HOME PAGE

 

I FONDAMENTI DELL'ATEISMO MARXISTA

 

Evidentemente fra comunismo e ateismo, nella pura esigenza formale che questi due termini comportano non c'è assoluta  solidarietà di principio: il comunismo indica un certo tipo di teoria sociale sull'acquisto e distribuzione dei beni materiali in funzione del lavoro umano; l'ateismo è l'atteggiamento che prende l'uomo circa l'ammissione di un Principio assoluto dell'universo e della storia dell'uomo. Anche storicamente si sono avuti delle forme o concezioni comuniste della vita (Platone, certe sette platonico-pitagoriche e gnostiche, alcune eresie medievali, Fourier...) nelle quali il collettivismo dei beni materiali è piuttosto richiesto da un teologismo che intende la fraternità umana in Dio nel suo significato più immediato di «comunità» come « comunione v integrale. E l'ateismo d'altronde è stato più spesso, come il materialismo che ne è la più frequente matrice, la filosofìa degli aristocratici della cultura e dei detentori della finanza: un fenomeno quindi di « saturità » o se si vuole, d'insensibilità spirituale ch'è tipicamente capitalistico. Ciò non toglie nulla alla tesi di Max Weber che il capitalismo moderno sia un prodotto del Protestantesimo ovvero della dissociazione operata dal principio della Riforma fra coscienza pratica e coscienza teoretica: prima di Max Weber lo stesso Kierkegaard aveva osservato che il proletariato moderno era una derivazione diretta della concezione protestantica della vita secondo la quale l'uomo, assicurato il suo conto con Dio con la sola fides poteva a suo agio ingolfarsi nei piaceri e negli affari di questa vita.

L'ateismo marxista ha visto in questa dissociazione di comunismo e ateismo un'incongruenza in cui sta il doloroso equivoco che proprio il principio della libertà del ceto degli sfruttati, appartenga invece agli sfruttatori, i ricchi e i padroni, i quali lasciano la religione ai paria della vita per abbrutirli nella soggezione con la minaccia d'inesistenti pene nell'altra vita o col falso miraggio di un'eterna felicità in un fantastico aldilà.

L'ateismo significa perciò, nell'ideologia marxista, non tanto la polemica diretta contro la Teologia e la Rivelazione divina quanto lo svuotamento del senso ontologico che può avere la coscienza umana come rapporto verso la trascendenza: in questo senso, e così lo intendono di solito i dottrinari del marxismo, l'ateismo marxista è l'unica conclusione logica della filosofia moderna e particolarmente dell'Idealismo trascendentale di Hegel anche se Hegel per suo conto questa conclusione non l'ha proposta ovvero l'ha accortamente mascherata (è noto che l'hegelismo fu subito accusato di ateismo!). L'ateismo procede principalmente da due posizioni ideologiche che intaccano i due attributi fondamentali di Dio, la spiritualità e la personalità con la sua distinzione dal finito. Così il materialismo di tutti Ì tempi, dalla sua prima affermazione teoretica nell'atomismo di Democrito alle raffinate posizioni dell'Illuminismo francese, considera lo spirito come uno pseudo-concetto e chiude inesorabilmente l'esistenza umana nel cerchio della temporalità. Il panteismo si presenta invece come fautore dell'assoluto e dell'eterno e tutto riporta all'unità suprema dell'essere: ma la realtà di quest'assoluto è immanente ai suoi modi e alle sue forme o piuttosto queste svaniscono in esso. Dio non è una Persona che viva la sua vita suprema, ma è ridotto al punto di riferimento di quell'assoluto teoretico o deontologico di cui ha bisogno la coscienza umana per affermare i suoi valori: Dio è la realtà del finito che sarebbe mera parvenza se non si rapportasse all'assoluto, ma anche l'assoluto nulla è fuori dei suoi modi o forme. Potremmo quasi dire che nel panteismo metafisico di Spinoza, come in quello trascendentale degli Idealisti, il mondo non ha verità fuori di Dio e Dio non ha realtà fuori del mondo della natura e della storia. All'ateismo meta- fisico di Spinoza spetta d'aver operato la riduzione dell'essere nella forma d'immanenza quiescente, per cosi dire, conchiudendo dentro l'appello della soggettività cartesiana, l'aspirazione del materialismo stoico della filosofia classica. All'ateismo dell'idealismo tedesco e specialmente hegeliano spetta d'aver resa presente tale immanenza di Dio in ogni punto e momento del finito, muovendosi coi movimenti stessi del finito (dialettica trascendentale) come risoluzione definitiva dello "io penso". Che lo "orizzonte teoretico" dell'ateismo marxista sia da vedere nell'influenza combinata di Spinoza-Hegel, mediata dall'autocoscienza kantiana, è un punto su cui i marxisti teorici insistono di continuo e che i loro avversar! dovrebbero prendere in seria considerazione se non vogliono colpir l'aria, come spesso avviene, con le loro facili diatribe. Una volta ch'è prospettato su questo suo sfondo storico-dottrinale, l'ateismo marxista può anche rappresentare uno sforzo di coerenza e di sincerità per uscire dall'equivoco di una situazione in cui altri si ostinano a permanere contro la logica dei principi. Così oggi non abbiamo soltanto forme di marxismo in lotta fra loro sul piano politico, benché professino l'identico materialismo storico e quindi l'ateismo dichiarato (socialismo dì sinistra come di destra, trotzkismo, ecc.), ma gli stessi partiti più direttamente impegnati ad avversare il collettivismo sociale marxista, come i partiti liberali, repubblicani... dei più vari indirizzi o ignorano o avversano direttamente la necessità del momento teologico per la situazione e la soluzione dell'essere dell'uomo. E, bisogna riconoscere, dal punto di vista strettamente teoretico, i marxisti contro simili avversar! hanno facilmente buon gioco e non sarebbe troppo esigere un po' di coerenza dai i chierici » della cultura, fìn quando si è ancora in tempo. La lezione che il marxismo consequenziario sta dando all'umanità e la minaccia ch'esso alimenta nella vita internazionale dovrebbe aprire gli occhi sui reali motivi di un disagio che diventa sempre più insopportabile e che fa spesso sospettare se gli avversar! del marxismo non alimentino la loro opposizione dalla sfrenata cupidigia per godere in pienezza quella vita terrena di cui i marxisti affermano, almeno in linea di principio, che tutti gli uomini devono essere partecipi in virtù dell'identica comune natura.

  Mi limiterò a toccare i tre momenti decisivi dell'ateismo marxista: Hegel, Feuerbach, Marx, che a un secolo di distanza rappresentano ancora i momenti cruciali del dramma che attraversiamo e da cui forse dipenderà la sorte di questo povero genere umano per molti secoli.

L'episodio più clamoroso dell'ateismo nel pensiero moderno è stata la Atheismusstreit in cui fu coinvolto lo stesso Fichte nel 1798-99 ma che fu dovuta principalmente a Karl Forberg suo amico e collaboratore del « Philosophisches Journal » che Fichte dirigeva assieme al Niethammer.

Il Forberg vi aveva pubblicato nel 1798 un ampio articolo su Lo sviluppo  del concetto di religione, nel quale, ribadendo l'impossibilità della ragion teoretica di attingere l'assoluto ontologico, presentava la sfera dei valori umani, della moralità e del dovere, come unica e concreta istanza della  religione dell'uomo » la quale perciò poteva ben dirsi una • religione senza Dio ». Dell'esistenza di Dio, osserva Forberg, non abbiamo nessuna evidenza ne dall'esperienza ne dalla speculazione; l'esistenza del male, che si manifesta dovunque, mostra nel mondo la presenza del diavolo piuttosto che quella di Dio. Cade così la "teoria del sentimento" (Jacobi) come  valore probativo dell'argomento teleologico kantiano perché allo stato attuale del mondo, sia fisico come morale, Satana non ha minor diritto alla presidenza dell'universo di quanto non ne abbia Dio ! Unica fonte della religione resta allora la coscienza morale (Gesinnung) intesa come e il desiderio del buon cuore per il trionfo del bene », un desiderio ch'è fede o fiducia (Glaube) nell'ordine morale e che non è una mera e vuota chimera (eine blosse und leere Schimare) ma speranza implicita già nell'aspirazione per un ordine etico del cosmo. La religione pertanto altro non è che « fede nel valore della buona causa, così come la irreligione non è che disperazione per la buona causa: esiste un governo morale del mondo, ed una divinità che governa il mondo secondo leggi morali ». Questa divinità non ha affatto un senso ontologico ma soltanto deontologico, in quanto rappresenta il senso e lo scopo dell'agire umano, il punto di riferimento ideale che da senso all'attività pratica: così si è potuto giustamente vedere nella posizione del Forberg un'anticipazione della filosofia dello « Als ob » di Vahinger. Moralismo puro senza residui metafisici o, se piace, umanesimo assoluto come lo rivendicherà Feuerbach dopo l'ubriacatura dell'idealismo hegeliano. Quel che importa rilevare dall'episodio della Atheismusstreit è la disarticolazione della moralità dalla metafisica e quindi dalla teologia.

In Hegel questa scissione o incompiutezza della coscienza filosofica sembra comporsi nella superiore unità della speculazione in cui etica e metafisica, filosofia e teologia s'incontrano e si fondono nell'identico cammino e "risultato" ch'è lo Spirito. Compito della considerazione filosofica è essenzialmente quello di eliminare l'accidentale, il mero molteplice e l'accadere esteriore, per  "entrare" nell'universale, nel necessario, nell'Uno assoluto. Quindi per Hegel la posizione di Kant va rovesciata; non solo è possibile conoscere Dio, ma la conoscenza di Dio è la sostanza stessa del sapere filosofico e corrisponde al precetto stesso della Sacra Scrittura quando ordina non solo di amare Iddio ma anche di conoscerlo. Una nozione generica di Dio, come Provvidenza del mondo, osserva Hegel, può bastare per la coscienza ingenua...: parÌmenti volerlo confinare a principio ordinatore della natura materiale, è relegare Dio nella sfera che meno gli è propria, quella dell'aconcettualità e restringere la ragione a ciò che non è divino, che è limitato e finito, alle bazzecole dell'empiria. Ma l'uomo, proclama Hegel, sente anche la necessità superiore di avere una a domenica della vita in cui si elevi al di sopra delle faccende feriali, occupandosi del vero e recandoselo alla coscienza. E così se il nome di Dio non dev'essere qualcosa di vuoto, dobbiamo riconoscere che Dio è benevolo ossia comunicativo. Perché se nelle antiche concezioni dei Greci Dio è presentato come invidioso, Aristotele ha detto che i poeti mentiscono molto e che a Dio non può attribuire invidia e infatti per quanto Dio partecipi di sé, nulla può perdere come non perde una fiamma quando un'altra viene accesa da essa.

Il "medio" in cui Dio si manifesta non può essere che il pensiero: quanti hanno posto che la coscienza attinge Dio con l'intuizione e col sentimento, ovvero (secondo la terminologia hegeliana) nella sfera dell'immediatezza, abbassano Dio e la coscienza dell'uomo insieme : l'uomo infatti si eleva al di sopra dell'animale precisamente in virtù della ragione che domina il sentimento, e l'animale non ha nessuna religione. Pertanto, conclude Hegel, quando Dio si rivela a lui, lo fa essenzialmente in quanto è pensante: Dio è l'essere in sé e per sé eterno, e ciò ch'è in sé e per sé universale è oggetto del pensiero, non del sentimento, dove non può trovarsi che come risonanza e derivazione dalla ragione e sotto la vigilanza della ragione, che altrimenti si cadrebbe nella soggettività dell'arbitrio e del libito. Ed eccoci alla dichiarazione finale che sembra uscita dalla penna di uno degli apologeti dei primi secoli del Cristianesimo: "Nella religione cristiana Dio si è rivelato, ha cioè concesso agli uomini di conoscere la sua natura in modo di non essere più qualcosa di chiuso, di segreto... E' divenuto manifesto quel che sia la natura di Dio, Se si dice: 'Non sappiamo nulla di Dio'... la religione cristiana diventa qualcosa di superfluo, di tardivo, di decadente. " Nella religione cristiana si sa che cosa sia Dio... La religione cristiana è quella che ha manifestato agli uomini la natura e l'essenza di Dio. Così noi. come cristiani, sappiamo ciò ch'è Dio. Esso non è più ora una realtà sconosciuta: se continuiamo ad affermarlo, non siamo più cristiani. La religione cristiana esige umiltà, di cui già parlammo, e cioè quella che consiste nell'attingere la conoscenza di Dio non da sé, ma dalla sapienza e conoscenza divina. I cristiani sono, così, iniziati ai misteri di Dio; e in tal modo ci è data la chiave per intendere la storia del mondo.., (perché) Dio non vuole avere per figli degli animi angusti e delle teste vuote, ma esige che lo si conosca; vuole figli il cui spirito sia povero di sé ma ricco della conoscenza di lui, e i quali pongano ogni valore in tale conoscenza".

Tutto questo sembrerebbe pacifico se Hegel non si affrettasse a precisare che l'ambito proprio per la conoscenza del divino e quindi del compimento del rapporto dell'uomo a Dio, non è propriamente la religione e la fede, ma la filosofia e la storia del mondo. La fede infatti si arresta all'immediato e non va oltre la sfera dell'intuizione da cui trae le immagini per rappresentarsi la natura di Dio, per es. che Dio è Padre, Figlio, che il Padre « genera » il Figlio, oppure che Dio si adira, che si pente..., o che all'inizio della storia umana si trova la disobbedienza del primo Uomo per avere mangiato il frutto proibito di un certo albero, ecc... Tutto questo non è che simbolo e allegoria, che resta al di qua del vero pensiero e in cui perciò l'unione con l'Assoluto è adombrata non realizzata, Hegel ne trae la conseguenza che la religione è essenzialmente legata a tali immagini, prese nella loro immediata significazione, e che perciò la religione non può costituire . lo stadio definitivo dell'umana coscienza ne la conoscenza vera della natura di Dio, ma soltanto un'immagine umbratile e approssimativa. Soltanto la filosofia presenta la divinità nella pura forma della suprema universalità e concretezza del reale come concetto puro e identità assoluta con se stesso: si sa che nella graduazione hegeliana della vita dello Spirito la Religione occupa il posto di mezzo fra l'Arte che è direttamente legata alle immagini sensibili della realtà spazio-temporale e la pura idealità della Filosofia, perché la Religione conserva ancora la dualità in seno al reale (creatura e creatore, finito e infinito, bene e male...) ed esprime Soggetto nel medio della rappresentazione.

Nel "sistema" dell'Idealismo oggettivo di Hegel (a cui basta accennare dato lo scopo elementare della nostra disamina), il puro concetto di' Dio ch'è oggetto della speculazione, è senz'altro il "risultato" ovvero  il termine logico della "mediazione" (Vermittlung} del pensiero. E qui Hegel rimanda all'esposizione che nella grande Logica fa del processo della mediazione. Ridotto al nocciolo e in termini un po' accessibili, esso si può riassumere nei punti seguenti: i) L'assoluto ovvero Dio va concepito come movimento e processo, come l'unità dinamica cioè dialettica dei contrari. 2) Questa unità è espressa dalla stessa Ragione umana in quanto essa esprime l'oggettività assoluta ovvero l'identità suprema di forma e contenuto e » risolve » in sé le sfere opposte della Natura (spazio) e dello Spinto (tempo), 3) Dio è quindi il Concetto in quanto esso è la totalità del divenire dell'essere e delle sue forme ovvero (in termini hegeliani) esso è il « risultato • della mediazione del finito, la sua positività e necessità. Quindi non meraviglia più la dichiarazione di Hegel : "A questo modo Dio è anche il finito, ed io così sono l'Infinito. Dio ritorna a sé nello Io come in quel che toglie se stesso come finito ed è Dio soltanto come questo ritorno. Senza mondo Dio non è Dio". Mentre la Religione considera l'Assoluto ch'è Dio dal punto di vista della coscienza (e quindi come dualità nella rappresentazione), la Filosofia lo determina come l'unità assoluta dei contrari, Idea, che non si rapporta che a se stessa.

Venendo perciò a toccare in concreto l'accusa di ateismo che spesso si fa alla Filosofia, Hegel non la trova più fondata di quella di panteismo: per la prima, nella Filosofia c'è troppo poco di Dio, per la seconda ce n'è troppo assai. Egli osserva che l'accusa di ateismo presuppone una rappresentazione determinata di un Dio pieno di contenuto e dipende dal fatto che il pensiero rappresentativo non trova più nei concetti filosofici le forme peculiari alle quali esso è legato (perché esse son proprie della sfera inferiore della rappresentazione da cui la Filosofia si è invece liberata). Perché la Filosofia esprime la verità nella sua forma assoluta in cui perciò la forma inferiore (della rappresentazione, cioè della religione) è tolta (aufgehoben) e insieme conservata nella sua verità: cioè la Filosofia può ben riconoscere le sue proprie forme nelle categorie del modo religioso di rappresentare e per tal guisa riconoscere il suo proprio contenuto e rendergli giustizia. Ma l'inverso non ha luogo (cioè nel rapporto della Religione verso la Filosofia); giacché « il modo religioso di rappresentare non applica a se stesso la critica del pensiero e non comprende se stesso, epperò nella sua immediatezza esclude gli altri modi». Anche la "recente" accusa di panteismo di cui è oggetto la filosofia, non sembra a Hegel più fondata, perché essa tradisce la povertà della teologia che prende per unica fonte di conoscenza il sentimento soggettivo e nega la conoscenza della natura di Dio che testa qualcosa d'indeterminato che può essere indicato in qualsiasi cosa, come nelle scimmie della religione indiana, nel bove della egiziana, ecc.

La cosiddetta a "elevazione della Filosofia al punto di vista puramente speculativo del puro Concetto", proclamata da Hegel, è quindi soltanto apparente, perché Hegel lavora all'ombra della teologia che poi vuoi superare e così tutto svapora nel vuoto, e la natura e l'uomo; la natura, perché la sua verità e realtà sensibile è ridotta a concetto, e l'uomo, in quanto la sua realtà è pensata unicamente nella forma dell'universale storico vestito di attributi teologici. Basta perciò demolire la sovrastruttura teologica e l'hegelismo cade sgonfiato delle sue pretese metafisiche e il suo Umanesimo "masqué" si mostra nella immediatezza dei suoi rapporti naturali e sersibili. La dialettica non è automovimento dello Spirito assoluto, ma pro-cesso d'interazione fra la coscienza umana, nella sua concretezza dei suoi fenomeni vitali e sociali, con la natura e di ogni singolo con gli altri sin. Ecco la riforma quindi della dialettica hegeliana, il ritorno dalla sfera dell'astrazione del concetto a quella della concretezza della vita. Hegel ha constatato che ogni ente finito presenta per il pensiero un "limite" e quindi si presenta come una negatività: di qui la necessità di raggiungere una superiore positività in cui esprimere la verità per sé. Ma questo limite, osserva Feuerbach, è la stessa natura che circonda l'uomo che le metafisiche idealiste — come prima il Cristianesimo — hanno misconosciuta nella sua autentica positività. Hegel, una volta abbandonata la realtà della natura, non la può più riguadagnare e finisce nel vuoto delle astrazioni .

La filosofia hegeliana perciò, in quanto è l'espressione speculativa della  teologia cristiana, si risolve come questa in una "mitologia" e cade con essa. Perciò Feuerbach precisa: "L'essenza del Cristianesimo è l'essenza dell'uomo, ma dell'uomo che conosce la natura, la materia, i corpi, il suo corpo, soltanto come un limite, una negazione della sua essenza, e perciò nel superamento (Aufhebung) di questo limite od almeno — poiché l'uomo non si può liberare dalla natura — dalla trasformazione di questa natura che corrisponda a questo ideale... pone il suo più alto scopo e natura. La limitatezza, la deficienza, la non-verità del Cristianesimo, anche come filosofia cristiana, è di non aver conosciuto la vera natura dell'uomo. Poiché io sono contro il Cristianesimo nella misura in cui sono per la natura dell'uomo: nego il Cristianesimo nella misura in cui affermo la natura". Com'è che nasce allora la religione? Così: "L'esistenza e l'oggettività di Dio altro non è che la natura la quale, dopo che lì ha uccisi [gli idealisti, gli spiritualisti, i teisti...], li perseguita come ombra, come spettro, una volta che l'oggettività astratta è stata presa originariamente e essenzialmente come divinità". Com'è che l'uomo arriva a questo a capovolgimento (Umkehrung) di fondarsi sulla fede nell'oggettività di Dio così che la natura è ridotta a un fantasma, a uno spettro? E' a causa della "separazione" (Trennung}, risponde Feuerbach, che l'uomo pone fra l'uomo e la natura, così che arriva alla concezione di un Dio disumano e di una natura disumana.

Allora "la natura, che non sia oggetto dell'uomo o della coscienza. è ora senz'altro la cosa in sé kantiana, un astratto senza realtà, ma appunto nella natura fa naufragio (scheiert) l'idealismo. La scienza ci porta, almeno nella sua situazione attuale, necessariamente ad un punto dove le condizioni dell'esistenza umana non sono ancor date, quando la natura, cioè la terra, non era ancor oggetto di un occhio o di una coscienza umana, quando la natura era un'essenza assolutamente non-umana. Ed è con l'esistenza dell'uomo che la natura prende il suo senso". Perciò le contraddizioni non sono inerenti alla filosofia come tale, ma derivano dal primo falso passo di cercare la spiegazione della natura fuori della natura e dell'uomo, indipendentemente dalla natura.

Feuerbach poteva perciò riassumere la sua critica costruttiva alla filosofia hegeliana con la formula: a La teologia è antropologia (Die Teleologie ist Anthropologie). Cioè quel che noi chiamiamo Dio non è altro che l'essenza umana divinizzata o assolutizzata e la storia delle religioni si riduce in sostanza alla storia della umanità e così abbiamo tante religioni quanti sono i popoli: ecco il primo principio. E mentre le divinità delle religioni politeistiche si fermarono al gruppo etnico ipostatizzando lo spirito nazionale, il Cristianesimo divenne cosmopolita e poté concepire Dio come l'umanità divinizzata. Secondo principio: c'è però una realtà indipendente dall'uomo da cui l'uomo dipende, ed è la Natura. Così quel che finora si pensava dell'uomo in assoluto e si attribuiva alla religione, si riduce a antropologia e a fisiologia: l'uomo ha il suo essere, nasce, vive e muore a seconda dei suoi rapporti con la natura ovvero dei rapporti che il suo corpo può esercitare con le forze della natura. A questo mode l'antitesi di teismo-ateismo risulta priva di senso in quanto, una volta che il termine « teismo risulta  vuoto di un proprio contenuto e mera estrapolazione che l'uomo fa della sua natura, anche il termine a ateismo » non può significare alcunché, se non in quanto come negazione di una negazione esprime la positività della riconquista di se stesso che l'uomo fa con la critica della religione e alla -filosofia speculativa, responsabile della estraneazione (Entusserung, Entfremdung) dell'uomo stesso- Qui già si annunzia il marxismo nel suo nucleo di  "realismo ».

Per Feuerbach questa «risoluzione della religione », questa discesa della filosofia dall'Olimpo dell'astrazione fittizia, è un atto di onestà e di sincerità contro l'ipocrisia dei • sistemi » dell'Idealismo, responsabili fra l'altro di aver snaturato la religione stessa in quel ch'essa può dire di schietto per l'uomo ingenuo. L'essenza quindi di tali filosofie è un ateismo ancora più sopraffino del suo, ateismo ipocrita e disumano in quanto tradisce ogni legittima aspirazione di bene e felicità dell'uomo, perché l'idealismo ha posto il supremo scopo dell'uomo nella politica strappandogli ogni speranza alia felicità. Si deve invece proclamare un Umanesimo concreto in cui l'uomo attua se stesso così che la sua vita corrisponda ai]a sua natura. Il posto dell'Idea in cui l'Idealismo hegeJiano faceva svaporare il Dio della teologia, è preso dalla "Natura": è da essa unicamente che l'uomo dipende e ad essa si rapporta il "sentimento" di dipendenza a cui  le filosofie idealiste riducono la religione. Quindi:

1. Il sentimento di dipendenza e il fondamento della religione.

2. L''oggetto originario di questo sentimento di dipendenza è la datura.

3. La Natura allora e il primo oggetto della religione. Il sentimento di dipendenza, celebrato da Schleiermacher come l'essenza della religione, e pertanto l'unico vero nome e concetto universale, afferma Feuerbach, per indicare e spiegare la ragione psicologica ovvero soggettiva della religione ed in esso si riassumono tutti gli altri sentimenti 15.

La posizione di Feuerbach chiude il ciclo dei grandi sistemi di filosofia della religione dell'Ottocento, con la negazione dell'essenza stessa dello  "homo religiosus " e ciò in virtù dell'antropologismo implicito nel "cogito" cartesiano e mascherato dal pensiero puro dell'Idealismo oggettivo. Ormai, conclude Feuerbach, il processo della dissoluzione del sacro è consumato: « La filosofia precedente cade nel periodo del tramonto del Cristianesimo della sua negazione del medesimo ma che voleva insieme figurare come la posizione. La filosofia hegeliana nascondeva la negazione del Cristianesimo sotto la contraddizione di rappresentazione e pensiero: cioè lo negava mentre lo affermava, sotto la contraddizione di un Cristianesimo incipiente e uno compiuto... Il Cristianesimo in realtà è negato, negato nello spirito e nel cuore, nella scienza e nella vita, nell'arte ^ nell'industria: è negato in radice, senza remissione, irrevocabilmente, poiché gli uomini si sono appropriati ciò ch'è vero, umano, antisacro (das Antihelige), così che al Cristianesimo è stata tolta ogni forza di opposizione...".

Prima la negazione del Cristianesimo era incosciente, ora è divenuta cosciente, voluta, direttamente intesa; essa apre una nuova epoca, la necessità di una nuova filosofia libera, non più cristiana ma decisamente anticristiana, La filosofia prende così il posto della religione, ma una filosofia "toto genere" diversa dalla filosofia precedente: questa era filosofia pura, non religione, senza religione, mentre la nuova filosofìa dev'essere essa la religione dell'umanità. E perché non manchi nulla ai presupposti feuerbachiani del marxismo, il Nostro precisa subito il contenuto di questa nuova religione identica alla filosofia: "Al posto della fede c'è l'incredulità, al posto della Bibbia la Ragione, al posto della religione e della Chiesa la politica, al posto del ciclo la terra, della preghiera il lavoro,. dell'inferno l'indigenza materiale e al posto del cristiano l'uomo...: la politica dev'essere la nostra religione ".

Tutto questo cambio di orientamento della coscienza dell'uomo dall'orizzonte fittizio in cui prima si muoveva al suo orizzonte reale, questa proclamazione del primato della politica (affermata del resto dalla Filosofia  del Diritto e dalla Filosofia della Storia dell'ultimo Hegel), suggerisce a Feuerbach l'espressione definitiva (ein offizielles Prizip). Nella sua formulazione negativa esso non è altro che l'Ateismo vale a dire l'abbandono di un Dio diverso dall'uomo ".

Come il Protestantesimo ha dissolto il Cattolicesimo e la filosofia idealista ha fatto svaporare il Cristianesimo protestante, così il nuovo Umanesimo ha riportato definitivamente l'uomo a se stesso al di qua di ogni mito sia teologico come speculativo: ora abbiamo quel che Feuerbach chiama lo "uomo assoluto", ch'è l'uomo inteso come elemento operante nello Stato. Perciò l'ateismo di cui si parla è « ateismo pratico».

Marx non ha fatto mistero su quel che la fondazione teoretica del comunismo scientifico deve all'opera di Feuerbach: egli si è assunto espressamente il compito di rivendicare dal silenzio a cui l'invidia meschina di alcuni e il livore degli altri 1' avevano condannato, salvo poi a sfruttarlo sottomano: "E' da Feuerbach che data la critica positiva e naturalistica. Quanto più silenziosa, tanto più sicura, profonda, vasta e duratura è l'efficacia degli scritti di Feuerbach, i soli scritti, dopo la Fenomenologia e la Logica di Hegel, in cui si contenga una vera rivoluzione teoretica". E' Marx, ai primi passi della sua revisione critica della dialettica hegeliana, avanza lo spunto critico contro la superficialità dei cosiddetti e teologi critici che non hanno avvertito la contraddizione di pretendere di far della teologia all'interno di un sistema come l'hegeliano che deve almeno ispirare l'esigenza dell'assoluta indipendenza della ragione: questa teologia da strapazzo non fa che esagerare il difetto di quella posizione di trascendenza metafisica che Feuerbach aveva definitivamente criticata in Hegel. La teologia, sentenzia Marx, rimane oggi come sempre il luogo putrido della filosofia la dissoluzione della filosofia, il suo processo di putrefazione e, per conto suo, s'impegna di dare alle scoperte di Feuerbach tutto l'approfondimento critico di cui esse sono suscettibili.

L'originalità di Marx, come si è visto in altra occasione, è nella dialettizzazione della realtà umana sensibile scoperta da Feuerbach, nella interpretazione dialettica del rapporto fra l'uomo e la realtà sensibile in funzione del lavoro umano: è così che il comunismo scientifico trasforma completamente il comunismo volgare (Proudhon, Fourier, St. Simon...), come lo chiama Marx in quanto esso non si preoccupa che di negare la proprietà privata e sopprime ovunque la personalità dell'uomo fino a patrocinare la comunanza delle donne, un comunismo quindi che alla fine non è altro che l'espressione conseguente della proprietà privata la quale precisamente è tale negazione. E Marx nota con forza e non senza un certo pathos di umanità: « L' invidia universale che si organizza in una forza, non è altro che la forma mascherata in cui si presenta l'invidia cosi da trovare la sua soddisfazione soltanto in un altro La concezione di ogni proprietà privata come' tale è per io ineno rivolta contro la proprietà privata più ricca come invidia e tendenza a] livellamento così che queste formano persino l'essenza della concorrenza ». Quel che Marx condanna nel comunismo rozzo è la sua concezione piatta e egoista dell'esistenza che lo pone a un livello inferiore della stessa proprietà privata dimostrando così come sia vuota e vana la sua soppressione della proprietà privata. A questo comunismo manca il concetto di uomo come a "natura generica" da cui il comunismo scientifico attinge la sua positività teoretica e l'efficacia sociale: rileva i difetti della proprietà privata ma non li supera, prospetta la reintegrazione ovvero il ritorno dell'uomo a se stesso, come superamento della autoestraneazione dell'Io umano ma senza cogliere l'essenza positiva della proprietà privata e quella stessa del bisogno umano come tale.

  Il comunismo scientifico invece comporta il superamento o negazione positivo della proprietà privata intesa come autoestraneazione dell'uomo e quindi come appropriazione effettiva dell'essenza dell'uomo mediante e per l'uomo, perciò come ritorno per sé come essere sociale, ritorno completo, cosciente e attuato dentro tutta la ricchezza dello sviluppo precedente. Questa socialità positiva in cui avviene il superamento (Aufhebung) della proprietà, è lo scopo a cui tende l'umanesimo feuerbachiano, la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo l'uomo, della lotta fra essenza e esistenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e il genere: brevemente, è l'unica soluzione dell'enigma della storia.

La soppressione della proprietà privata non deve perciò essere un fenomeno di risentimento, ma l'espressione della riconquista dell'essere originale dell'uomo che nella proprietà privata aveva invece patito la sua "estraneazione" : questa proprietà privata, immediatamente sensibile, è la espressione materiale sensibile della vita umana estraniata. Di tale estraneazione fanno parte o ne sono la conseguenza, per Marx, la religione, la famiglia, lo stato. Il diritto, la morale, la scienza, l'arte, ecc. Pertanto la soppressione positiva della proprietà privata in quanto appropriazione della vita umana, è perciò la soppressione positiva di ogni estraneazione, e quindi il ritorno dell'uomo, dalla religione, famiglia, Stato, ecc., alla sua esistenza umana cioè sociale. Mentre l'estraneazione causata dalla religione si compie soltanto nella sfera dell'interiorità umana ovvero della coscienza, l'estraneazione economica riguarda la vita reale, e perciò — conclude Marx — la sua soppressione deve abbracciare ambedue i lati. Quindi (ed eccoci al punto!) il comunismo comincia subito con l'ateismo (Owen) : soltanto che l'ateismo che non si concreta sul piano sociale, resta un'astratta filantropia, inoperante. Come allora l'essere dell'uomo non è l'idealità astratta  ma si attua nella sfera della natura come sensibilità, come la sua natura è tutta nella socialità, cosi l'essenza umana della natura esiste soltanto per l'uomo sociale, perché soltanto nella società la natura esiste come vincolo per l'uomo con l'uomo. La società è dunque l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanesimo compiuto della natura. La dialettica astratta dell'hegelismo si fa dialettica concreta di uomo e natura, di singolo e società: soltanto così pensiero ed essere, benché in sé distinti, nello stesso tempo sono uniti l'uno all'altro. E' inutile per il nostro argomento seguire il neofita Marx dei Manoscritti giovanili nella sua naturalizzazione e socializzazione dell'essere dell'uomo, mistificato dalla dialettica hegeliana e dalle precedenti metafisiche come dalle religioni. Nella risoluzione sociale dell'essere dell'uomo svaniscono tutte le opposizioni in cui si sono dibattute le filosofie e le religioni, nate tutte dall'equivoco che l'essere dell'uomo sia,. un astratto (metafisica): mentre esso è nella concretezza dell'agire, nella pratica, nella socialità reale, nel lavoro umano come processo della origine stessa dell'uomo.

Non il divenire del pensiero ma il divenire .del lavoro forma l'essere dell'uomo ed è così che si spiega tutta la cosiddetta storia del mondo come il divenire della natura per l'uomo (mediante il lavoro). L'ateismo non è quindi più un atteggiamento polemico ma una constatazione della situazione dell'uomo, già trovata da Feuerbach e ora fondata nella sua genesi originaria,

L'esistenza di un Essere trascendente, fuori della natura e dell'uomo è ormai inintelligibile, cade fuori di ogni posizione dell'essere: a Dal momento che la essenzialità dell'uomo e della natura è diventata praticamente sensibile, in guanto l'uomo per l'uomo come esistenza della natura, e la natura per l'uomo come esistenza dell'uomo è diventato un rapporto pratico, sensibile, intuibile; il problema allora di un'essenza estranea, di una essenza superiore alla natura e all'uomo, un problema quindi che comporta l'ammissione della inessenzialità della natura e dell'uomo, è divenuto praticamente impossibile. "L'ateismo, come negazione di questa inessenzialità, non ha più alcun senso, poiché l'ateismo è una negazione di Dio e pone, per via di questa negazione l'esistenza dell'uomo". Ma il socialismo non ha bisogno di formulazioni metafisiche, non abbisogna più di tali espedienti, di tale  mediazione, dice Marx. Esso comincia dalla coscienza teoreticamente e praticamente sensibile dell'uomo e della natura nella loro essenzialità. Non c'è più bisogno d'indugiare sulla negazione della religione. Il socialismo è un'autocoscienza positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della religione, nella stessa guisa che la vita reale è la realtà positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della proprietà privata, dal comunismo. Il comunismo è, in quanto negazione della negazione, l'affermazione; perciò è il momento reale e necessario per il prossimo svolgimento storico, dell'emancipazione della natura umana: è la struttura necessaria ed è principio animatore del prossimo futuro, ma il comunismo non è come tale lo scopo dello sviluppo dell'uomo, la forma della società umana ".

L'esegesi di quest'ultima posizione dei rapporti fra comunismo e società umana forma ancora argomento di ricerca e di opposizione fra gli stessi partiti marxisti, ma sull'ateismo come posizione di principio essi tutti (socialisti e comunisti) si accordano e nel preciso senso affermato da Feuerbach-Marx. I Manoscritti giovanili ci hanno dato la struttura teorica della negazione marxista ch'è originale in quanto scaturisce dal suo assunto di dialettismo materialistico-storico, dalla fusione cioè del naturalismo di Feuerbach (contenuto dell'essere dell'uomo) e del dialettismo di Hegel (processo di sintesi dei contrari nel divenire).

 

CORNELIO FABRO