Navigando in Internet ed utilizzando un qualsiasi motore di ricerca, digitando "San Giuseppe Jato" viene fuori un elenco di pagine abbastanza lungo. Pensi a quel punto: "San Giuseppe Jato è certamente un comune molto importante!". Ti accorgi però subito che la rilevanza del sito è legata alle azioni delittuose commesse da diversi personaggi che di San Giuseppe Jato e San Cipirello hanno fatto il teatro delle loro gesta: Riina, Di Maggio, Brusca, Siino, Bacarella ecc.

Per fortuna ci sono altri aspetti della vita in ambedue i comuni che nulla hanno a che fare con la Mafia. Ad esempio si potrebbe cominciare col dire che ai sopra elencati personaggi possono contrapporsi Salvatore Riccobono, uno dei più eminenti studiosi di Diritto Romano, Antonino D'Alia, emerito diplomatico degli inizi di questo secolo, Giuseppe Caronia, grande medico e ricercatore a cavallo tra gli anni 1920-1950; per non parlare dei tanti figli di queste due realtà comunali che con sacrificio e intelligenza hanno onorato nel mondo il nome del loro paese. Ma un tale argomento ci porterebbe molto lontano.

Certo non è facile, in queste poche pagine, cancellare la reputazione negativa ormai acquisita; anche perché - diciamolo chiaro - non è che la Mafia sia un'invenzione. A San Giuseppe Jato e San Cipirello c'è stata e, purtroppo, ancora c'è! Ma, come si dice in questi casi, vale la pena tentare.

San Giuseppe Jato nasce nel 1779 a seguito di una licentia populandi concessa al Principe di Camporeale Marchese della Sambuca il quale, oltre a chiamarsi Giuseppe Beccadelli-Bologna, era anche sovraccarico di altri titoli: Grande di Spagna, Cavaliere dell’insigne Real Ordine di San Gennaro, Gentiluomo di Camera con esercizio dell’invittissimo Sovrano Ferdinando III ed anche Consigliere di Stato.

Nel marzo del 1838 una frana distrugge circa due terzi del centro edificato costringendo una parte degli abitanti a trasferirsi verso Sud di alcune centinaia di metri: ha inizio così l’edificazione del Comune di San Cipirello.

Oggi in ambedue i comuni c’è la sensazione diffusa che il passato dei due centri abitati sia troppo recente per poterlo affidare alla storia. Certo! Se per storia si vuole intendere quella dei grandi fatti, quella che ci hanno insegnato a scuola, allora molto probabilmente è così. Ma se per storia proviamo anche ad intendere i fatti quotidiani del passato, la vita, il lavoro della gente comune, in poche parole, i fatti che non hanno fatto la Storia, allora ci accorgiamo che l’incidenza del nostro passato sul nostro presente è superiore a quella della storia dei grandi fatti. Certamente sulla vita degli abitanti di San Giuseppe Jato e San Cipirello ha inciso maggiormente la frana del 1838 che la Rivoluzione Francese, come pure l’apertura della strada di Portella della Paglia attorno al 1830 per i nostri abitanti sarà stata molto più importante dell’apertura del Canale di Suez o del traforo del Frejus. Con la sola differenza che mentre un po’ tutti conosciamo la Rivoluzione Francese, l’apertura del Canale di Suez o il traforo del Frejus, sconosciamo invece il passato e la storia del territorio in cui viviamo. Se proviamo ad andare indietro nel tempo, oltre a conoscere il nostro più recente passato, scopriremo pure che la storia dei nostri centri abitati non inizia nel 1779 ma affonda le radici in tempi remotissimi quasi senza soluzione di continuità. Ad esempio vediamo qual è la situazione del nostro territorio anteriormente alla fondazione dei due comuni.

Nel 1459 il feudo della Traversa con annesse costruzioni è posseduto da Luciano Baldaura. Nel 1508 viene concessa licenza ad Alessandro Galletti ad edificare un mulino alla Chiusa a servizio degli abitanti di Piana degli Albanesi, o meglio com’era chiamata allora la Piana dei Nobili Albanesi. Agli inizi del 1600 una aliquota del feudo con annessa masseria di Picciana, corrispondente in parte con l’attuale San Cipirello, era posseduta da donna Maria Catalanotta; poi nel 1724 tale feudo veniva acquistato da Giovan Vicario del quale è sopravvissuto l’attuale toponimo Gianvicario. Il feudo Muffoletto veniva così denominato perché nel 1690 gli acquirenti risultavano Silvestro e Tommaso Muffuletto padre e figlio. Proprietario di un’altra porzione del territorio, dove attualmente sorge parte del Comune di San Cipirello, nel 1716 era Franciscus Reginella. Nel 1656 donna Margarita di Castiglia nominata "la Signura" acquistava quello che attualmente è denominato feudo "la Signora" con "case, torre sopra la porta del baglio, magazzini". Nel 1593 il feudo Dammusi con baglio, torre, magazzini e case apparteneva a Lanzo Galletti, mentre nel 1590 il feudo Chiusa anch’esso munito di case e magazzini risultava in proprietà di Pietro Berlicca.

Particolarmente importante tra il 1584 e il 1596 risulta il feudo di Fellamonica. In esso un intraprendente enfiteuta, il pisano don Pietro De Opezzinghi, inizia una piantagione di riso su circa 50 ettari di terreno ottenendo dei risultati eccellenti. Contemporaneamente procede alla costruzione di varie strutture edilizie tra cui una cappella, case per gli operai, magazzini per il riso, per il frumento, per il vino, torre, stalle, stazzone, calcara, forno etc. dove abitano non meno di 40 persone.

Sarebbe lungo citare tutti i singoli centri e i loro proprietari. Possiamo accennare ad alcuni di essi che nel periodo dal 1400 al 1600 risultano abitati: Balletto, Bommarito, Jannuzzo, Ginestra, Fargione, Verzanica, Pernice, Arcivocale, Caggio, Pietralunga ecc.

Come si vede il territorio risultava densamente abitato.

Due strade, o meglio percorsi, molto importanti attraversavano il nostro territorio: la via da Palermo a Mazara e quella da Palermo a Calatrasi. Quest’ultima, quasi certamente nell’antichità, proseguiva sino a Selinunte. Ambedue le vie si congiungevano dove sorgono gli attuali comuni di San Giuseppe Jato e San Cipirello.

Proprio sul corso Umberto I a San Giuseppe Jato esisteva un fondaco dove sostavano i viandanti con gli animali. Ma oltre al fondaco detto "delli Mortilli" sono anche testimoniati alcuni magazzini e case d’abitazione già nel 1491: un anno prima della scoperta dell’America!

Bisogna precisare che solo dalla metà del secolo scorso il nostro comune si chiama San Giuseppe Jato. Originariamente si chiamava San Giuseppe li Mortilli: San Giuseppe perché il suo fondatore oltre a chiamarsi Giuseppe Beccadelli Bologna era anche devoto di San Giuseppe e Mortilli dal nome della contrada; a sua a sua volta la contrada si chiamava Mortilli perché in essa vi era una notevole produzione di Mirtilli: una pianta sempreverde le cui bacche anche oggi sono impiegate nella preparazione di sciroppi ed in cucina per aromatizzare la cacciagione. Il toponimo Mortilli lo troviamo testimoniato almeno dal 1455.

Nel marzo del 1838, come già detto, una frana distruggeva i due terzi del centro abitato. Se consideriamo che il numero di abitanti riportati nel censimento del 1831 era pari a 4096, ci rendiamo conto che il danno sarà stato notevole. Immediatamente si procedeva alla costruzione di un canalone drenante a monte dell’abitato: canalone, chiamato galleria, che ha salvaguardato buona parte di San Giuseppe Jato sino ai nostri giorni. Purtroppo alla successiva e notevole espansione del centro edificato non è corrisposto un consequenziale prolungamento di tale canalone col pericolo, sempre incombente, che la tragedia del 1838 possa ripetersi.

In una cronaca del Giornale Officiale di Palermo di Sabato 21 Aprile 1838 viene riportato:

Si spedì ancora immediatamente colà il Consigliere dell’Intendenza marchese di Bonfornello accompagnato dall’architetto provinciale. Trovarono costoro delle famiglie intere vaganti a torme per le campagne, senza tetto, e senza pane. Avevano esse perduto case, provvigioni, ed ogni loro sostanza. Le fabbriche di due terze parti del Comune erano sepolte nelle viscere della terra, ed eransi quindi perduti magazzini interi di olio, di vino, di frumenti. Della Chiesa Madre e degli edifici principali le sommità appena uscivano dal livello del suolo. Alcune case finirono capovolte; altre trasportate a lunga distanza dal sito in cui stavano, e queste tuttavia rimanevano illese. In tutto il tratto di terreno che la frana aveva sprofondato si osservava uno strato di terra ed acqua formante una densa melma, che riempiva le grandi voragini nel suolo aperte.In conseguenza quindi delle provvide indicate misure, il cavamento del canale è oggi quasi compiuto. La Commissione locale si è condotta con attività e saggezza; e degli ulteriori danni è forse allontanato il pericolo. Le perdite però degli abitanti sono gravissime. Questa Capitale stessa dèe risentirne le conseguenze. Era quel Comune un deposito di molti generi di consumo che versavansi dappoi agevolmente in questa Città. Quel paese, sorto da pochi anni, per la industria de’ suoi abitanti, era arrivato ad un punto di prosperità superiore a quella degli altri Comuni del suo rango; ed individualmente gli abitanti stessi aveansi costituita una ragguardevole fortuna. Un momento però ha ivi distrutto la pubblica e la privata felicità. Quel poco che rimane del materiale del Comune non presenta né comodi né sicurezza. Nuove fabbriche dovrebbero innalzarsi, in altro sito che da una Commissione di Architetti all’uopo richiesta venisse designato, per darsi patria e ricovero a tutta quella gente, la quale, per sua buona ventura, essendo il disastro avvenuto in pieno giorno, non soffrì danni personali.

Vale la pena sottolineare come allora, in meno di un mese, venne realizzato il canalone, mentre oggi, e ormai da diversi decenni, se ne discute ogni qualvolta le piogge sono un po’ più abbondanti del solito.

La storia dei due comuni è legata a quella della città ubicata sull'omonimo monte che li sovrasta: JATO