L'Ospitalità eucaristica o intercomunione

 

 

     L'ospitalità eucaristica consiste nel fatto che una Chiesa accoglie altre chiese e comunità cristiane nella celebrazione eucaristica. Prende anche il nome di “intercomunione”[1], cioè di celebrazione eucaristica “aperta” a più denominazioni cristiane, con reciprocità di accoglienza e talora interscambiabilità di ministri. Il punto di vista del mondo protestante può essere riassunto con una espressione di Fede e Costituzione (Lund, 1952): l'eucaristia è sacramento dell'unità divinamente data, medicina per le nostre divisioni. Il punto di vista del mondo ortodosso e cattolico è invece rovesciato: l'eucaristia è segno dell'identità e dell'unità di fede esistente e visibile della Chiesa.

     I cattolici trattano la questione nell'ambito della communicatio in sacris, tenendo presente il documento conciliare Unitatis Redintegratio n. 22, che parla, per il mondo protestante, di sacramenti ordinis defectum. Non hanno comunque mancato di entrare nel dibattito ecumenico partecipando a dialoghi bilaterali. Ne ricordo due:

     1) Il primo è il “Rapporto di Malta” del 1972, che riporta i pronunciamenti della Commissione ufficiale di studio evangelico luterana e cattolico romana su Il Vangelo e la Chiesa: rapporto pubblicato dal card. J. Willebrands, presidente del Segretariato per l'unione dei cristiani, e dal dott. A. Appel, segretario generale della Federazione mondiale luterana. Al n. 73 del documento si afferma: “Tutti i passi compiuti dalle chiese devono essere determinati da uno sforzo serio per avvicinarsi all'unità delle chiese. Data la situazione anomala delle nostre divisioni attuali fra chiese, questa unità non potrà essere realizzata in una volta sola. Occorre percorrere la via degli avvicinamenti graduali, nella quale sono possibili diversi stadi. Già fin d'ora si deve raccomandare che le autorità ecclesiastiche, in base alla comunanza già esistente nella fede e nel sacramento, e come simbolo e anticipazione dell'unità promessa e sperata, consentano determinati atti di intercomunione (ad esempio in occasioni ecumeniche, nella pastorale dei matrimoni misti). Le incertezze in merito a una dottrina comune del ministero costituiscono tuttora un ostacolo per accordi reciproci sull'intercomunione. La realizzazione della comunione nell'eucaristia non deve tuttavia essere subordinata esclusivamente al pieno riconoscimento del ministero ecclesiastico”. (E. Oe. Vol. I, p. 584ss).

     2) Nel Rapporto ufficiale del dialogo (1984-1990) della Commissione internazionale congiunta cattolico romana e riformata su Una comprensione comune della Chiesa le posizioni circa la condivisione eucaristica sono così presentate: “Sebbene il reciproco riconoscimento del battesimo sia attualmente già possibile, non siamo ancora in grado di celebrare insieme l'eucaristia o la cena del Signore. Le nostre diverse concezioni della relazione fra il Vangelo e la Chiesa hanno delle ripercussioni anche per quanto riguarda l'ammissione alla comunione. Le chiese riformate sono del parere che, proprio perché Cristo stesso è l'ospite della mensa, la chiesa non debba frapporre alcun ostacolo. Tutti coloro che hanno ricevuto il battesimo e amano il Signore Gesù Cristo sono invitati alla cena del Signore. La chiesa cattolica, d'altro canto, è convinta che la celebrazione dell'eucaristia è in se stessa una professione di fede in cui l'intera chiesa riconosce ed esprime se stessa. La condivisione dell'eucaristia presuppone quindi l'accordo con la fede della chiesa che celebra l'eucaristia. Questa divergenza nella concezione della condivisione eucaristica va rispettata da ambo le parti” (E. Oe. Vol. III, p. 1025).

     È questo un argomento molto presente nei dialoghi ecumenici. Le posizioni però sono rimaste sostanzialmente inalterate. Si tratta di affrontare i nodi veri del problema, che contrappongono, da un lato, cattolici e ortodossi, uniti in una visione “forte” dell'eucaristia; dall'altro, protestanti e anglicani: nodi che riguardano l'aspetto ecclesiologico dell'eucaristia, importante e decisivo non meno di quelli classici del convito-sacrificio-presenza reale. L'aspetto ecclesiologico coinvolge sia il problema della piena comunione ecclesiale sia quello del ministero nella successione apostolica e del sacramento.

 

     A chiedere con insistenza e con sofferenza che si trovino punti d'incontro sono soprattutto le coppie miste, che vivono sulla propria pelle queste lacerazioni e sono perciò una sfida permanente alle nostre divisioni. Nel recente accordo, ormai definitivo, tra cattolici e valdo-metodisti italiani, l'argomento è stato tenuto presente, ma si è potuto solo prendere atto dell'esistenza del problema senza risolverlo.

     Diversa è la situazione tra cattolici e ortodossi, con i quali, a giudizio dei cattolici, non ci sono gravi difficoltà ecclesiologiche per la reciproca ospitalità eucaristica, trattandosi di “chiese sorelle” con identica visione sacramentale. I cattolici prevedono nella loro disciplina la possibilità di accogliere ai sacramenti dell'eucaristia, della penitenza e dell'unzione degli infermi i cristiani delle chiese orientali che, in caso di necessità, ne facessero richiesta liberamente e fossero preparati (cf. can. 844,3; Direttorio Ecumenico, 122); non altrettanto è previsto da parte ortodossa verso i cattolici: gli ortodossi non ammettono la reciprocità ed anzi criticano la scelta cattolica, mancando ancora, a loro giudizio, una identica visione di Chiesa. La questione è stata oggetto di un ampio e sofferto dibattito anche nell'incontro di Bari (1986-1987), che aveva come tema “Fede, sacramenti e unità della Chiesa”.

     Com'è noto, il rinnovamento della teologia sacramentale ed eucaristica, pienamente accolto dal Vaticano II, ha spiegato i sacramenti proprio a partire dall'identità e dall'agire ecclesiale; la celebrazione eucaristica è la principale manifestazione del mistero della Chiesa (SC 41). Anche il recupero, sul piano rituale, della doppia epiclesi, sul pane e il vino, perché siano segno del corpo sacramentale del Cristo, e sull'assemblea, perché sia segno dell'unico corpo ecclesiale del Cristo glorioso, ci documenta questo intreccio connaturale di valori e di significati.

     Si comprendono allora le parole di Paolo ai Corinzi, così drastiche verso i ricchi, i quali, mangiando per conto proprio e ignorando i poveri, davano scandalo e, celebrando poi l'eucaristia, finivano per mangiare e bere la propria condanna non discernendo più il corpo del Signore, sia quello sacramentale che quello ecclesiale. Per questo, Paolo non condannò soltanto gli abusi dell'agape, ma l'agape stessa, che si prestava a quegli abusi, dicendo: “Se qualcuno ha fame, mangi a casa...” (1Cor 11,35). Anzi sono proprio i peccati di divisione a renderci indegni di celebrare l'eucaristia, e per essi vale il monito di Gesù: “Va' prima a riconciliarti con tuo fratello, poi torna...” (Mt 5,23). L'eucaristia è un atto costituzionalmente ecclesiale in tutti i suoi aspetti; non esiste senza Chiesa e ha come finalità l'unità e l'edificazione della Chiesa.

     Come si vede, le ragioni che sconsigliano la communicatio in sacris sono molto serie, e non possono bastare argomenti emotivi a dirimerle: occorre affrontare seriamente il nodo dei nodi, l'ecclesiologia, e, nell'ecclesiologia, il sacramento e il ministero. Se “il sacramento è un'azione di Cristo e della Chiesa per mezzo dello Spirito, allora la sua celebrazione in una comunità concreta è il segno della realtà della sua unità nella fede, nel culto e nella vita comunitaria... Di conseguenza la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile”. Così dice il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo al n. 129, che, dopo aver ricordato l'ammissibilità ai sacramenti “esclusivamente di coloro che sono nella sua unità di fede, di culto e di vita ecclesiale” e a determinate condizioni, afferma che l'ammissione a questi sacramenti “può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali”. Non c'è, quindi, un veto assoluto per l'ammissione dei non cattolici al sacramento, ma solo un veto con delle eccezioni. La valutazione delle diverse situazioni va ponderata caso per caso, d'accordo con il Vescovo, chiedendo a chi desidera il sacramento la fede nella Chiesa di Cristo ed evitando facilonerie o concessioni generalizzate.

     Non si dà, però, il caso inverso, e cioè d'un cattolico che chiede i sacramenti ad un ministro non validamente ordinato. Dice il Direttorio al n. 132: “Rifacendosi alla dottrina cattolica dei sacramenti e della loro validità, un cattolico non può chiedere i suddetti sacramenti che a un ministro di una Chiesa i cui sacramenti sono validi, oppure a un ministro che, secondo la dottrina cattolica dell'ordinazione, è riconosciuto come validamente ordinato”.

     Diverso è il caso del battesimo, che inserisce i battezzati nel corpo di Cristo che è la Chiesa, sia pure attraverso la mediazione d'una chiesa o comunità storica, cattolica, ortodossa o riformata che sia. Però neppure questo riconoscimento esplicito c'è ancora tra tutte le chiese e le comunità cristiane. I cattolici l'hanno proposto più volte e senza incertezza alcuna, a condizione che sia un battesimo fatto con intenzione di fare ciò che vuole Cristo e la sua Chiesa. La richiesta di questo riconoscimento fu fatta anche nell'assemblea ecumenica di Graz (1998).

     Giovanni Paolo II non ha mancato di toccare la questione della mutua ospitalità eucaristica, a cominciare dall'enciclica Ut unum sint, dove al n. 45 dice: “A causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile celebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l'unica eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più con un cuore solo”. Anche durante la celebrazione conclusiva della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, tenutasi il 25 gennaio 2001 nella basilica di San Paolo a Roma insieme a 23 delegazioni ecumeniche di ortodossi, anglicani e riformati, ha detto il Papa con estrema chiarezza e lucidità: “Non si possono e non si debbono sminuire le differenze tuttora esistenti tra noi. Il vero impegno ecumenico non ricerca compromessi e non fa concessioni per quanto attiene la Verità... Le questioni ancora aperte non devono essere sentite come un ostacolo al dialogo, ma come un invito al confronto franco e caritatevole. Ritorna la domanda: Quanta est nobis via?. Non ci è dato saperlo, ma ci anima la speranza di essere guidati dalla presenza del Risorto, capace di sorprese sempre nuove. Dobbiamo vivere nel concreto la comunione che, quantunque non piena, già esiste tra noi... Il dialogo della carità, tuttavia, non sarebbe sincero senza il dialogo della verità. Il superamento delle nostre differenze comporta una seria ricerca teologica. Non possiamo scavalcare le differenze; non possiamo modificare il deposito della fede. Ma possiamo cercare di approfondire la dottrina della Chiesa alla luce della S. Scrittura e dei Padri, e spiegarla in modo che essa sia comprensibile oggi”.

     È apparso sull'Osservatore Romano (25/3/2001) un pronunciamento autorevole sull'argomento dal titolo: Riflessioni in merito alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione. In esso s'affronta, nel quadro della giustificazione, il problema della comunione eucaristica fra cattolici e luterani:

 

     a) Nuove proposte di comunione eucaristica fra cattolici e luterani

 

     “In questa situazione di cristianità frammentata molti desidererebbero porre dei gesti di unità, sul fondamento di quanto già fin d'ora unisce i cristiani cattolici e luterani. Malgrado la permanenza di contrasti anche in questioni essenziali della fede, alcuni pensano che si potrebbe comunque di quando in quando testimoniare l'unità della fede finora raggiunta, e incoraggiarsi sulla strada che conduce alla piena unità visibile, con uno scambio di pulpito e con forme di comunione eucaristica, come la reciproca ospitalità eucaristica, il libero accesso alla comunione o addirittura condividendo la celebrazione dell'eucaristia.

     Da qualche parte si sostiene anche che queste richieste sarebbero la conseguenza logica della firma di Augsburg. Poiché infatti Augsburg riconosce a riguardo della dottrina della giustificazione l'esistenza di elementi comuni con i riformatori, il Tridentino sulla giustificazione sarebbe relativizzato. Se però da parte cattolica la concezione luterana della giustificazione non è più condannata, sarebbero superate anche tutte le differenze dottrinali, che Lutero ha dedotto dalla sua dottrina e che furono respinte da Trento. Ciò non è sostenibile.

 

     b) Eucaristia e comunione nella fede

 

     La firma apposta dalla Chiesa Cattolica ad Augsburg non comporta una rinuncia alla sua comprensione della Chiesa, del Magistero e del Concilio; né una logica di questo tipo è contenuta nel consenso sulla giustificazione. L'approvazione della Dichiarazione congiunta da parte delle autorità ecclesiali non cancella l'insegnamento vincolante del Concilio di Trento e del Vaticano I e II. I principi cattolici dell'interpretazione della rivelazione e l'articolazione interna differenziata di Scrittura Tradizione Magistero (Concilio e Papa) restano normativi per i suoi atti e gesti ecumenici. Si comprende pertanto perché le suddette forme di comunione eucaristica, in questa fase del cammino ecumenico, costituirebbero una rinuncia a verità di fede, che appartengono alla confessione della fede cattolica. Secondo la dottrina cattolica, infatti, la ricezione della santa comunione presuppone la piena comunione con la Chiesa.

     Certamente è Cristo colui che invita alla cena, nella misura in cui egli nella persona del sacerdote consacrato amministra i sacramenti. Nondimeno Cristo agisce nei sacramenti, quando gli apostoli e, nella loro legittima successione, i vescovi ed i presbiteri adempiono al mandato di Gesù (“Fate questo in memoria di me”) di rendere presente il suo sacrificio della croce e la partecipazione alla realtà della sua risurrezione. Così egli si unisce alla sua Chiesa, che è il suo corpo e la sua sposa. Così Cristo è “uno” nel capo e nelle membra del suo corpo. Il presupposto essenziale per la partecipazione è la confessione della fede della Chiesa, nella quale essa appare, anche visibilmente, come corpo di Cristo e viene edificata nella sua unità a partire da Cristo. Presupposto della partecipazione sono dunque il battesimo e la piena unità nella fede della Chiesa.

     Se fra cristiani insorgono divisioni a motivo di essenziali questioni di fede, essi devono dapprima riconciliarsi nella fede. Solo dopo potranno celebrare nella verità l'eucaristia come espressione dell'unità con Cristo e fra di loro. Il contrasto dottrinale in importantissimi contenuti della confessione della fede, della liturgia e della costituzione apostolica della Chiesa non consente una celebrazione in comune della eucaristia. Solo l'unità nella confessione della fede realizza anche la piena comunione dei discepoli fra di loro e con Cristo, il capo del corpo che è la Chiesa. Se in contenuti essenziali della confessione della fede non vi è unità, la celebrazione in comune dell'eucaristia non sarebbe vera ed anzi sarebbe una dimostrazione che la frammentazione della cristianità è insuperabile. Sarebbe quindi una controtestimonianza per l'unità visibile della Chiesa, che è invece la volontà di Cristo.

     A questo proposito non sarebbe teologicamente giustificato neppure richiamarsi ad una ispirazione personale o ad una presunta obbedienza alla libera azione dello Spirito Santo, che sarebbe superiore all'obbedienza nei confronti dei Vescovi. Infatti lo Spirito Santo non annulla l'ordinamento, che Cristo ha dato alla Chiesa. Lo Spirito Santo non relativizza l'autorità del magistero ecclesiastico, ma la sostiene. E il cammino verso l'unità dei cristiani non può certo creare nuove divisioni o essere raggiunto attraverso un contrasto con il Papa e i Vescovi.

 

     c) Casi di grave e urgente necessità pastorale

 

     Diversi da quelli sopra esposti sono invece i casi di grave ed urgente necessità pastorale, contemplati nel Direttorio Ecumenico, quando anche i fedeli luterani, in circostanze eccezionali ed a condizioni ben determinate, possono essere ammessi all'eucaristia (cf. Direttorio Ecumenico, n. 129-131).

     In conclusione occorre ricordare che il desiderio giusto dell'unità non deve rendere impazienti o impedire di riconoscere la complessità dei problemi. L'unità non è qualcosa che si può costruire, ma solo accogliere nella fede e conservare nell'amore alla Chiesa e alla sua più grande verità. L'unità nella fede esige in particolare una grande attenzione dinamica propria dei sacramenti della Chiesa. Essa può crescere solo dalla profondità della fede e da un comune approfondito ascolto della parola di Dio e dall'obbedienza nei confronti delle indicazioni di Cristo. L'atteggiamento scettico di fondo davanti alla verità della rivelazione e alla capacità di verità dell'uomo nei confronti della trascendenza di Dio in una società secolarizzata è un cattivo consigliere per il movimento ecumenico verso l'unità dei cristiani nella fede. Le affermazioni di fede della Chiesa non sono solo interpretazioni umane, ma hanno un carattere vincolante, che illumina e orienta il cammino verso l'unità autentica. La Dichiarazione congiunta di Augsburg percorre la via giusta: l'unità dei cristiani deve essere cercata al livello dell'unità nella confessione della fede, perché possa trovare la sua piena espressione nella comune celebrazione dei sacramenti.

     La Dichiarazione congiunta non ignora le importanti differenze esistenti. La cristianità ha bisogno di una riconciliazione nella profondità del mistero e della verità di Cristo. Il cammino verso di essa può essere solo un dialogo aperto, per trovare - in conformità con la volontà di Dio - una unità nella fede, che possa fare da fondamento alla piena comunione di tutti i cristiani” (Oss. Rom. 25/3/2001).

     Volgendo al termine di questa riflessione sulla ospitalità eucaristica, è doveroso registrare una notizia comparsa sulla stampa tedesca e ripresa da qualche giornale italiano (Il Messaggero e Jesus). In data 22 febbraio 2001 il Papa ha scritto una lettera ai nove cardinali tedeschi per chiedere loro un particolare impegno nel contrastare "abusi" presenti nelle chiese di Germania, che causano abbandoni e disorientamenti. Uno degli abusi lamentati riguarda proprio l'ecumenismo e l'intercomunione: “Un ecumenismo che lasci più o meno da parte la questione della verità - scrive il Papa - porta solo a successi di facciata”.

     Nel frattempo anche la Chiesa ortodossa russa ha riposizionato se stessa nel concilio dei vescovi dell'agosto 2000, con un documento dal titolo Principi basilari dell'atteggiamento della Chiesa ortodossa russa verso le altre confessioni cristiane. Un paragrafo è stato dedicato al tema dell'intercomunione, così giudicata: “L'unità della Chiesa è prima di tutto unità e comunione nei sacramenti. Ma una comunione autentica nei sacramenti non ha niente a che fare con la pratica della cosiddetta intercomunione. L'unità può essere attuata solo in un'identica esperienza e vita di grazia, nella fede della Chiesa, nella pienezza della vita sacramentale, nello Spirito Santo” (Il Regno: documenti, n. 5, p. 193, n. 2,12).

     Afferma giustamente il card. Walter Kasper, nuovo presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, in un suo discorso recente all'università di Tubinga sulla situazione e il futuro dell'ecumenismo: “Dopo il chiarimento di aspetti fondamentali della dottrina della giustificazione, nel dialogo con le chiese nate dalla Riforma rimangono in primo piano solo questioni ecclesiologiche. Secondo la concezione cattolica e ortodossa, esse sono la chiave per poter avanzare nell'urgente questione della comunione eucaristica. È questo il punto in cui ci troviamo attualmente” (Il Regno: attualità, 15/2/2001, n.4, p..135).

     È con vero rammarico, perciò, che dobbiamo prendere atto che in questo faticoso cammino non siamo sostenuti da un cibo o da una medicina comune e quanto mai appropriata come l'eucaristia, anche se è consentito ad ognuno assumerla nella propria Chiesa, e cioè nella divisione!

 

     E tuttavia non possiamo dirci soddisfatti di questi pronunciamenti se non facciamo almeno un cenno ad alcuni tentativi di ulteriore comprensione del mistero eucaristico sulla linea della mutua ospitalità.

     a) Segnalo un recente articolo di mons. Luigi Sartori[2], in cui si cerca di impostare il problema in altro modo, visto che esso è andato sempre più complicandosi per l'influsso d'una “impostazione ancora fortemente giuridica o di scientificità scolastico-analitica di derivazione medioevale”. Egli parte dalla constatazione dell'interpretazione minimalista del decreto Unitatis Redintegratio a proposito dei sacramenti. Ne sono nati “due processi interpretativi divergenti: da una parte un progredire di esperienze che applicano UR n. 8 in modo sempre più aperto e di fatto sino all'arbitrio di intercomunioni «selvagge»; dall'altro, un progressivo irrigidimento della normativa ufficiale che rende illegittime le suddette prassi”. Circa l'eucaristia, l'autore lamenta la non attenzione dei cattolici al suo valore “medicinale”, che per natura sua precede il momento della pienezza dell'unità; e lamenta anche l'interpretazione rigida del “difetto del sacramento dell’Ordine”, di cui parla il n. 22 di UR a proposito degli evangelici, interpretato come una “carenza assoluta” anziché una “deficienza con limiti e parzialità”.

     Per camminare verso un superamento dell'impasse, Sartori ragiona intorno alla fede, e precisamente alla fides qua, contrapposta in qualche modo alla fides quae: “l'ecumenismo provoca ad una fede come atteggiamento spirituale, come nuova mentalità”. E insiste sul “valore di una fede cattolica in senso ecumenico, ossia spiritualmente aperta agli altri”. È da questa fede, e quindi da un “ecumenismo come spiritualità”, che mons. Sartori trae motivo di speranza per uno scioglimento del nodo della reciproca ospitalità eucaristica. Chiede infatti che la teologia faccia spazio “anche ai valori delle componenti psicologiche e sociologiche dell'agire umano anche nel campo del credere”; e perciò “la koinonia diventi stile globale del pensare, dell'agire e del vivere di tutte le chiese”.

     La conclusione della doglianza di mons. Sartori è interessante. “Allora la meta dell'ospitalità eucaristica si allontana? È così. Ma non tanto a motivo delle divergenze dottrinali, bensì per il fatto che sono ancora esigua minoranza coloro che hanno assunto la nuova mens (fides qua) che l'ecumenismo invoca. La maggioranza dei membri delle chiese si trova più o meno ancora in situazione di chiusura su se stessi e di esclusione o sospetto verso gli altri. Occorre conversione per disporsi ad un orientamento inverso rispetto a un lungo passato, quasi una svolta a 180 gradi: ieri si è camminato da isolati e isolantisi, in progressiva estraneazione e divergenza; oggi tutti dovrebbero camminare insieme in progressiva comunicazione di familiare e fraterna convergenza. Forse è provvidenziale che il percorso teologico sulla communicatio in sacris si trovi davanti a un impasse; così le chiese devono prima impegnarsi a cambiare mentalità e atteggiamento nel credere e nel vivere l'ecclesialità, e solo dopo potranno riuscire anche a «sbloccare» la teologia”.

 

     b) Una sintesi equilibrata della posizione cattolica attuale sull'argomento e degli interrogativi anche teologici che si pongono relativamente ai matrimoni misti può essere quella esposta da Peter Neuner in una sua recente opera, Teologia Ecumenica[3]. Secondo una prospettiva che è comune a cattolici e ortodossi, la chiesa “non è prima di tutto un'istituzione, ma è una realtà sacramentale. Dove è la chiesa, là vengono celebrati i sacramenti, dove vengono celebrati i sacramenti, là è la chiesa. Nella celebrazione dei sacramenti nasce la chiesa; questa si fonda non su una associazione di persone che hanno idee simili, ma ha un fondamento sacramentale. La chiesa, come corpo di Cristo, vive del corpo eucaristico. La celebrazione comune della cena del Signore e la comunione della chiesa non si possono, quindi, separare l'una dall'altra. La chiesa, secondo la comprensione cattolica, è il sacramento fontale e radicale: essa si fonda nei sacramenti e fa sgorgare i segni sacramentali dal suo seno.

     A causa di queste convinzioni ecclesiologiche, secondo la costituzione cattolica non si può celebrare l'eucaristia senza comunione ecclesiale. Già l'esempio della chiesa antica mostra che ogni separazione tra le chiese rompeva la comunione nella cena del Signore. Un avvicinamento nelle questioni dell'eucaristia e del ministero non è sufficiente per sé solo alla comunione eucaristica. A questo riguardo, secondo le affermazioni del Vaticano II sono vere le due cose: la comunione ecclesiale è presupposto della comunione eucaristica e da questa viene nuovamente realizzata e rafforzata. La comunione eucaristica è certamente anche un mezzo per favorire la comunione ecclesiale. Dal punto di vista ecclesiale, però, essa non può rimanere senza conseguenze, essa non può simulare l'unità tra le chiese o perfino farla apparire non più necessaria. Per questo tale concezione si oppone al rimprovero di essere antiecumenica. Lo sono piuttosto coloro che praticano l'intercomunione senza tirare le conseguenze per l'unificazione delle chiese. Una prassi affrettata simula un'unità che oggettivamente non c'è, l'intercomunione si sostituisce allora alla communio. Solamente la comunione ecclesiale, e non l'intercomunione può essere il fine dell'ecumenismo. La comunione nella cena del Signore trova il suo posto nell'unica chiesa. Si tratta della comunione globale delle chiese, non di atti puntuali di intercomunione all'interno di una divisione ecclesiale che rimane invariata”.

     Relativamente ai matrimoni misti si pongono, però, interrogativi ulteriori che mutano la prospettiva della communio: “Nei matrimoni misti confessioni differenti sono coinvolte nella comunione di una azione sacramentale. Secondo la comprensione cattolica, ogni matrimonio valido tra cristiani è un atto sacramentale; un matrimonio non sacramentale sarebbe invalido. Ciò vale indipendentemente dalla confessione di fede della coppia; anche un matrimonio misto è sacramento, se esso è un matrimonio valido. Anche cristiani di confessione diversa possono contrarre solamente un valido matrimonio sacramentale. Poiché il matrimonio è un sacramento, in esso si realizza la chiesa; infatti, in ogni azione sacramentale si realizza la chiesa. Nel Concilio Vaticano II matrimonio e famiglia sono visti come «chiesa domestica», come la più piccola cellula della chiesa. Questa comprensione del matrimonio come chiesa domestica dipende completamente dall'affermazione che il matrimonio è un sacramento, indipendentemente dall'appartenenza confessionale dei coniugi. Anche i matrimoni misti sono sacramento; in essi si realizza la chiesa, non la divisione ecclesiale. Se, però, la comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengono inscindibilmente, il matrimonio misto richiede la comunione nella cena del Signore, poiché esso dà origine ad una chiesa e l'eucaristia è irrinunciabile e costitutiva per la chiesa. La persistente diversità nella confessione ecclesiale, che pure permane, è come avvolta dalla sacramentalità del matrimonio tra battezzati, che vivono la chiesa domestica. Questa richiede di essere visibile anche nel segno della cena del Signore, poiché senza eucaristia non vi è chiesa. In un matrimonio misto vissuto cristianamente ogni coniuge entra in comunione spirituale con la chiesa dell'altro; questa comunione rende ingiustificata l'esclusione dalla cena del Signore”.



[1] Cf. Dizionario del movimento ecumenico, EDB, Bologna, 1994, voce Intercomunione, pp. 626-628.

[2] Luigi Sartori, A quando la mutua ospitalità eucaristica? in Rivista di Pastorale liturgica, n.219 (2000), pp. 49-56

[3] Peter Neumer, Teologia Ecumenica, BTC 110, Queriniana 2000, pp. 218-223


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