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(Ferrara Salvatore fu Federico di anni 37 di Girgenti commissario di P.S.- 23.10.1926. f. 516)
"Dal complesso delle indagini da noi svolto è risultato in maniera lampante che nei due comuni di San Giuseppe Jato e San Cipirello un gruppo fortissimo di malviventi uniti tra loro da vincoli di parentela, di amicizia, di comparatico e più specialmente delittuosi, avevano formato una associazione col fine di arricchire commettendo atti contro la proprietà. Tutti i mezzi erano buoni per riuscire allo scopo. Dal furto alle rapine, alla truffa, alle estorsioni, tutto era buono per far denari. I delitti venivano commessi in circostanze pressoché uguali perché venivano preventivamente organizzati dai dirigenti ed eseguiti or da uno or da altro dei gregari dell’associazione. Questa a mezzo di una fitta rete di campieri, sparsi nelle varie contrade, sorvegliava le mosse della polizia, aiutava gli esecutori materiali dei delitti a sottrarsi alle ricerche dell’autorità, nascondeva la refurtiva, provvedeva a portarla nei comuni vicini ad altri associati, faceva commettere intimidazioni, danneggiamenti e furti nei feudi custoditi da campieri non aggregati all’associazione per costringerli a cedere il posto a propri gregari, imponeva taglie ai proprietari che non volevano subire danneggiamenti continuati, assicurava con la prepotenza i feudi da coltivare ai propri gregari più facoltosi, annullava l’opera dei contadini costretti a patti angarici, giacché non si poteva avere terra da lavorare se non presso i maffiosi gabelloti dei feudi. Nessuno poteva sottrarsi a tale giogo. Dovunque tale associazione trovava aderenti. Con la violenza era riuscita a conquistare le amministrazioni comunali; imponeva i candidati nelle elezioni comunali, spadroneggiava nei consigli comunali e provinciali. Se qualcuno dei gregari era, per quanto raramente, denunziato e veniva sottoposto a procedimento penale, violenze e minacce alle parti lese, deposizioni di favore di testimoni, intimidazioni dei testimoni, pressioni e corruzione di giurati, tutto si metteva in essere per sottrarre i rei alla giustizia. Ben si comprende quali gravi danni, specie all’agricoltura, venissero da tale stato di cose; quanto danno all’amministrazione della giustizia. L’associazione, a mezzo dei suoi gregari, riusciva in tutto ciò che voleva."

(Corrado Ugo di anni 32 da Pontremoli - Tenente RR.CC. - 17.08.1926. f. 369)
"Facevano parte del gruppo dirigente della maffia di San Giuseppe Jato i fratelli Termini Calogero, Emanuele, Federico e Francesco, Troia Giuseppe e Pulejo Antonino i quali si vantavano pubblicamente di essere lo stato maggiore degli ideatori. Il Calogero e il Santo Termini erano quelli che si mantenevano a contatto con le autorità politiche ed in genere con tutte le autorità per potere sfruttare la conoscenza a beneficio proprio e degli associati. Essi si occupavano di ottenere per i loro gregari i permessi di porto d'armi anche quando le autorità locali di polizia erano contrarie alle concessioni. Si occupavano inoltre di ogni sorta di concessione percependo spesso lauti compensi. Una recente inchiesta sull'andamento dell'amministrazione comunale della quale era a capo il Termini Santo e sulla gestione della tesoreria tenuta dal Termini Calogero ha portato alla scoperta di falsi, di appropriazione indebita, di peculati da parte di tali individui. Gregari dell'associazione ma di secondo ordine erano il Traina Vincenzo, Zito Filippo, Micciché Nicolò, Calò Gaspare, Balistreri Domenico, Candela Antonino, D'Anna Antonino e Antonio nipoti di Pulejo soprannominato Ninu u Ladru, Rampudda Sebastiano, Terrana Tommaso ed Ignazio, Rampudda Giuseppe, Immordino Salvatore. In San Cipirello, come dissi era a capo il Todaro Vito. Facevano parte del gruppo dirigente i fratelli Pardo Domenico, Santo, Giovanni e Vincenzo, Leone Francesco, Todaro Giuseppe e Battista, Mustacchia Ignazio. Altri gregari erano Battaglia Francesco, Randazzo Filippo, Antonino, Nicolò e Giuseppe."

(dalla dichiarazione resa da Purpura Giuseppe di Francesco di anni 29 da Monreale domiciliato in San Giuseppe Jato. f. 426)
"Nessuno osava resistere perché ciò facendo sfidava la morte. Gli omicidi infatti si susseguivano con un crescendo impressionante e se qualche volta gli uccisi erano dei delinquenti ad ucciderli erano sempre i componenti della associazione per volere dei loro capi i quali si disfacevano di quelli tra i gregari che osavano agire per conto proprio e senza il permesso e il consenso dei capi."

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