a cani randagi o smarriti.

Il Programma di gestione prevede anche una serie di trasferimenti di una quota degli animali catturati per la reintroduzione in altri Enti pubblici oppure privati che collaborino con Enti pubblici. Uno dei maggiori centri di accoglienza è il Parco Lombardo Valle del Ticino.

Sono qui riportati in forma schematica alcuni dati ottenuti dal Programma di gestione del capriolo nel periodo 1991-1994.

PROGRAMMA NAZIONALE INTEGRATO PER IL CONTROLLO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI

Il Parco è anche coinvolto in un progetto nazionale d'indagine sugli ecosistemi forestali: "Programma Nazionale Integrato per il Controllo degli Ecosistemi Forestali" (CON. ECO. FOR.). Questo progetto si colloca nel più generale contesto europeo che prevede la realizzazione di una rete permanente di sorveglianza continua ed intensiva degli ecosistemi forestali per almeno un ventennio.

In Italia il Programma è partito nel 1995 e comprende una rete di 20 nodi permanenti rappresentativi delle principali biocenosi forestali. In queste aree vengono condotte 17 tipologie d'indagine scientifica con lo scopo di studiare i cambiamenti strutturali e funzionali degli ecosistemi in relazione a possibili fonti d'inquinamento atmosferico o ad altri fattori di perturbazione su larga scala.

 

APPENDICE : LA STORIA

Già in epoca romana le zone attualmente occupate dal Parco risultavano coperte da fitti boschi (querce e castagni), il terreno collinare non rivelava una spiccata vocazione agricola. All'agricoltura erano dedicate le zone verso la pianura, comprese tra i greti del fiume Taro e del torrente Baganza, dove l'abbondaza d'acqua favoriva le coltivazioni.

Nel periodo medievale, sulle colline di Maiatico sorgevano una cappella ed un ospizio per accogliere i pellegrini che attraverso la via Francigena si dirigevano a Roma. Altra tappa importante in zona era Talignano, dove esiste ancora la pieve. I Longobardi durante il loro dominio ebbero una scarsa gestione unitaria del territorio, nonostante la presenza del sistema viario di origine romana.

Attorno all'anno mille, la zona fu interessata da un intenso disboscamento per ottenere legname da costruzione e per il riscaldamento. Si diffuse la struttura delle massae, complesso recintato comprendente un'abitazione ed un mulino. A metà del 1200 la famiglia Sanvitale si impose sui Franceschi nel feudo di Sala dove nel 1477 fu edificata la rocca come sede della famiglia e dalla quale si sviluppò l'insediamento abitativo. Il castello di Felino era l'altra residenza della famiglia. L'economia si basava prettamente sull'agricoltura, i disboscamenti continuarono progressivamente e un ricco sistema di canali favorì l'insediarsi di numerosi mulini. In seguito anche in queste zone si diffuse la mezzadria e si sviluppò l'allevamento stallico.

Nel 1545 venne istituito il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla ed iniziò il dominio dei Farnese. I territori ed i beni di proprietà dei Sanvitale passarono progressivamente in mano ai Farnese. L'area dell'attuale Parco venne a far parte di una grande riserva di caccia che si estendeva dalla zona di Sala Baganza fino al torrente Enza spingendosi anche verso la pianura. La caccia era regolamentata in modo preciso: esisteva un periodo in cui era vietata ogni attività venatoria e durante i periodi invernali era fatto obbligo ai proprietari dei terreni in prossimità della riserva di sgomberare parte dei campi dalla neve per favorire il nutrimento della selvaggina. Venne vietata ogni modifica alla vegetazione. L'unico intervento riguardò la realizzazione di alcune strade per addentrarsi meglio nella boscaglia.

Nel 1637 Odoardo Farnese estese la riserva fino al fiume Taro. Nello stesso periodo si diffuse l'allevamento di bovini, ovini e suini per la lavorazione degli insaccati. Questi ultimi sono tuttora importanti nell'economia locale.

Nel 1748 il Ducato passò sotto il dominio dei Borbone. Con il duca Don Filippo di Spagna la zona di caccia raggiunse la sua massima estensione arrivando fin quasi alle porte di Parma. Alla morte del duca parte dei terreni perdettero il vincolo di caccia e vennero utilizzati a fini agricoli.
Durante il governo di Maria Amalia di Borbone (1775-1801) si ebbero interventi di riconversione forestale, specie nella tenuta del Casino dei Boschi: furono impiantati castagni, pini, abeti e vennero fatti interventi per migliorare lo stato del suolo. Per mantenere le specie presenti nel bosco furono costruiti un semenzaio ed un vivaio. Sempre per volere di Maria Amalia, una vecchia costruzione all'interno dei boschi utilizzata per la caccia venne ristrutturata ed ampliata. Nacque così, tra il 1775 ed il 1789, su progetto dell'architetto Ennemondo Petitot, il Casino dei Boschi.

Nel 1819 Maria Luigia d'Austria, nuova duchessa di Parma, acquistò dagli eredi di Maria Amalia l'intera tenuta compreso il Casino. Questi fu nuovamente ristrutturato, vennero aggiunte due ali laterali e fu costruito un lunghissimo colonnato, la "Prolunga", con colonne trasportate dalla Reggia di Colorno. Al centro del colonnato venne costruito un fabbricato con torre campanaria ed orologio, il "Casinetto". Il giardino rinascimentale circostante il Casino dei Boschi venne profondamente modificato dal giardiniere capo del Palazzo Ducale di Colorno, Carlo Barvitus, e trasformato in parco all'inglese. Nello stesso periodo furono creati alcuni laghi artificiali. In località Cittadella fu impiantata un faggeta, che è rimasta fino ai nostri giorni grazie al particolare microclima. Nei prati inframmezzati ai boschi si coltivavano cereali. I castagni, sfruttati per i frutti e per produrre legna da palificazione, vennero curati da particolari addetti chiamati "castagnini". Furono emanate precise norme riguardanti il taglio e la manutenzione dei boschi, delle strade e del terreno, anche al fine di garantire una corretta regimazione delle acque.

Nel 1827 Maria Luigia acquistò la tenuta della famiglia Fedolfi, confinante con i territori del Casino dei Boschi e fece ampliare il piccolo Casino Fedolfi dall'architetto di corte Paolo Gazzola. L'edificio divenne la Villa del Ferlaro. L'anno successivo, il tratto compreso tra la villa stessa ed il Casino dei Boschi venne fatto sistemare con l'impianto di maestosi cedri. Dopo la breve parentesi del Ducato dei Borbone di Lucca (1847-1860), l'intera zona divenne proprietà dei Savoia. Questi cedettero il Casino dei Boschi e parte della tenuta all'ingegner Grattoni come compenso per la direzione dei lavori al traforo del Frejus del 1871.

Nel 1883 i fratelli Andrea e Giovanbattista Carrega acquistarono dalla vedova Grattoni tutta la tenuta. Il parco all'inglese venne ridisegnato così come la distribuzione delle radure e delle macchie vegetali. Parte dei terreni ai margini dei boschi furono venduti contemporaneamente all'acquisto di altri situati all'interno con lo scopo di rendere più compatta la tenuta.

Tra il 1914 ed il 1920 i boschi furono oggetto di numerose cure per aumentarne la rendita e il valore: vennero creati altri laghi artificiali coniugando aspetti paesaggistici con fini pratici: i laghi artificiali dovevano soddisfare le esigenze d'irrigazione agricolo-forestale nei mesi estivi e l'abbeveraggio degli animali. Questo tipo d'interventi fu il primo ad essere realizzato in Italia. Il giardino dei Boschi divenne terreno di sperimentazione botanica e fu allestita una xiloteca ad opera di Andrea Carrega. Nel 1923 la tenuta venne divisa tra i figli di Franco Carrega, erede di Andrea. Tra il 1940 ed il 1945 si ebbe una fase di riconversione forestale in seguito alle distruzioni belliche e ad epidemie di cancro corticale (Endothia parasitica).

Un decreto ministeriale del 1963 sottopose a vincolo monumentale il Casino dei Boschi ed i territori ad esso attigui, ma questo non fermò il fenomeno di degrado che il Parco stava subendo. Infatti alcuni degli eredi dalla famiglia Carrega vendettero 200 ha di bosco, esclusi dal vincolo, ad una immobiliare che nel 1971 ottenne l'autorizzazione per la costruzione di 141 villini. L'iniziativa venne bloccata dall'intervento dell'opinione pubblica, tuttavia 21 dei lotti previsti furono disboscati ed edificati prima che tutto il territorio venisse vincolato a verde pubblico.

Nel 1974 fu costituito il Consorzio di Gestione del Parco tra l'Amministrazione Provinciale di Parma ed i Comuni di Collecchio, Felino, Fornovo, Sala Baganza e Parma. Nel 1982, con il D.P.G.R. n°136 venne istituito il Parco.

 

BIBLIOGRAFIA

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Centro Parco, materiale vario riguardante: Informazioni di base del Parco, caratteristiche climatiche del Parco Boschi di Carrega, geologia, geomorfologia e paleontologia, vegetazione, evoluzione del paesaggio, attuale uso del territorio del Parco, fauna
Centro Villa Ghigi, Parco regionale Boschi di Carrega. Supplemento a "La Repubblica"
Consorzio del Parco regionale Boschi di Carrega, Il giornale dei boschi, anno V, numeri 1 e 2. Mattioli, Parma
Corradi Margherita, Cavalieri Antonia, Malini Carlo, Vanini Angelo, Busetto Antonio, 1990, Parco naturale Boschi di Carrega, carta turistica, itinerari natura. Edizione del Consorzio per la Zona dei Boschi di Carrega, Grafiche STEP, Parma
Corradi Margherita, Musarò Carmelo, 1996, Parco regionale Boschi di Carrega: catture di capriolo (Capreolus capreolus). Metodi e risultati. Suppl. Ric. Biol. Selvaggina XXIV (1996):439-446
Corradi Margherita, Musarò Carmelo, 1996, Programma di gestione del capriolo nel Parco regionale Boschi di Carrega. Relazione. Prot.n. 1796, Consorzio del Parco regionale Boschi di Carrega
Istituto Italiano di Idrobiologia, 1997, Programma Nazionale Integrato per il Controllo degli Ecosistemi Forestali (CON. ECO. FOR.): Studio della chimica delle deposizioni atmosferiche. Report CNR-III-02.97



Collocazione geografica e limiti attuali del Parco

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Probabile sviluppo della superfici del Parco
(penisola sud e isola sud-ovest: zone A | area entro tratteggio : zona B)

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Schema della distribuzione vegetazionale nel territorio del Parco
(verde scuro : boschi | verde chiaro : radure, coltivi e prati)

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