Ragù alla napoletana Il "ragù" nella cucina napoletana è un vero e proprio rito. E' una salsa profumata che ogni famiglia napoletana VERACE prepara la domenica e nelle feste speciali. L'etimologia della parola è il francese "ragout" che proviene da "ragouter" (rinforzare il gusto) che a sua volta proviene dal latino "gustus". L'origine di questa salsa non può essere tanto antica perché il Cavalcanti ne dà alcune ricette senza darvi molta importanza, quindi dev'essere stata creata nella metà del 700 trasformando qualche Ragù'all'italiana. E' una salsa che serve a condire tagliatelle, gnocchi, o pasta corta di grosse dimensione (ziti) ingredienti 1,5 kg manzo in un solo pezzo(1 taglio) 1/2 dl olio d'oliva g 75 strutto g 75 lardo g.100 pancetta g 100 prosciutto crudo 2 spicchi d'aglio 450 g cipolle 1/4 l vino rosso secco 250 g concentrato di pomodoro 1/4 l passato di pomodoro prezzemolo. Preparare la "braciola di carne" : Aprire la carne in una grande fetta e condirla con il prosciutto a listarelle, la pancetta sottile, pepe sale e prezzemolo. Arrotolarla e legarla strettamente. Insieme all'aglio battere sul tagliere il lardo, e tagliare a parte finemente le cipolle. In un tegame di coccio, possibilmente ovale,versare le cipolle, l'olio e la sugna e far cuocere fino a che le cipolle non si appassiscono, quando cominciano ad imbiondire aggiungere il battuto di lardo, alzare la fiamma e aggiungere la carne. Farla rosolare su tutti i lati. Abbassare la fiamma e versare il vino un pò alla volta, farlo sfumare. Versare il concentrato di pomodoro e farlo soffriggere mescolando continuamente fino a quando non raggiunge la colorazione rosso scuro. Aggiungere la passata di pomodoro, ed eventualmente un pò d'acqua, e solo a questo punto, il sale. Far cuocere molto lentamente la salsa per 6-7 ore, fino a che diventi scura, densa e lucida. Dice Marotta "Il bollore deve esserci e non. In superficie il lento susseguirsi di bollicine svogliate avverte che il fuoco è acceso, mentre il ragù sta pensando e cuocendo". Per tradizione, il Ragù si prepara il giorno prima,in modo che tutti i sapori si amalgamino. "Il ragù - disse Marotta- va celebrato --------------------------- Il ragù di Eduardo La salsa che deve "pippiare" per ore e ore. Non c’entra niente con il più celebre ragù bolognese. Quello napoletano è figlio del pomodoro San Marzano e del tempo: 5 o 6 ore almeno di cottura lentissima. Lo chiamano la salsa del portiere, perché un tempo a Napoli, quando tutti i palazzi ne avevano uno, soltanto lui aveva a disposizione intere giornate per tenere sott’occhio portone e pentola sul fuoco. La ricetta arriva dal popolo e cambia, di famiglia in famiglia. Ma c’è un aspetto che accomuna tutte quante: il ragù si prepara soltanto per le occasioni speciali e non si cucina, si celebra. Altrimenti è semplicemente carne con il pomodoro. La ricetta originaria era eterna: il rraù cuoceva anche due giorni, fino ad annerirsi. Oggi i tempi si sono un po’ accorciati, ma rimane la regola fondamentale: la salsa deve pippiare, ovvero sobbollire a fuoco dolcissimo, sbuffando e scoppiettando lenta come le volute di fumo della pipa. Prima di tutto ci vuole un tiano di terracotta. Bisogna preparare il soffritto e poi aggiungere la carne. Tradizionalmente era quella di seconda scelta: per il maiale le traccialelle (costine), il piccione (muscolo), la salsiccia fresca e le braciole arrotolate (carne farcita di prezzemolo, Parmigiano, pecorino, aglio, pepe e, in alcune zone, anche uvetta e pinoli), e poi la carne vaccina. La mitica Marì, cuoca personale di Eduardo De Filippo, usava soltanto l’annecchia (l’animale non più vitello, ma non ancora manzo). Poi si aggiunge la cipolla, si bagna con il vino rosso e si unisce il San Marzano. La carne si mangia a parte, come secondo; il ragù, profumato dal tocco finale di basilico, condisce le paste classiche napoletane: ziti spezzati, paccheri, fusilli. -------------------------------- ‘O rraù ‘O rraù ca me piace a me m’ ‘o ffaceva sulo mammà. A che m’aggio spusato a te, ne parlammo pe’ ne parlà. Io nu songo difficultoso; ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso. Si, va buono: cumme vuò tu. Mo ce avéssem’ appiccecà? Tu che dice? Chest’ è rraù? E io m’ ‘o mmagno pe m’ ‘o magnà… M’ ‘a faje dicere na parola?… Chesta è carne c’ ‘a pummarola Eduardo De Filippo