L'ELEGANZA ?

«Una volta sola a Parigi nel 1898 aveva preso in considerazione i commenti locali circa la solita sua sciatteria, e aveva indossato per recitare dei sontuosi modelli di Worth, facendosi pettinare e truccare a regola d'arte. Sembrò più bella che mai, perfino ringiovanita, ma lei non voleva il successo ricorrendo ai mezzi che qualsiasi altra attrice di minor talento avrebbe potuto usare, perciò quell'esperienza scenica rimase isolata, non volle mai più ripeterla.  

La sua statura, dicono, e le fotografie confermano, era giusta, a seconda di quello che aveva in mente poteva sembrare piccola o alta, e nonostante la tubercolosi, soprattutto negli anni della maturità, appariva anzi di complessione robusta, sottolineata per non dire esagerata dai solenni atteggiamenti che assumeva.  

Quanto ai tratti del volto essi erano ben scolpiti, la mascella quadra, gli zigomi accentuati, la bocca grande, ampio l'incavo delle orbite delimitate dall'arco mobile delle sopracciglia. Ma questa forza dei lineamenti era attenuata dalla dolcezza diffusa dalla luce degli occhi, dal sorriso rassegnato, e soprattutto dalle mani che a Gabriele … suggerirono nel dedicarle La Gioconda …, la dedica “a Eleonora dalle belle mani”. 
Eppure se vogliamo prestar fede a Il Fuoco disegnato sulla trama di una realtà, vediamo spesso l'attrice in preda al terrore di essere meno amata a causa dello sfiorire della sua bellezza, questo era almeno il principale tormento di Foscarina » (Antonietta Drago, Furiosi amori dell’800, Milano, Longanesi, 1969).  

«Ma il luogo ideale per cercare in articoli o interviste gli aspetti più quotidiani, più dimessi, ma in fondo più incisivi, della particolare immagine di primattrice della Duse è costruita dai periodici femminili (che spesso erano anche periodici di interesse prettamente teatrale) e comunque dalla stampa non specializzata. Il 12 novembre del 1884, per esempio , “L’illustrazione Italiana” pubblica un articolo sulla villeggiatura di Eleonora Duse e del marito, diffondendosi sull'abbigliamento molto particolare dell'attrice:

 “...cappello mascolino con banda a forti colori verticali; giacca-scrollina di lana a mezza tinta, stretta alla vita dì dietro, cadente sul davanti; otto bottoni. Abolizione completa di qualunque apparente corset  o gilé in cambio, camicia riccamente ricamata. Fichu a tinte smorte che richiamano la banda dei cappello. Veste di mussolina semplice, senza volants, senza ornamento alcuno, come quello di Santuzza nella “Cavalleria Rusticana”. Abolizione dei parasole; bastoncino da passeggio”-. Un abbigliamento non proprio usuale per una primattrice. Il giornale commenta: “Certo una simile toilette non sarà consigliabile per qualche grassa e grossa marchesa, ma per chi ad una taglia svelta, elegante, vaporosa, unisce l’indifferenza moquette dell’indossare un abito, è adattissima"». (Mirella Schino, Il teatro di Eleonora Duse, Bologna, Il Mulino, 1992)

«Non c'è dubbio che i segni delicati e l'ondulazione delle gote rappresentavano un serio inconveniente, ma (o divina contraddizione!) fiera della sua personalità, spietata con se stessa e gli altri, rifiutava ora come prima di ricorrere a un qualche rimedio e lasciava impallidire le labbra, imbiancare i capelli alle tempie. Non si lasciava sedurre neppure da un'eleganza più intima, cittadina, perché essendo abituata a muoversi nei costumi teatrali delle grandi protagoniste, in crinolina, peplo o altro, si trovava a disagio nelle vesti dettate dal capriccio di una moda, e allora adottava lunghe tuniche tagliate in tessuti preziosi ma senza una forma, a sacco, e con quelle addosso si aggirava negli appartamenti dei grandi alberghi o fra le pareti a calce della Porziuncola, si sdraiava per ferra come era nelle sue abitudini». (Antonietta Drago, Furiosi amori dell’800, Milano, Longanesi, 1969)  

«L'attrice M.A. Krestovskaja riferisce le sue impressioni dopo aver visto la Duse a Mosca, nel 1891, in Antonio e Cleopatra e Romeo e Giulietta: “La Duse nel suo modo di camminare, mostrò che Giulietta aveva allora, per la prima volta, un vestito lungo...  Guardava con sorrisi di gioia il suo strascico, cercava di camminare in modo che non la intralciasse"  .

La Krestovkaja annota inoltre che “la Duse non si truccava, non usava la parrucca, non portava mai il busto. lasciava il suo corpo libero, e questo le dava la possibilità di trasformarsi facilmente da Margherita in Santuzza, da Santuzza in Mirandolina  ... Sulle labbra della Duse voi leggevate non le parole formulate, ma i pensieri che balenavano”» (Mirella Schino, Il teatro di Eleonora Duse, Bologna, Il Mulino, 1992).  

«Isadora Duncan, la danzatrice a piedi nudi, ovvero il genio della danza, trovandosi in Italia al tempo in cui l'amore di Gabriele d'Annunzio per la Duse già languiva, aveva avuto molte occasioni di avvicinare la grande tragica, e osservò poi, in un suo libro di memorie, che se Eleonora non era mai riuscita a vestire decentemente, ciò era dovuto in primo luogo a mancanza di gusto.  

Era sempre infagottata con qualcosa fuori di posto che avrebbe fatto venir la pelle d'oca all'ultima delle sartine, la gonna pendeva da una parte, in compenso rimaneva sollevata dall'altra, e per ricco purtroppo e raffinato che fosse l'indumento, la Duse dava l'impressione d'esserselo infilato svogliatamente, per degnazione. 

Prediligeva una pelliccia di volpe fulva a pelo lungo, aggravata da un colbak bruno rossastro del medesimo animale posato di traverso sulle ciocche grige scomposte dei suoi capelli.  

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Inoltre, e questo Isadora non poteva assolutamente perdonarglielo, camminava con passo troppo lungo, sgraziato, la stessa danzatrice faticava a starle dietro durante la passeggiata. E poiché andando contro corrente la tragica non portava il busto, le sue forme che a una certa età diventarono possenti si espandevano, crollavano un po' troppo liberamente con discutibile effetto. Ciò nonostante, finiva per ammettere anche la Duncan, “essa aveva una grande nobiltà, e tutto in lei rivelava un'anima alta e torturata”». (Antonietta Drago, Furiosi amori dell’800, Milano, Longanesi, 1969)  

i vestiti della Divina

la Duse e due "sarti":

quello di ieri : Charles Frédéric Worth

quello di oggi: Fausto Sarli