GUIDA ALL'APPRENDIMENTO DELLA NOSTRA LINGUA
a cura del prof. Antonio Margherini

INTRODUZIONE

 

Luigi De Bellis

 
 
 

INDICE

Introduzione
Concetti preliminari
Le lettere
Le sillabe
Le parole
Le parti del discorso
Elisione e troncamento
La punteggiatura
La proposizione
I complementi
Il periodo
Lo stile
Il linguaggio figurato
I linguaggi settoriali
 
Esercitazioni
 
HOME PAGE

TORNA ALLA LETTERATURA





 

Una indagine sui "Promessi Sposi", condotta con il computer da una équipe del Centro Studi Lessicografico " F. Valletti" guidata da Giorgio De Rienzo (i cui risultati sono stati pubblicati in cinque volumi dalla "Arnoldo e Alberto Mondadori" con il titolo "Concordanze dei Promessi Sposi", Milano, 1985), ha svelato che il romanzo del Manzoni contiene 223.000 parole, ma che i vocaboli usati sono solo 8.950 e compaiono già tutti nei primi dieci capitoli dell'opera.
Se, ora, consideriamo che la lingua italiana è formata da più di 50.000 vocaboli e che un bambino di 5 anni, secondo studi attendibili, ne conosce all'incirca 3.000, potrebbe venirci la tentazione di affermare che, alla fin fine, il Manzoni non fu uno scrittore dotato di un grande capitale linguistico, anche se seppe far fruttare al massimo quello di cui disponeva. Ma, se non siamo cretini, non può minimamente offenderci una siffatta tentazione; che, anzi, può tramutarsi in una sollecitazione per alcune riflessioni, modeste ma non gratuite. Anzi quasi ovvie.
La prima è che per erigere un grandioso edificio linguistico, un vero e proprio grattacielo (e tra i più eleganti e confortevoli di quelli che conosciamo) non fu necessario disporre di un intero vocabolario; la seconda è che, se il Manzoni adoperò soltanto 8.950 vocaboli, non significa affatto che non ne conoscesse tanti altri che non ebbe necessità di usare o non volle usare; la terza è che, per esprimersi felicemente -cioè in modo esauriente ed essenziale, efficace e gradevole- sono necessari una congrua -anche se quantitativamente modesta- ma sicura disponibilità del "materiale" da utilizzare (lessico), una discreta abilità nell'uso degli "strumenti" da adoperare (grammatica), un certo buon gusto (stile).
Insomma per parlare e scrivere bene in lingua italiana -tanto più se non si ha la pretesa di scrivere come il Manzoni- non occorre conoscere tutti i 50.000 vocaboli esistenti, ma è indispensabile sapere che la parola capitale può essere aggettivo ( "Fu condannato alla pena capitale") ma anche sostantivo ( "Hanno investito un ingente capitale nella nuova azienda"); che la parola orgoglio (che indica genericamente una "stima smisurata di sé") può essere sostituita, a vantaggio della perspicuità, dai suoi "sinonimi" presunzione, superbia, arroganza (che hanno come loro "contrari" rispettivamente modestia, umiltà e mitezza); che in luogo di "Essa è dovuta partire", come suggeriscono i grammatici, non è scandaloso dire "Essa ha dovuto partire", come usava il Manzoni; che mentre rappresenta un pugno nell'occhio dire: "Se verrebbe Lucio alla festa, non ci verrei io", è affatto normale dire: "Dimmi se verresti alla mia festa", data la diversa natura delle due proposizioni introdotte dalla congiunzione "se" (la prima è, infatti, una "condizionale", la seconda una "interrogativa indiretta").
Ed è infine utile saper cogliere la differenza di stile e di classe tra l'espressione di una persona comune e quella di un artista: apprezzare una squisita pietanza è già segno di un gusto raffinato, anche se non siamo capaci di confezionarla come fa il cuoco.
Assaporiamo insieme questa delizia dannunziana:
«L'usignolo cantava. Da prima fu come uno scoppio di giubilo melodioso, un getto di trilli facili che caddero nell'aria come un suono di perle rimbalzanti su per i vetri di un'armonica. Successe una pausa. Un gorgheggio si levò, agilissimo, prolungato straordinariamente come per una prova di forza, per un impeto di baldanza, per una sfida a un rivale sconosciuto. Una seconda pausa.
Un tema di tre note, con un sentimento interrogativo, passò per una catena di variazioni leggere, ripetendo la piccola domanda cinque o sei volte, modulato come su un tenue flauto di canne, su una fistula pastorale. Una terza pausa. Il canto divenne elegiaco, si svolse in un tono minore, si addolcì come un sospiro, si affievolì come un gemito, espresse la tristezza di un amante solitario, un desio accorato, un'attesa vana; gittò un richiamo finale, improvviso, acuto come un grido d'angoscia: si spense"  Ad un autore capace di tanto chi mai si permetterebbe di fargli notare che invece di "Successe una pausa" sarebbe più corretto dire "Succedette una pausa"?

Il sugo del ragionamento è che tutti possono parlare correttamente purché dispongano di una sufficiente quantità di vocaboli (con cognizione del loro esatto significato) e conoscano quasi perfettamente la grammatica. Cose, queste, che si possono e si dovrebbero acquisire nell'età giusta e con l'aiuto della scuola.
Che poi l'espressione personale risulterà più o meno elaborata o elementare, elegante o disadorna, dipenderà da numerosi fattori che col vocabolario e con la grammatica non c'entrano proprio: dipenderà dal grado di cultura personale, dalla maggiore o minore vivacità della fantasia, dalla sensibilità del cuore, dalla versatilità della mente, ecc. Tutte doti che si possono, sì, sviluppare, ma in tempi lunghi, piuttosto fuori che dentro la scuola, con molta dedizione e qualche predisposizione.
Ma se, per raggiungere l'ambizioso traguardo di una capacità espressiva di alto prestigio, la scuola può solo servire a darci indicazioni metodologiche, a suggerirci itinerari di ricerca culturale, ad offrirci stimoli persuasivi, mentre il risultato dipende soprattutto dalla nostra personalità; per consentirci di parlare e scrivere con decoro -attitudine indispensabile per vivere alla meglio in una società sempre più complessa e, fortunatamente, democratica-, essa può tutto o quasi tutto. La condizione è che la scuola ritorni ad insegnare veramente la grammatica, come faceva un tempo.
All'occorrenza anche con la dovuta fermezza e severità, data la naturale indisponibilità di fanciulli ed adolescenti -proprio nell'età dei primi giochi e dei primi amori- a sottrarre tempo prezioso ai loro più autentici interessi per impiegarlo in estenuanti esercizi grammaticali che, nella loro peculiarità, non sembrano avere alcuna immediata oggettiva utilità. Ma tant'è! A nessuno piace bere l'olio di ricino, neppure agli adulti, però, se necessario, bisogna mandarlo giù, con le buone o con le cattive maniere.

Tuttavia, per rendere meno amara la medicina, è possibile sfrondare la "grammatica" di tutto quanto sia ingombrante ed inutile all'uso quotidiano della lingua. Infatti, se uno, attraverso le buone letture, impara ad apprezzare e ad usare il linguaggio figurato, è proprio necessario che sappia distinguere una metafora ( "Andreotti è una vecchia volpe") da una similitudine ( "Andreotti ha sempre agito come una vecchia volpe")? E a chi giova, oltre che al poeta che intendesse scrivere ancora per endecasillabi, sapere che questo tipo di verso deve avere gli accenti ritmici così disposti: sulle sillabe sesta e decima o sulle sillabe quarta, settima e decima o sulle sillabe quarta, ottava e decima?

Fra le tante stupidaggini che hanno detto i moderni pedagogisti (e peccato che in tanti ci abbiano creduto!) vi è quella secondo cui non è necessario affliggere gli alunni con lo studio sistematico della grammatica, all'apprendimento della quale si può comunque pervenire attraverso continue e rapsodiche osservazioni sull'uso quotidiano della lingua. E questo al solo scopo di preservare la mente dell'alunno da una "fatica" e da evidenti "violenze" per troppi secoli esercitate dalla scuola sugli indifesi discepoli. Nulla di più inesatto! E per due ragioni altrettanto valide: una di fondo, diciamo così "ideologica", ed una di natura pratica.
Infatti la continua preoccupazione di mettere fanciulli e adolescenti sempre e comunque al riparo da attività non gradite e che impegnino la volontà, lungi dal favorire una "crescita" sana in piena libertà, finisce immancabilmente col generare nell'alunno l'errato convincimento che il "sacrificio" non gli compete minimamente, che egli è un essere diverso e privilegiato dalla natura, perché è ovvio che non gli possono sfuggire gli infiniti esempi di sacrificio che fanno giornalmente tutti quelli che gli vivono accanto.
Non è difficile valutare preventivamente il danno psicologico che un siffatto convincimento errato può produrre nel soggetto e sono sotto gli occhi di tutti esempi di devianze e schizofrenie varie dovute unicamente a "carenza di
carattere" e non già a "carenza di affetto" (e i rari ma significativi suicidi che di tanto in tanto si verificano tra i militari di leva ad opera di giovani pur dotati, all'apparenza, di sana e robusta costituzione psico-fisica, non sono che la punta di un iceberg, la cui estensione è ignota certamente ai politici, in tutt'altre faccende affaccendati, ed ai tanti studiosi che si interessano in astratto delle problematiche del mondo giovanile, ma non agli educatori che vivono in mezzo ai giovani).
La seconda ragione, quella di natura pratica, ampiamente sperimentata e registrata nella scuola italiana, consiste nell'accertata difficoltà di approdare ad una sistemazione grammaticale attraverso l'osservazione dei singoli fenomeni linguistici, con metodo frammentario e in momenti occasionali: sarebbe come voler insegnare ad un giovane a progettare e costruire palazzi portandolo in un cantiere e facendogli osservare le singole minute operazioni degli addetti ai lavori (e neppure secondo un criterio cronologico -che già sarebbe qualcosa!- ma come capita) anziché insegnargli le "regole" della costruzione edilizia. Mentre lo studio preventivo e sistematico della grammatica dà certezze e completezza alla conoscenza di una lingua.
Il problema, poi, se una lingua possa essere appresa col semplice uso -senza, cioè, la grammatica- credo non si ponga nemmeno, dato che in tal caso si tratterebbe di "linguaggio" e non di lingua. Questo criterio di apprendimento può valere unicamente per gli emigrati -tanto se poveri venditori ambulanti che se stramiliardari giocatori di calcio- che nella terra di temporanea adozione hanno bisogno della lingua per risolvere i piccoli problemi che si presentano al ristorante o al distributore di benzina. E può valere anche per chi ha fatto la scelta, libera o forzata, di dedicare tutta la vita alla pastorizia e solo qualche giorno all'anno lascia le pecore per le persone.
Morale: a) una cosa è conoscere di una lingua quanto basta per farsi capire nell'esporre le proprie elementari esigenze, una cosa è conoscere una lingua, anche e soprattutto la propria, per esprimersi adeguatamente nella vita civile in rapporto alla maggiore o minore dignità del ruolo che si ricopre; b) non si può usare convenientemente una lingua senza conoscerne bene la grammatica; c) l'apprendimento della grammatica è molto più rapido e sicuro -anche se fastidioso e per nulla appagante nell'immediato- se si conduce con sistematicità,
partendo dalla sua attuale (e, cioè, convenzionale) definizione, anziché ripercorrendo in pratica il secolare processo compiuto dai grammatici per giungere dai singoli fenomeni alla formulazione di una casistica generale.
Quanto faceva ridere quello slogan rivolto agli alunni delle elementari e delle medie: "Costruisci da te la tua grammatica"! Immancabilmente la costruzione si fermava alla "messa in opera" degli articoli, dei sostantivi, degli aggettivi e, qualche volta, dei pronomi. Già coi verbi nascevano i primi intoppi: «Professore ho trovato "mesce": dove lo metto?» Risposta: «Dipende da come è scritto. E' tutto attaccato o ha l'apostrofo?» Figuriamoci se si sarebbe mai giunti a "sistemare" l'uso del congiuntivo e la diversità del "mentre" temporale o avversativo!
In conclusione, il nostro pensiero circa l'insegnamento della lingua italiana è precisamente il seguente: bando alle ciarle pseudo-pedagogiche e pseudosociologiche e si ritorni alla didattica tradizionale. Magari con un decreto-legge impopolare.
Ora però è giunto il momento di conoscere più da vicino l'oggetto del nostro studio.

Vincenzo Monti affermò che la lingua è un "organismo vivente", volendo intendere che essa è in continua evoluzione e non si può fissare in norme rigide né racchiudere in un vocabolario definito una volta per sempre. Il Manzoni condivise l'opinione dell'amico e maestro e noi crediamo che ci sia poco da obiettare su di essa.

Ed allora, partendo dall'immagine mondana, anche la lingua italiana ebbe il suo periodo di gestazione nel corpo materno, cioè nella lingua latina (alto medioevo), venendo finalmente alla luce (basso medioevo), quando però la madre era già avanti negli anni.

Grazie alle cure amorevoli di un grande pediatra linguistico (Dante), dopo i primi inciampi e ruzzoloni, cominciò a camminare spedita e, ancora fanciulla, faceva già presagire che sarebbe divenuta più bella della madre: tanto è vero che l'estetista di famiglia, un certo Petrarca, cominciò a prendersi cura di lei,
pur non abbandonando la madre, alla quale, nonostante le rughe e gli acciacchi della vecchiaia, sapeva tuttavia conferire un certo aspetto di austera bellezza.
Ma gli anni passavano inesorabili e nulla poterono i gerontologi linguistici (gli umanisti) per evitare che la vegliarda si spegnesse lentamente. La figlia, invece, continuava a crescere, sempre più bella, via via allontanandosi dalle sembianze della madre ma non dall'educazione ricevuta da lei, e si avviò verso gli anni della maturità e della piena indipendenza (Settecento e Ottocento), dopo una pimpante giovinezza (Cinquecento) non priva di qualche baldanzosa stravaganza, tipica delle ragazze che, orbate della saggia guida materna, si abbandonano temporaneamente alla voluttà di una libertà senza freni (Seicento).
Nella piena maturità, molto utili le furono le premurose attenzioni di un vero amico, il Manzoni. Ma poi, che vuoi, gli anni passano per tutti, gli amici si perdono per strada: restano i ricordi dei primi amori giovanili (Ariosto, Tasso), di quelli più turbinosi e violenti della prima maturità (Alfieri, Foscolo), ma è giocoforza cedere alla rassegnazione di una dignitosa vecchiaia ed accettare le trasformazioni, naturalmente in peggio, che tanto male ci fanno, se non si vuole cadere nella disperazione e prendere quelle naturali trasformazioni come degli insulti della natura o, peggio, come effetto di un cinico e sprezzante disinteresse di quanti dovrebbero esserci vicino ed aiutarci a vivere alla meglio gli anni che ci restano.
Certo è che la gloriosa Lingua Italiana, figlia della non meno gloriosa Lingua Latina, non sta affatto trascorrendo una placida vecchiaia. Non mancano quelli che, sapendo che deve morire, la sottopongono, all'insegna di uno spregevole sperimentalismo, a terapie inaudite, con largo uso di discutibili medicinali provenienti d'oltralpe, d'oltremanica, d'oltreoceano, o di disgustosi intrugli confezionati in patria da lestofanti e sofisticatori senza scrupoli (sul tipo di "vu' cumprà" ).
Circa la reazione psicologica dell'antica signora, gli psichiatri sono divisi nella diagnosi: alcuni affermano che sta vivendo con rassegnazione lo strazio della fine e non vede l'ora che l'Europa Unita la seppellisca, augurandosi solo che i posteri la ricordino com'era da giovane, proprio come è capitato alla sua
augusta genitrice, che tutti ricordano con rispetto com'era all'epoca di Cicerone e di Orazio e non certo come si era ridotta all'epoca di Giovenco e Sedulio; altri affermano che è, sì, spesso depressa, ma non rassegnata, anzi in qualche occasione combattiva e speranzosa di poter anche ringiovanire, solo che qualcuno l'aiutasse (imperfetto congiuntivo per sottolineare l'improbabilità della speranza).

Sempre paragonando la lingua all'organismo umano, vediamo ora di fare il punto sulla sua struttura.
L'organismo umano, all'atto del suo concepimento, è un "embrione" che contiene potenzialmente la forza vitale dello sviluppo. Da esso ha origine un'infinità di cellule di varia natura che, unendosi tra loro, formano vari tipi di tessuti.
Sono questi che danno costituzione ai diversi organi che, singolarmente o in combinazione tra loro, formando cioè degli apparati, svolgono le varie funzioni necessarie alla vita dell'organismo. Tutti gli organi agiscono in perfetta intesa tra loro: se uno solo di essi non fa il proprio dovere, tutti gli altri sono condizionati nella loro efficienza e l'organismo avverte uno stato di malessere.
Analogicamente la lingua (=organismo umano) si compone inizialmente di parole (=cellule) che costituiscono le parti del discorso (=tessuti) in grado di formare le proposizioni (=organi). Una o più proposizioni in stretta relazione tra loro, formano i periodi (=apparati) e questi, in armonia tra loro, sviluppano la funzione propria della lingua, cioè il discorso (che nell'analogia rappresenta il corpo umano, cioè l'organismo umano nel suo aspetto unitario ed operante).
Ma come nell'organismo umano le "cellule" sono formate da una o più molecole e queste da uno o più atomi, così le "parole" sono formate da una o più sillabe e queste da una o più lettere (oggi, si sa che anche gli atomi sono scomponibili e nulla ci impedisce, per continuare l'analogia, di dire, ad esempio, che la lettera "p" è formata da una stanghetta verticale e da una semicirconferenza che, partendo dal punto più alto della stanghetta, si ricongiunge ad essa, dalla parte di destra, in un punto mediano!).

Perciò, se per avere vera ed esatta conoscenza del corpo umano occorre partire dallo studio degli atomi e delle molecole e risalire via via allo studio delle cellule e dei tessuti, degli organi, degli apparati, delle loro funzioni e disfunzioni, così per avere vera ed esatta conoscenza della lingua bisogna partire dallo studio delle lettere e delle sillabe e risalire via via allo studio delle parole e delle parti del discorso, delle proposizioni, dei periodi, della loro corretta o scorretta funzionalità nella composizione del discorso.
Per conoscere il corpo umano, aiutarlo nello sviluppo, proteggerlo nella salute prevenendo o correggendo le eventuali disfunzioni, l'umanità ha creato la scienza medica, che racchiude in sé tante altre scienze particolari (microbiologia, biologia, istologia, anatomia, fisiologia, igiene, patologia, farmacologia, ecc.). Per conoscere la lingua, aiutarla nello sviluppo, proteggerla nella purezza, ha invece creato la grammatica, sintesi di varie scienze particolari (fonologia, morfologia, sintassi, stilistica, ecc.).
Il grammatico sta all'insegnante di lingua come lo scienziato della medicina sta al medico di famiglia. I primi esponenti dei due rapporti stabiliti studiano, nei rispettivi campi, i "fenomeni" e derivano "leggi"; gli altri due diffondono i risultati scientifici perché la gente sia sana e si esprima bene. Per stare bene in salute dobbiamo dare ascolto ai consigli del nostro medico di famiglia fin dall'infanzia, perché egli solo sa darci le indicazioni opportune per tenerci lontani dai malanni fisici in relazione alle varie età ed alle diverse esigenze dei nostri particolari organismi. Per parlare e scrivere bene dobbiamo accettare l'insegnamento del docente di lingua, che non solo ci fornisce la conoscenza strutturale della lingua, ma ci consiglia pure sul come migliorare la capacità espressiva in armonia con la nostra personalità.
In definitiva dipende poi da noi gestire correttamente la salute del corpo, applicando le norme dell'igiene, e la perspicuità della nostra espressione scritta e orale, applicando le norme della lingua. E come siamo in grado di imparare a nutrirci secondo una dieta corretta senza dover di volta in volta fare il conto delle calorie che assumiamo, l'analisi degli elementi che ingeriamo, così possiamo imparare ad usare correttamente la nostra lingua senza dover ricorrere continuamente alla riesumazione delle "regole" studiate a scuola.
A questo punto -e solo a questo punto- l'uso, la pratica basteranno a farci
da guida. Anche se saremo costretti qualche volta a consultare l'enciclopedia medica o la grammatica e qualche altra volta a ricorrere ai consigli del medico o dell'insegnante di lingua.

 

SCHEMA ANALOGICO
Corpo umano Lingua
atomi lettere
molecole sillabe
cellule parole
tessuti parti del discorso
organi proposizioni
apparati periodi

Per concludere definitivamente il discorso, vogliamo fare un'ultima riflessione, non senza ribadire ancora una volta che è possibile a tutti scrivere e parlare bene la propria lingua a patto, però, di conoscerne bene la grammatica; e che questa può e deve essere insegnata ed appresa in modo sistematico, che è il modo più rapido e sicuro.

Attenti, però!

Come il possedere un corpo sano ed efficiente non ci rende una "persona" se non siamo dotati di "pensiero" e "sentimento", così il possedere uno strumento linguistico corretto ed efficace non ci vale a nulla se non abbiamo "contenuti" da comunicare...

Ora finalmente possiamo iniziare il nostro viaggio nel mondo della grammatica italiana, toccando i luoghi principali e seguendo l'itinerario cui già abbiamo accennato: partendo, cioè, dalle "lettere" (=cellule) per giungere alla comprensione dell'intero organismo linguistico (=discorso). Usando, quando possibile, opportune "scorciatoie".

               ANTOLOGIA DELLA LETTERATURA DIALETTALE

CARLO GOLDONI (1707-1793, veneziano)

(Donna Felice, moglie del cittadino Lanciano, rivolta al conte Riccardo)

Percossa disela ste freddure? Crederla fursi, che mio mano sia zeloso? Oe, sior Cancian, defendeve. Sentì, i ve crede zeloso. Me maraveggio de ela, sior Conte. Mio mario xe un galantomo, el sa che muggier che el gh'ha, nol patisse sti mali, e se el li patisse, ghe li farave passar. La Baria bella che una donna civil no podesse trattar onestamente un signor, una persona pulita che vien a Venezia per sti quattro zorni de carneval, che me xe stada raccomandalo da un mio fradelo che xe a Milan? Cossa diseu, Marina, no saravela una inciviltà? No Baravela un'asenaria? Mio mario no xe de sto cuor, el gh'ha ambizion de farse merito, de farse onor, el gh'ha gusto che so muggier se deverta, che la fazza bona figura, che la staga in bona conversazion. Nevvero, sior Cancian?

                                                            (da "I Rusteghi", commedia)

Traduzione:

Perché fa queste battute? Crede forse che mio marito sia geloso? Ohè, signor Lanciano, difendetevi. Avete udito che vi crede geloso? Mi meraviglio di lei, signor Conte. Mio marito è un galantuomo, e sa bene che la moglie che ha non soffre di questi vizietti, e seppure ne soffrisse, lui glieli farebbe passare. Sarebbe bello che una donna per bene non potesse trattare onestamente un signore, una persona pulita che viene a Venezia per questi quattro giorni di carnevale, che mi è stata raccomandata da un mio fratello che vive a Milano. Cosa rie dici tu, Marina, non sarebbe una cosa incivile? Non sarebbe un'asineria? Mio marito non è di questo cuore, egli ha l'ambizione di guadagnare meriti, di farsi onore, ed ha piacere che sua moglie si diverta, che faccia bella figura, che stia in buona compagnia. Non è vero, signor Lanciano?



CARLO PORTA (1775-1821, milanese)

          Donna Fabia Fabron de Fabrian 
          l'eva settada al foeugh sabet passaa 
          col pader Sigismond ex franzescan, 
          che intrattant el ghe usava la bontaa 
          (intrattanta, s'intend, ch'el ris coseva) 
          de scoltagh sto discors che la faseva.

                                                       (da "La preghiera")

Traduzione:

Donna Fabia Fabrone dei Fabriani era seduta al fuoco sabato scorso col padre Sigismondo, ex francescano, che intanto le usava la bontà (intanto, s'intende, che il riso cuoceva) di ascoltare questo discorso che ella faceva.

HOME PAGE

2001 © Luigi De Bellis