Da “la Repubblica” del 25 settembre 2000 pag. 36 Sette giorni in libreria

Che male c’è se al mio paese son mafiosi di Attilio Bolzoni

Soltanto un anno fa – era il settembre del 1999 – un sondaggio realizzato in un piccolo paese della Sicilia rivelava: “Non c’è nulla di male ad essere mafiosi”. Erano stati interpellati 1.200 abitanti, tutti dai quindici anni in su, e il 61 per cento manifestava senza vergogna una certa vicinanza di pensiero con i boss locali. Il paese era quello di San Giuseppe Jato, case aggrappate alle colline dietro Palermo, regno dei Brusca e dei Di Maggio, laboratorio “politico” di Cosa Nostra fin dalla strage di Portella della Ginestra e anche da molto tempo prima.

Un paio di secoli di silenzi e di misteri che sono raccontati in un libro di Gioacchino Nania (ingegnere esperto in informatica e calcoli in zona sismica), una ricostruzione di vicende mafiose e antimafiose attraverso documenti inediti raccolti in archivio, la storia di San Giuseppe Jato e dei suoi uomini d’onore più illustri.

“Se un comune in Sicilia vi era dove la mafia era onnipotente era proprio quello di San Giuseppe Jato”, aveva dichiarato già nel 1926 il deputato Rocco Balsano al Giudice Triolo. Erano gli anni dei grandi arricchimenti di alcune famiglie della zona, erano anche gli anni delle grandi retate in Sicilia del prefetto Cesare Mori. Il libro – che si apre con una presentazione della giornalista e scrittrice Marcelle Padovani – ripercorre tutte le fasi del radicamento di Cosa Nostra nel territorio dello Jato. Fino ai nostri tempi. Fino alle scorribande di Giovanni Brusca e di Balduccio Di Maggio, potentissimi boss che poi  (costretti dalle circostanze) decisero in qualche modo di pentirsi.

Gioacchino Nania - San Giuseppe e la mafia – Edizioni della Battaglia. Pagg. 199, lire 25.000

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