I primi decenni del XIII secolo sono ancora caratterizzati da una notevole presenza musulmana nel Val di Mazara. Ormai la condizione dei Musulmani di Sicilia non è più quella florida del periodo normanno: essi sono i paria, i servi della gleba della società feudale, pronti ad esplodere al minimo pretesto.

L'occasione si presenta con Marcovaldo di Anweiler, signore della Marca di Ancona, nominato da Enrico VI alla reggenza dell'Impero. Nell'intento di impadronirsi del piccolo Federico II, sotto la tutela di Innocenzo III, Marcovaldo, alla ricerca di aiuti contro le truppe pontificie, trova nei musulmani del Val di Mazara dei formidabili alleati.

Jato diventa il centro operativo e continui attacchi vengono sferrati alla capitale.

Il tentativo però fallisce il 21 Luglio del 1200 in una battaglia campale alle porte di Palermo, dove cade anche il capo musulmano Magded.

I resti dell'esercito musulmano, tornati a Jato, riescono a mantenere la città.

Si scatena la collera del papato contro Jato e in un crescendo continuo tale contrapposizione determinerà la distruzione della città. In questa occasione la collera del papa Innocenzo III è determinata non solo dall’aiuto prestato a Marcovaldo ma anche dall'asilo offerto ad alcuni monaci abiuri dell'Arcivescovado di Monreale.

In una epistola del 17 Giugno 1203 il Papa accusa i monaci di indebita appropriazione delle entrate, di sevizie agli uomini dell'Arcivescovado e di aver donato alla moglie di Marcovaldo una dalmatica trafugata dal sepolcro di un Arcivescovo.

Nell’estate del 1222 Federico II, stanco delle continue lagnanze della Chiesa ma, soprattutto, dal trovarsi quasi uno stato nello stato, manda le sue armate imperiali all'assalto del Val di Mazara, sotto il comando del Grande Ammiraglio Enrico di Malta. Lo stesso Imperatore dal 17 Luglio al 18 Agosto sovrintende alle operazioni belliche nell'assedio di Jato. La città, ancora una volta, continua a dimostrare di essere imprendibile.

L'anno successivo ritenta l'operazione e Jato viene espugnata dopo l'ostinata resistenza di Ibn Abbad.

In tale occasione viene riportata la costruzione di un castello da parte di Federico II nell’assedio della città.

Scrive il Fazello trattando di Jato: "In questo castello si ridussero già le reliquie de’ Saracini, tirativi dalla speranza di potervisi salvare, per essere egli naturalmente fortissimo, i quai Saracini s’erano ribellati da Federico II Imperatore; il quale per virtù del Conte Ruberto di Caserta finalmente gli vinse con un lungo assedio, avend’egli fatto vicino al castello un forte, siccome ne fan fede le reliquie, che vi si vedono."

Non ci si pone il problema se il castello fu edificato durante l’assedio del 1222-23 o del 1243-46, cerchiamo invece di individuare il probabile sito.

Sembra necessario, innanzitutto, fare alcune considerazioni:

- Un castello costruito dagli assedianti di una città ha lo scopo di evitare che gli assediati possano entrare e uscire, ragion per cui deve trovarsi in un sito molto vicino alla città stessa.

  • Sulle possibili vie di accesso a Jato ci fornisce alcuni particolari Goffredo Malaterra: egli assicura, per essere stato al seguito di Ruggero I probabilmente anche durante l’assedio, che nel 1079 per accedere a Jato esisteva la sola via della cosiddetta Scala del Ferro
  • Anche a volere supporre altre vie, data la conformazione corografica, queste non potevano che trovarsi ad oriente della città, dove è stata ricavata l’attuale strada di accesso.

Tracce di eventuali castelli in questa zona, fuori della città, sono individuabili in due siti:

Monte Pagnocco: vi sono vestigia di muraglie di dimensioni notevoli poste sulla cima del monte. Il castello doveva insistere su una superficie di almeno 1200 mq. Inoltre si notano almeno due torri d’estremità e la ceramica rilevabile in superficie è quella caratteristica invetriata medievale. Considerata la difficoltà dell’accesso e la corografia della zona, non attraversata da strade, non sembra esservi alcun dubbio sulla presenza umana nel medioevo almeno sino al periodo svevo. La distanza in linea d’aria dalla probabile porta di accesso a Jato è di circa 2 km e la quota s.l.m. è di mt.899

Cozzo della necropoli nelle vicinanze della via di accesso a Jato. Trattasi di un’altura spianata alla cima e oggetto di sconquassi per lavori effettuati sia dagli agricoltori che dai tombaroli. Si trova ad una quota di 702 mt slm e ad una distanza in linea d’aria di circa 350 mt dalla probabile porta di accesso alla città. Il sito è caratterizzato dalla presenza di ceramica ellenistica, in buona parte venuta fuori dalle numerose tombe messe alla luce, e medievale. Lo spianamento, con sistemazione laterale e tracce di muratura ai bordi, lascia supporre un intervento finalizzato alla costruzione di un castello. La superficie dello spiazzo risulta almeno di mq.2000.

Il candidato più attendibile, per un castello costruito da assedianti, sembra essere l’altura della necropoli per almeno due motivi: il primo, e credo il più importante, è legato alla toponomastica. Anche se non figura nelle carte topografiche il sito viene denominato dai contadini e dai pastori del luogo: ‘u castiddazzu. Il toponimo risulta molto importante se si tien conto del fatto che il sito non presenta vestigia apparenti tali da giustificarne la denominazione.

Il secondo motivo è prettamente logistico e legato alla finalità del castello: vicinanza alla città e ostruzione non solo della via d’accesso dalla Scala del Ferro ma anche da eventuali vie d’accesso di tutta la fascia orientale.

Il castello su monte Pagnocco non avrebbe potuto garantire nulla in quanto oltre a trovarsi su un monte non aveva possibilità di collegamento immediato con la città. Sembra opportuno infatti sottolineare che una buona parte della catena montuosa di cui fa parte monte Pagnocco lungo la linea est-ovest è costituita da una cresta con pareti laterali molto scoscese e il collegamento con la città avrebbe presupposto un allungamento sia da sud che da nord di almeno altri 1.8 km. Troppi per un assedio in cui la tempestività dell’intervento era fondamentale.