Un grande classico della letteratura del nostro secolo

IL MONDO VISTO CON GLI OCCHI D'UN BAMBINO

 

IL PICCOLO PRINCIPE o IL COLORE DEL GRANO

di Arnaldo Casali

 

"Tutti i grandi sono stati bambini (ma pochi di essi se ne ricordano)"

Con queste parole - quasi una sorta di dichiarazione programmatica - si chiude la dedica (e comincia la narrazione) di quello che è forse il più grande classico del Novecento, un libro paragonabile quasi al Vangelo per la semplicità con cui è scritto, per la storia di redenzione, passione e "ascensione" che racconta, per l'universalità del messaggio che contiene, per l'enorme quantità di citazioni che ha raccolto nel corso di cinquant'anni: da Va dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro a Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi da Vivere, amare, capirsi di Leo Buscaglia ai libri del fotografo-pilota ternano Gian Piero Zanzotti, da "La sfida di Francesco" di Christopher Coelho fino al funerale di Marta Russo. Orson Welles ne trasse una sceneggiatura per un film che non realizzò mai, Pier Vittorio Tondelli lo adattò per il teatro, Irene Grandi ha cantato "La canzone della Rosa" per un musical andato in scena a Roma due anni fa e il sito cattolico giovani.org ha utilizzato la celebre frase "Non si vede bene che con il cuore" come epigrafe per la propria chat mentre i francesi avevano messo Saint-Exupery e Piccolo Principe con tanto di "elefante ingoiato dal boa" sulle banconote da 50 franchi.

Metafora del confronto di ogni uomo con la propria innocenza (racconta l'incontro di un pilota atterrato in pieno deserto a causa di un'avaria con un "Piccolo Principe" esploratore di mondi venuto da un pianeta lontano) "Le petit Prince" è un attacco al mondo degli adulti, che intrappolati nei numeri della scienza e dell'economia hanno dimenticato la poesia e la bellezza, ma anche una riflessione sul mondo, sugli affetti, sulla vita, una satira sociale e una fiaba surreale. "E' considerato un classico della letteratura per l'infanzia - spiega l'insegnante Rita Bontempi - perché in fondo racconta il viaggio fantastico attraverso i pianeti abitati da personaggi bislacchi, ma in realtà è un grande libro per adulti. Forse per adulti in difficoltà, che cominciano a vedersi intorno il deserto. E' una sorta di itinerario di riconquista faticosa di un'innocenza perduta: il bambino che deve morire perché l'adulto acquisti consapevolezza della sua infanzia e non la perda più di vista".

Un libro, tra l'altro, di una pulizia stilista incredibile, che grazie ad un grandissimo senso dell'ironia riesce a non essere mai stucchevole o sentimentalista pur trattando sentimenti profondi come l'amicizia e l'amore. Perché se è l'amicizia che lega il Piccolo Principe alla Volpe o al Pilota, quella con la sua Rosa è una e propria storia d'amore, tanto che alcuni hanno visto nel fiore bellissimo e capriccioso la trasfigurazione della moglie di Saint-Exupery, dalla quale lo scrittore si era separato. In straordinaria analogia con la vita stessa del suo autore (che scomparve misteriosamente durante una missione di guerra senza lasciare tracce a pochi mesi dall'uscita del libro), il "Piccolo Principe" ha lasciato il segno in intere generazioni di artisti, anche dove non è stato apertamente citato: basti pensare alle opere di Richard Bach, lo scrittore-pilota autore de "Il gabbiano Jonathan Livingston", che nel suo penultimo romanzo, "Via dal nido" (uscito nel 1994) racconta l'incontro con il sé stesso bambino e a "E.T." di Steven Spielberg: il regista-Peter Pan per eccellenza ha fatto del suo capolavoro - anche se forse involontariamente - una vera e propria versione cinematografica del libro di Saint-Exupery: se infatti il personaggio di Elliot è direttamente ispirato all'infanzia del regista, E.T., il dolce ed etereo extraterrestre che coltiva le piante ed esplora i pianeti, è a sua volta un alter ego di Elliot, con il quale vive in simbiosi (d'altra parte lo stesso nome Elliot riprende nella prima e l'ultima lettera quello di E.T.). Non a caso, come Saint-Exupery, anche Spielberg il suo piccolo principe lo ha incontrato nel deserto. "Ero in mezzo al Sahara - racconta- durante le riprese de "Predatori dell'arca perduta" tra nazisti assassini e proiettili che volavano da tutte le parti. Passeggiando da solo ad un certo punto mi dissi: Che ci faccio qui?". D'altra parte - anche se appena accennato - nel film c'è anche il personaggio adulto, lo scienziato interpretato da Peter Coyote, che di fronte ad Elliot e ad E.T. ritrova l'innocenza della sua infanzia perduta.

 

ANTOINE DE SAINT-EXUPERY

 

Il 29 giugno del 1900, a Lione, Antoine nasce da una famiglia aristocratica: suo padre era ispettore delle assicurazioni e sua madre pittrice di talento.  Orfano di padre a soli quattro anni, fu amorevolmente cresciuto dalla madre che si sposta quindi a Le Mans, nel 1909. Ebbe un'infanzia molto felice, forse un po' troppo viziata, nella grande dimora di Saint Maurice de Rémens, al centro di un parco di abeti e tigli: un piccolo principe, appunto. Nel 1921 parte per il servizio militare e viene mandato a Strasburgo per diventare pilota. Ottiene la licenza di pilota nel 1922 e torna a Parigi dove inizia a scrivere. Ma sono anni sfortunati. Fa diversi lavori, inclusi il contabile ed il venditore di auto. Nel 1928 diventa direttore del remoto campo di Cap Juby vicino a Rio de Oro, Sahara . Nel 1929 si trasferisce in Sud America per trasportare la posta attraverso le Ande con l' Aeropostale. Dopo l'invasione della Francia nella II guerra mondiale entra nell' aviarione militare, e compie diverse missioni di guerra, nonostante sia considerato inabile al volo a causa dei troppi malanni. Viene comunque insignito della Croce di Guerra .  Fu battezzato "l'eroe romantico", un uomo lontano, sfumato, quasi irreale, sia per la sua vita avventurosa che la sua morte, avvenuta in circostanze misteriose all'età di 44 anni. Il 31 luglio, infatti, partì per la nona ed ultima missione, con l'obiettivo di sorvolare la regione di Grenoble-Annecy. Non tornò più, fu dato per disperso e non se ne seppe più nulla.

 

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