A se stesso (pensieri)

 

LIVELLO SUPERIORE

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LIBRO I

 

 

 

1 Da mio nonno Vero: il carattere buono e non irascibile.

 

2 Dalla fama e dal ricordo che si conservano di mio padre: il comportamento riservato e virile.

 

3 Da mia madre: la religiosità, la generosità e la ripugnanza non solo a compiere il male, ma anche all'idea di compierlo; ancora: il tenore di vita semplice e distante dalla condotta dei ricchi.

 

4 Dal mio bisnonno: non aver frequentato le scuole pubbliche, aver avuto buoni maestri tra le mura di casa, e aver compreso che per questo genere di cose non si deve risparmiare.

 

5 Dal mio precettore: non esser stato sostenitore dei Verdi né degli Azzurri né dei gladiatori armati di parma o di quelli armati di scutum; la resistenza alle fatiche e la sobrietà nelle esigenze, contare sulle proprie forze e non immischiarsi; non prestare ascolto alla calunnia.

 

6 Da Diogneto: l'indifferenza per ciò che è vacuo; non prestar fede alle fole di ciarlatani e imbroglioni su incantesimi, cacciate di demoni e simili; non perdersi a colpire le quaglie sulla testa o dietro ad inezie del genere; tollerare la franchezza di linguaggio; aver acquisito familiarità con la filosofia; aver ascoltato prima Bacchio, poi Tandaside e Marciano; aver scritto dialoghi quand'ero ragazzo; aver desiderato un lettuccio con una pelle e tutte le altre cose di questo genere connesse con l'educazione greca.

 

7 Da Rustico: aver capito la necessità di correggere e curare il carattere; non aver deviato verso ambizioni da sofista, non dedicarsi a scrivere di questioni teoriche o a recitare discorsetti ammonitorî ovvero a impressionare la gente esibendo il modello dell'asceta o del benefattore; essermi allontanato dalla retorica, dalla poesia e dal brillante conversare; non girare per casa in toga e non fare cose analoghe; scrivere le lettere in modo semplice, come quella che egli stesso scrisse a mia madre da Sinuessa; la disponibilità a riavvicinarsi e riconciliarsi con chi si è irritato o ha mancato verso di noi, non appena decide di tornare sui suoi passi; leggere con estrema attenzione e non accontentarsi di afferrare il senso generale, e non trovarsi sùbito d'accordo con chi chiacchiera; l'incontro con i commentarî di Epitteto, che mi fornì dalla sua biblioteca.

 

8 Da Apollonio: l'atteggiamento libero e senza incertezze nel non concedere nulla alla sorte e nel non guardare, neppure per poco, a nient'altro che alla ragione; restare sempre uguali, nei dolori acuti, nella perdita di un figlio, nelle lunghe malattie; aver visto con chiarezza, in un modello vivo, che la stessa persona può essere molto energica e pacata; non irritarsi mentre si dà una spiegazione; aver visto un uomo che evidentemente considerava come l'ultima delle sue qualità l'espenenza e l'abilità nell'insegnare i principî teorici; aver imparato come si devono ricevere dagli amici i cosiddetti favori: senza sentirsi inferiori per averli ricevuti e senza respingerli, peccando di tatto.

 

9 Da Sesto: la benevolenza; il modello di una famiglia patriarcale; il concetto di vita secondo natura; la dignità autentica; la capacità di cogliere in cosa prendersi cura degli amici; la pazienza verso chi, privo di istruzione, crede anche a ciò che non ha esaminato in termini scientifici; la capacità di trovarsi bene con tutti: cosicché il suo conversare era più accattivante di ogni adulazione, eppure, in quel preciso momento, agli occhi dei suoi stessi interlocutori, egli restava degno del più alto rispetto; l'intelligenza e il metodo nell'individuare e disporre i principî indispensabili per la vita; non aver mai dato segno esterno di ira o di altra passione, essendo invece, nello stesso tempo, assolutamente impassibile e affettuosissimo; la disposizione a elogiare, e senza troppo rumore; un'ampia cultura, senza spazio per l'esibizione.

 

10 Dal grammatico Alessandro: non censurare e non redarguire in maniera offensiva chi parlando incappa in un barbarismo o in un solecismo, ma, con il giusto tatto, limitarsi a pronunciare l'espressione corretta, come se si stesse rispondendo o manifestando la propria approvazione o analizzando la sostanza della questione, non il termine usato, oppure attraverso un'altra forma altrettanto garbata di rilievo.

 

11 Da Frontone: aver valutato il grado di invidia, tortuosità e ipocrisia del potere tirannico, e come in generale costoro che da noi si chiamano patrizi siano, in certo modo, più insensibili all'affetto.

 

12 Da Alessandro il Platonico: parlando o scrivendo una lettera a qualcuno, non dire spesso e senza una ragione stringente «non ho tempo», e non declinare continuamente, in questo modo, i nostri doveri nelle relazioni con chi ci vive accanto, col pretesto degli impegni che ci assediano.

 

13 Da Catulo: non trascurare un amico che ci accusa di qualcosa, anche se capita che ci accusi senza ragione, ma cercare di riportarlo al suo rapporto consueto con noi; parlar bene, di cuore, dei propri maestri, come insegna quello che si racconta di Domizio e Atenodoto; l'amore autentico per i figli.

 

14 Da Severo: l'amore per la famiglia, l'amore per la verità, l'amore per la giustizia; aver conosciuto, grazie a lui, Trasea, Elvidio, Catone, Dione, Bruto, ed essermi formato l'idea di uno stato con leggi uguali per tutti, governato secondo i principî dell'uguaglianza politica e di uguale diritto di parola, e l'idea di una monarchia che al di sopra di ogni cosa rispetti la libertà dei sudditi; ancora da lui: la giusta misura e la costanza nell'onorare la filosofia; fare del bene ed elargire con generosità; l'ottimismo e la fiducia nell'affetto dagli amici; la schiettezza verso chi meritasse la sua riprovazione; il fatto che i suoi amici non dovevano ricorrere a congetture per capire cosa volesse o non volesse: al contrario, il suo intendimento era chiaro.

 

15 Da Massimo: governare se stessi e non lasciarsi confondere in nulla; il buon umore in ogni circostanza e in particolare nelle malattie; il carattere ben temperato: dolcezza e dignità; la capacità di adempiere i propri impegni senza cedere alla sofferenza; il fatto che, quando diceva qualcosa, tutti avevano fiducia che quello fosse davvero il suo pensiero, e, quando faceva qualcosa, che agisse senza cattive intenzioni; la capacità di non farsi sorprendere o sbalordire, e di non cedere, in nessuna circostanza, alla fretta o all'indugio o alla disperazione, oppure alla depressione o al sarcasmo, o, ancora, alla collera e al sospetto; la propensione a fare del bene, al perdono e alla sincerità; l'impressione che offriva: di chi non si lascia piegare piuttosto che di chi si sta raddrizzando; il fatto che nessuno avrebbe mai pensato di essere disprezzato da lui né avrebbe mai osato di ritenersi superiore a lui; il saper scherzare in modo buono.

 

16 Da mio padre: l'indole mite e la fedeltà incrollabile alle decisioni attentamente meditate; il rifiuto di ogni vanagloria per i cosiddetti onori; l'amore per il lavoro e la tenacia; la disponibilità ad ascoltare chi ha da proporre qualcosa di utile alla collettività; l'atteggiamento inflessibile nell'attribuire a ciascuno secondo il merito; l'esperienza nel vedere dove occorra tirare, dove invece allentare; l'aver posto fine agli amori con i fanciulli; il rispetto per gli altri e l'aver consentito agli amici di non banchettare sempre con lui e di non doverlo per forza seguire nei suoi viaggi: anzi, il farsi sempre ritrovare amico come prima da chi per qualche necessità era rimasto a casa; lo scrupolo e l'insistenza, durante le riunioni di consiglio, nel cercare soluzioni, e non, come si dice, «non ha concluso il suo esame, accontentandosi delle prime impressioni»; il modo di conservare gli amici, senza mai provare fastidio per loro, e neppure un folle attaccamento; l'autosufficienza in tutto e la serenità; la lungimirante preveggenza e il provvedere a ogni minima cosa senza atteggiamenti teatrali; il fatto che, sotto di lui, furono ridotte le acclamazioni e ogni forma di adulazione verso il potere; l'attenzione continua alle necessità dell'impero, la gestione oculata della spesa pubblica e la tolleranza verso le critiche abituali in simili casi; non esser superstizioso per quel che riguarda gli dèi, né demagogo per quel che riguarda gli uomini, in cerca di consenso o di favore tra la massa, ma sobrio in ogni circostanza e saldo, mai volgare o smanioso di novità; saper far uso di ciò che serve a confortare la vita, e che la sorte fornisce in abbondanza, senza boria, e, insieme, senza accampare pretesti, in modo, se c'è, da goderne senza artifici, e da non sentirne il bisogno se manca; il fatto che nessuno lo avrebbe potuto definire un sofista o un buffone o un pedante, ma un uomo maturo, completo, immune alle adulazioni, capace di provvedere agli interessi suoi e altrui; inoltre, l'onore riservato ai cultori autentici della filosofia, senza tuttavia offendere gli altri, e senza neppure, però, farsi fuorviare da loro; ancora: l'affabilità e la gentilezza, ma senza esagerazione; la cura che aveva della sua persona: nei giusti limiti, e non come chi è troppo attaccato al proprio corpo, senza indulgere al lezioso e neppure cadere nella sciatteria, cosicché grazie alla propria personale attenzione riduceva al minimo la necessità di ricorrere all'arte medica o ai farmaci, e con l'esclusione di ogni impiastro; soprattutto il suo saper cedere il passo, senza invidia, a chi possedeva una certa abilità, per esempio nell'eloquenza o nello studio delle leggi o dei costumi o di altre materie, e l'impegno con il quale aiutava ciascuno a divenire famoso nel settore in cui aveva particolare talento - e seguendo sempre nella sua azione le tradizioni avite, non cercava di mettere in luce neppure questa linea di condotta; ancora: la tendenza non a trasferirsi e spostarsi avanti e indietro, ma a restare a lungo negli stessi luoghi e nelle stesse attività; la capacità, dopo i suoi violenti attacchi di cefalea, di tornare sùbito fresco e pieno di energie al lavoro consueto; il suo non avere molti segreti, ma pochissimi, rarissimi e solo su questioni di Stato; il buon senso e la misura nell'allestimento di spettacoli, nell'edificazione di opere pubbliche, nelle elargizioni al popolo e simili: da uomo che tiene d'occhio quello che si deve fare, non la gloria che può seguire alle sue azioni.

Non prendeva bagni in ore inconsuete, non aveva la fissazione di edificare, non pensava sempre ai cibi, ai ricami e ai colori delle vesti, alla bellezza degli schiavi. La veste che veniva da Lorio, dall'abitazione di campagna di laggiù, e la maggior parte di quel che accadde a Lanuvio; come si comportò con l'esattore che lo implorava a Tuscolo, e ogni analoga occasione. Non ebbe alcun atteggiamento rude, inesorabile, violento, o tale che qualcuno potesse dire: «fino al sudore»; ma ogni cosa veniva da lui valutata analiticamente, come in un momento di riposo, senza turbamenti, con ordine, con fermezza, nell'armonia dei fattori interni. Gli sarebbe adatto quanto si tramanda di Socrate, e cioè che sapeva sia godere sia rinunciare a quelle cose di fronte alle quali i più si mostrano deboli al momento di astenersene e smodati al momento di gustarne. L'esser forte e resistere con tenacia e, in entrambi i casi, mantenere la sobrietà sono caratteristiche di un uomo che possiede un animo diritto e invincibile, come ad esempio dimostrò nella malattia di Massimo.

 

17 Dagli dèi: l'aver avuto buoni nonni, buoni genitori, una buona sorella, buoni maestri, buoni familiari, parenti, amici, quasi tutti; il fatto che non sono arrivato a commettere una colpa verso nessuno di essi, pur avendo una disposizione tale per cui, se ve ne fosse stata l'occasione, me ne sarei macchiato - ed è un beneficio degli dèi che non si sia verificato nessun concorso di avvenimenti che potesse rivelarmi per quello che sono; non esser cresciuto troppo a lungo presso la concubina di mio nonno; aver conservato intatto il mio vigore e non aver avuto rapporti sessuali prima del tempo, anzi, aver atteso ancora dopo che era giunto il momento; esser stato sottoposto a un sovrano e a un padre che avrebbe eliminato ogni mia alterigia e mi avrebbe condotto a pensare che a corte si può vivere senza bisogno di guardie del corpo o di vesti pregiate, di candelabri o statue di questo genere e di un consimile sfarzo, e che anzi ci si può limitare a un tenore di vita assai vicino a quello di un privato, senza perciò risultare troppo modesti o trasandati di fronte alle incombenze che il sovrano deve affrontare nel pubblico interesse; aver avuto un fratello quale il mio, capace, con il suo carattere, di spronarmi ad aver cura di me stesso, e, insieme di gratificarmi con il suo rispetto e il suo affetto; non aver avuto figli deficienti o deformi; non aver fatto troppi progressi nella retorica, nella poesia e nelle altre discipline, in cui forse sarei rimasto irretito, se mi fossi accorto di procedere con facilità; aver prevenuto i miei precettori attribuendo loro la posizione alla quale mi parevano ambire, e non aver rinviato la cosa in attesa, considerata la loro giovane età, di farlo in séguito; aver conosciuto Apollonio, Rustico, Massimo; essermi spesso e con chiarezza rappresentato quale sia la vita secondo natura: cosicché, per quanto sta agli dèi e alle comunicazioni, agli aiuti, alle ispirazioni che da essi provengono, nulla ormai mi impedisce di vivere secondo natura - che a questo obiettivo manchi ancora qualcosa, semmai, è colpa mia, perché non osservo i suggerimenti e, diciamo quasi, gli insegnamenti che vengono dagli dèi; il fatto che il mio corpo abbia così a lungo resistito in una simile vita; non aver toccato Benedetta né Teodoto, e, anche più tardi, caduto in passioni amorose, esserne guarito; essermi tante volte adirato con Rustico, ma senza mai far nulla di cui poi pentirmi; il fatto che mia madre, pur destinata a morir giovane, abbia egualmente vissuto con me i suoi ultimi anni; il fatto che ogniqualvolta ho voluto soccorrere una persona povera o che aveva altre necessità, non mi sono mai sentito rispondere: «Non ho abbastanza denaro per farlo»; e non essermi trovato in un analogo stato di bisogno, ridotto a dover ottenere da altri; il fatto che mia moglie fosse così, tanto docile, tanto affettuosa e semplice; aver avuto per i miei figli tanti precettori adatti; il soccorso ricevuto attraverso i sogni, in particolare contro gli sbocchi di sangue e le vertigini; e [...] a Gaeta [...] ... e, quando desiderai accostarmi alla filosofia, non essere incappato in un sofista e non esser rimasto seduto a leggere gli autori, ad analizzare i sillogismi o ad occuparmi dei fenomeni celesti. Perché tutte queste cose esigono l'aiuto degli dèi e il favore della sorte.

Scritto nel territorio dei Quadi presso il Gran: libro I.

 

LIBRO II

 

 

 

1 Al mattino comincia col dire a te stesso: incontrerò un indiscreto, un ingrato, un prepotente, un impostore, un invidioso, un individualista. Il loro comportamento deriva ogni volta dall'ignoranza di ciò che è bene e ciò che è male. Quanto a me, poiché riflettendo sulla natura del bene e del male ho concluso che si tratta rispettivamente di ciò che è bello o brutto in senso morale, e, riflettendo sulla natura di chi sbaglia, ho concluso che si tratta di un mio parente, non perché derivi dallo stesso sangue o dallo stesso seme, ma in quanto compartecipe dell'intelletto e di una particella divina, ebbene, io non posso ricevere danno da nessuno di essi, perché nessuno potrà coinvolgermi in turpitudini, e nemmeno posso adirarmi con un parente né odiarlo. Infatti siamo nati per la collaborazione, come i piedi, le mani, le palpebre, i denti superiori e inferiori. Pertanto agire l'uno contro l'altro è contro natura: e adirarsi e respingere sdegnosamente qualcuno è agire contro di lui.

 

2 Qualunque cosa sia questo che sono, è infine carne, soffio vitale e principio dirigente. Getta via i libri, non ti far più distrarre: non è consentito. E invece, come se fossi a un passo dalla morte, disprezza la carne: coagulo di sangue, ossa, ordito intessuto di nervi, vene, intrico di arterie. Poi osserva anche quale sia la natura del tuo soffio vitale: vento, e neppure sempre lo stesso, ma un alito che, a ogni istante, viene emesso e riaspirato. Per terzo viene il principio dirigente. Qui rifletti: sei vecchio; non consentire più che questo principio sia schiavo, che come una marionetta sia manovrato da un impulso individualistico, che recrimini contro il destino presente o guardi con ansia quello futuro.

 

3 L'operato degli dèi è pieno di provvidenza, l'operato della fortuna non è estraneo alla natura oppure a una connessione e a un intreccio con gli eventi governati dalla provvidenza: tutto deriva di là. E va aggiunto anche che ogni cosa è necessaria e utile alla totalità del cosmo, di cui sei parte. Ma per ogni parte della natura è bene ciò che è prodotto dalla natura universale e ciò che contribuisce alla sua conservazione: e il cosmo è conservato sia dalle trasformazioni degli elementi, sia dalle trasformazioni dei composti. Ti bastino queste considerazioni, dal momento che si tratta di principî fondamentali: respingi invece la sete di libri, per poter morire non mormorando, ma veramente sereno e grato, dal profondo del cuore, agli dèi.

 

4 Ricorda da quanto tempo rinvii queste cose e quante volte, ricevuta una scadenza dagli dèi, non la metti a frutto. Devi finalmente comprendere quale sia il cosmo di cui sei parte, quale sia l'entità al governo del cosmo della quale tu costituisci un'emanazione, e che hai un limite circoscritto di tempo, un tempo che, se non ne approfitti per conquistare la serenità, andrà perduto, e andrai perduto anche tu, e non vi sarà un'altra possibilità.

 

5 Ad ogni istante pensa con fermezza, da Romano e maschio quale sei, a compiere ciò che hai per le mani con serietà scrupolosa e non fittizia, con amore, con libertà, con giustizia, e cerca di affrancarti da ogni altro pensiero. Te ne affrancherai compiendo ogni singola azione come fosse l'ultima della tua vita, lontano da ogni superficialità e da ogni avversione passionale alle scelte della ragione e da ogni finzione, egoismo e malcontento per la tua sorte. Vedi come sono poche le condizioni che uno deve assicurarsi per poter vivere una vita che scorra agevolmente e nel rispetto degli dèi: perché gli dèi non chiederanno nulla di più a chi osserva queste condizioni.

 

6 Offendi, offendi te stessa, anima mia: ma non avrai più l'occasione di renderti onore; [...] la vita per ciascuno: ma questa vita tu l'hai quasi portata a termine senza rispettare te stessa, riponendo invece la tua felicità nelle anime altrui.

 

7 Ti distraggono gli accidenti esterni? Procùrati il tempo di apprendere ancora qualcosa di buono e smetti di vagare senza meta. Anzi, devi guardarti anche dal secondo genere di smarrimento: infatti vaneggiano anche attraverso le loro azioni gli uomini stanchi della vita e senza un obiettivo al quale indirizzare ogni impulso e, insomma, ogni rappresentazione.

 

8 Difficilmente si vede qualcuno infelice perché non considera che cosa avvenga nell'anima di un altro; mentre chi non segue i moti della propria anima fatalmente è infelice.

 

9 Bisogna sempre tenere a mente questi punti: qual è la natura del tutto e quale la mia; in quale relazione questa sta con quella e quale parte è di quale intero; che nessuno può impedirti di agire e di esprimerti sempre in conformità alla natura di cui sei parte.

 

10 Nel valutare comparativamente le varie colpe, come si usa comunemente confrontarle, Teofrasto da vero filosofo afferma che sono più gravi quelle commesse per concupiscenza di quelle commesse per ira. L'individuo adirato, infatti, sembra voltare le spalle alla ragione in uno stato di sofferenza e di latente contrazione, mentre chi sbaglia per concupiscenza, vinto dal piacere, risulta in un certo senso più intemperante e femmineo nelle proprie mancanze. Quindi è corretta e filosoficamente apprezzabile l'opinione di Teofrasto secondo cui l'errore che si accompagna al piacere è soggetto a imputazione più grave di quello che si accompagna al dolore; in sintesi: nel primo caso l'individuo è assimilabile a chi ha patito un'ingiustizia e dalla sofferenza è stato inevitabilmente spinto all'ira, mentre nel secondo la persona ha tratto da se stessa l'impulso a commettere ingiustizia, lasciandosi trascinare ad agire per concupiscenza.

 

11 Fare, dire e pensare ogni singola cosa come chi sa che da un momento all'altro può uscire dalla vita. Ma congedarsi dagli uomini non è nulla di grave, se gli dèi esistono: non vorrebbero certo travolgerti nel male; e se, d'altra parte, o non esistono oppure non si curano delle cose umane, che mi importa di vivere in un mondo privo di dèi o privo di provvidenza? Ma non è così: esistono e si occupano delle cose umane e hanno attribuito all'uomo il pieno potere di non incorrere in quelli che sono veramente mali; quanto agli altri, se qualcuno di essi fosse davvero un male, gli dèi avrebbero anche provveduto a che tutti avessero la facoltà di evitarlo. Ma ciò che non rende peggiore l'uomo come potrebbe rendere peggiore la vita dell'uomo? La natura dell'universo non avrebbe mai trascurato queste cose per ignoranza e neppure perché, pur conoscendole, non potesse prevenirle o correggerle, né avrebbe compiuto, per impotenza o inettitudine, un simile errore, e cioè che bene e male toccassero in egual misura, indistintamente, agli uomini buoni e ai cattivi. La morte, appunto, e la vita, la fama e l'oscurità, il dolore e il piacere, la ricchezza e la povertà, tutte queste cose accadono in egual misura agli uomini buoni e ai cattivi, in quanto non sono moralmente belle né brutte. Non sono, quindi, né beni né mali.

 

12 Come tutto svanisce rapidamente: nel cosmo i corpi stessi, nell'eternità il loro ricordo; qual è la natura di tutte le cose sensibili e soprattutto di quelle che adescano con il piacere o spaventano per il dolore o hanno trovato risonanza nella vanità dell'uomo; come sono vili, spregevoli, sordide, corruttibili, morte... - tocca alla facoltà razionale soffermarsi su questi punti; che cosa sono costoro, la cui opinione e la cui voce dispensano fama e infamia; che cos'è la morte, e il fatto che, se uno la osserva in sé e per sé e attraverso un'analisi del concetto dissolve ciò che vi crea l'immaginazione, non la considererà più null'altro che un'opera della natura - e se uno teme un'opera della natura, è un bambino, e d'altronde questa non è solo un'opera della natura, ma anche un'opera utile alla natura stessa; come l'uomo si collega a dio, per quale sua parte e in quale disposizione deve essere questa parte dell'uomo perché giunga tale momento.

 

13 Nulla di più sventurato di chi percorre tutto in cerchio e, dice il poeta, «indaga le profondità della terra» e cerca di captare ciò che sta nell'anima del prossimo, senza accorgersi che basta dedicarsi esclusivamente al demone che ha dentro di sé e tributargli un culto sincero. E il culto che gli spetta consiste nel serbano puro dalla passione, dalla leggerezza e dallo scontento per ciò che viene dagli dèi e dagli uomini. Le cose che vengono dagli dèi, infatti, sono venerabili per la loro virtù, mentre quelle che vengono dagli uomini sono care per il nostro legame di parentela, e qualche volta sono anche, in certo modo, degne di pietà perché nascono dall'ignoranza del bene e del male - cecità, questa, non meno grave di quella che impedisce di distinguere il bianco dal nero.

 

14 Anche se tu dovessi vivere tremila anni e dieci volte altrettanto, in ogni caso ricorda che nessuno perde altra vita se non questa che sta vivendo, né vive altra vita se non questa che va perdendo. Pertanto la durata più lunga e la più breve coincidono. Infatti il presente è uguale per tutti e quindi ciò che si consuma è uguale e la perdita risulta, così, insignificante. Perché nessuno può perdere il passato né il futuro: come si può essere privati di quello che non si possiede? Ricordare sempre, quindi, questi due punti: il primo, che tutto, dall'eternità, è della medesima specie e ciclicamente ritorna, e non fa alcuna differenza se si vedranno le stesse cose nello spazio di cento o di duecento anni o nell'infinità del tempo; il secondo, che sia chi vive moltissimi anni sia chi dopo brevissimo tempo è già morto subiscono una perdita uguale. È solo il presente, infatti, ciò di cui possono essere privati, poiché è anche l'unica cosa che possiedono, e uno non perde quello che non ha.

 

15 Tutto è opinione. Sono evidenti, infatti, le parole rivolte a Monimo il Cinico; ed è evidente anche l'utilità di quelle parole, se uno ne accetta il succo nei limiti della loro veridicità.

 

16 L'anima dell'uomo offende se stessa soprattutto quando diviene, per quanto da essa dipende, un ascesso e come un'escrescenza del cosmo. Perché sentirsi in contrasto con qualcuno degli eventi è una defezione dalla natura, che include le singole nature di ciascuno degli altri esseri. In secondo luogo, l'anima offende se stessa quando respinge una persona o addirittura la contrasta con l'intenzione di danneggiarla, come fa l'anima di chi è in preda all'ira. In terzo luogo: quando si lascia vincere dal piacere o dal dolore. In quarto luogo: quando recita e fa o dice qualcosa fingendo o nascondendo la verità. In quinto luogo: quando non indirizza una sua azione o un suo impulso ad alcun obiettivo, ma fa cose qualsiasi, a caso e senza badarvi: mentre anche il più piccolo gesto deve avvenire in relazione al suo fine; e il fine degli esseri razionali è di seguire la ragione e la legge della città e dello Stato più venerabili.

 

17 Nella vita umana il tempo è un punto, la sostanza è fluida, la sensazione oscura, il composto dell'intero corpo è marcescibile, l'anima è un inquieto vagare, la sorte indecifrabile, la fama senza giudizio. Riassumendo: ogni fatto del corpo è un fiume, ogni fatto dell'anima sogno e inanità, la vita è guerra e soggiorno in terra straniera, la fama postuma è oblio. Quale può essere, allora, la nostra scorta? Una sola ed unica cosa: la filosofia. La sua essenza sta nel conservare il demone che è in noi inviolato e integro, superiore ai piaceri e ai dolori, in grado di non compiere nulla a caso né subdolamente e ipocritamente, di non aver bisogno che altri faccia o non faccia alcunché; ancora: disposto ad accettare gli avvenimenti e la sorte che gli tocca in quanto provengono di là (ovunque si trovi poi questo luogo) da dove anch'egli è giunto; soprattutto, pronto ad attendere la morte con mente serena, giudicandola null'altro che il dissolversi degli elementi di cui ciascun essere vivente è composto. Ora, se per gli elementi stessi non c'è nulla di temibile nel continuo trasformarsi di ciascuno in un altro, perché si dovrebbe temere la trasformazione e il dissolvimento del composto di tutti questi elementi? È conforme a natura, e nulla di quanto è conforme a natura è male.

 

LIBRO III

Scritto a Carnunto

 

 

 

1 Non bisogna soltanto considerare il fatto che ogni giorno la vita si consuma e ne resta una parte sempre più piccola, ma anche il fatto che, se uno dovesse vivere più a lungo, rimarrebbe comunque un'incertezza: la sua facoltà mentale sarebbe ancora egualmente capace di comprendere le azioni e la teoria che tende alla concreta conoscenza delle cose divine ed umane? Se, infatti, comincerà a vaneggiare, non perderà - è vero - la facoltà di respirare, nutrirsi, ricevere impressioni, provare impulsi e così via: ma la facoltà di disporre di sé, la scrupolosa attenzione a tutti i punti del proprio dovere, l'analisi articolata dei fenomeni che si presentano, la valutazione stessa della necessità di porre ormai fine alla propria vita e quant'altro, analogamente, richiede un raziocinio ben esercitato, tutto ciò si spegne prima del resto. Bisogna quindi affrettarsi, non solo perché la morte si fa ad ogni istante più vicina, ma anche perché la capacità di intendere e di seguire la realtà si esaurisce prima della fine.

 

2 Occorre far tesoro anche di osservazioni come questa: anche gli elementi accessori dei processi naturali possiedono qualcosa di gradevole e attraente. Per esempio, mentre il pane si cuoce alcune sue parti si screpolano e queste venature che vengono così a prodursi, e che in un certo senso contrastano con il risultato che si prefigge la panificazione, hanno una loro eleganza e un modo particolare di stimolare l'appetito. Ancora: i fichi pienamente maturi si presentano aperti. E nelle olive che dopo la maturazione sono ancora sulla pianta è proprio quell'essere vicine a marcire che aggiunge al frutto una speciale bellezza. E le spighe che si incurvano verso terra e la fronte grinzosa del leone e la bava che cola dalle fauci dei cinghiali e molte altre cose: a osservarle una per una sono lontane da un aspetto gradevole, e tuttavia, per il fatto di essere conseguenze di fatti naturali, contribuiscono ad abbellire e affascinano, al punto che se uno ha una sensibilità e una concezione più profonda di ciò che si produce nell'universo, non ci sarà quasi nulla, anche tra quanto avviene in subordine ad altri eventi, che non gli risulterà avere una sua piacevolezza. Costui, allora, guarderà anche le fauci spalancate delle belve in carne ed ossa con non meno piacere di quando guarda l'imitazione che ne presentano pittori e scultori; e con i suoi occhi casti saprà scorgere in una vecchia e in un vecchio una loro forma di florida maturità, e la grazia che seduce nei fanciulli, e gli si presenterà l'occasione di compiere molte analoghe osservazioni, non persuasive per chiunque, ma solo per chi abbia raggiunto un'autentica familiarità con la natura e le sue opere.

 

3 Ippocrate, dopo aver guarito molte malattie, si ammalò a sua volta e morì. I Caldei predissero la morte di molti, poi il destino assegnato raggiunse anche loro. Alessandro e Pompeo e Caio Cesare, dopo aver tante volte raso al suolo intere città e massacrato in campo tante migliaia di fanti e di cavalieri, un giorno dovettero anch'essi uscire dalla vita. Eraclito, che nelle sue indagini sulla natura si era tanto occupato della conflagrazione universale, morì con le viscere piene d'acqua, cosparso di sterco bovino. Democrito lo uccisero i pidocchi, Socrate pidocchi di altra specie. Ebbene? Ti sei imbarcato, hai navigato, sei approdato: sbarca. Se la tua destinazione è un'altra vita, nulla è privo di dèi, anche là; se invece la meta è l'insensibilità, cesserai di resistere a dolori e piaceri e di far da schiavo a un recipiente tanto più vile della parte che lo serve: perché questa è intelletto e demone, quello terra e sangue corrotto.

 

4 Non consumare la parte di vita che ti rimane in rappresentazioni che riguardano altri, se non quando tu agisca in relazione all'utile comune: altrimenti o ti privi di un'altra opera [...] immaginandoti cioè che cosa fa il tale e perché, che cosa dice, cosa pensa e cosa sta escogitando e simili: tutti comportamenti che fuorviano dall'attenzione al proprio principio dirigente. Occorre quindi impedire l'accesso del casuale e del gratuito al concatenarsi delle rappresentazioni, e soprattutto escluderne l'indiscrezione e la cattiveria; e ci si deve abituare esclusivamente a rappresentazioni tali che, se all'improvviso uno ti domandasse: «A cosa stai pensando ora?», potresti sùbito rispondere in tutta franchezza: «A questo e a quest'altro»; sicché dalle tue parole sarebbe immediatamente chiaro che ogni tuo pensiero è semplice, benevolo e degno di un essere destinato a vivere in società e disinteressato a immagini che suscitino piacere o, in una parola, godimento, e indifferente a una qualche forma di rivalità o invidia e sospetto o qualsiasi altra passione per cui arrossiresti, se dovessi spiegare che la nutrivi nel tuo intimo. Un uomo simile, infatti, che non rinvia più il suo ingresso tra i migliori in assoluto, è come un sacerdote e un ministro degli dèi, in stretto rapporto anche con la divinità che dimora in lui: questo rende l'uomo incontaminato dai piaceri, invulnerabile a ogni dolore, intatto da ogni sopraffazione, insensibile a qualsiasi malvagità, atleta nella competizione più alta - la lotta per non essere abbattuti da alcuna passione -, profondamente permeato di giustizia, pronto ad abbracciare con tutta l'anima tutto ciò che gli accade e gli viene assegnato in sorte, alieno dal pensare spesso, o senza una stretta necessità connessa all'utile comune, che cosa mai un altro dica, faccia o pensi. Quest'uomo, infatti, per il proprio operato tiene soltanto le cose che gli appartengono e pensa continuamente a quelle che, tra gli eventi dell'universo, si intrecciano con lui, e rende belle le prime ed è persuaso che le seconde siano buone. Infatti il destino assegnato a ciascuno è incluso nel tutto e include nel tutto. E ricorda anche, costui, che ogni essere razionale è suo parente, e che prendersi cura di tutti gli uomini è conforme alla natura umana, e tuttavia non bisogna attenersi all'opinione di tutti, ma soltanto a quella di chi vive in conformità alla natura. Quanto poi a coloro che non vivono così, ha sempre presente quale tipo di persone siano in casa e fuori di casa, quale gente sia e con quale gente si mescoli di giorno e di notte. Non tiene in conto, quindi, neppure la lode che può venirgli da costoro, visto che non piacciono neanche a se stessi.

 

5 Non agire controvoglia né in modo individualistico o senza un accurato esame o lasciandoti trascinare; non adornare il tuo pensiero con bei discorsi; non dire troppe parole, non fare troppe cose. Ancora: il dio che è in te sia la guida di un essere virile, maturo, membro della comunità civile, di un Romano, di un governante, di un uomo che si è collocato nella disposizione di chi attende il segnale di ritirata dalla vita, pronto alla soluzione dei vincoli, senza aver bisogno di un giuramento o di qualcuno che faccia da testimone. All'interno, la serenità, e, dall'esterno, nessun bisogno di aiuto, nessuna necessità di una pace fornita da altri. Bisogna essere retti, non raddrizzati.

 

6 Se nella vita umana trovi qualcosa di superiore alla giustizia, alla verità, alla temperanza, alla fortezza, e, in una parola, al fatto che alla tua mente basti se stessa, nelle azioni che ti fa compiere secondo la retta ragione, e il destino, nella sorte che ci viene assegnata indipendentemente dalla nostra scelta; se, dico, vedi qualcosa di superiore a questo, rivolgiti a esso con tutta l'anima e godi del bene supremo che vi trovi. Se invece niente ti risulta superiore al demone stesso che dimora in te e che ha sottomesso a sé i tuoi impulsi personali, che vaglia le tue rappresentazioni, che si è sottratto (come diceva Socrate) alle passioni dei sensi, che si è sottomesso agli dèi e si cura degli uomini; se rispetto a questo trovi tutto il resto più piccolo e vile, non lasciare spazio a nient'altro: perché una volta che tu abbia preso a inclinare e a gravitare verso qualcos'altro non sarai più in grado di onorare indisturbato, al di sopra di tutto, quel bene che è davvero e solo tuo: al bene della ragione e della società, infatti, non è lecito contrapporre qualsivoglia cosa di altra natura, come gli elogi della gente o le cariche o la ricchezza o il godimento dei piaceri. Tutte cose, queste, che se anche per un po' sembrano rispondere a un intimo equilibrio, all'improvviso prendono il sopravvento e fuorviano. Tu però, dico; scegli in modo semplice e libero il meglio e attieniti a questo. «Ma il meglio è l'utile». Se intendi l'utile dell'essere razionale, osservalo sempre; se invece intendi l'utile dell'essere animale, dichiaralo e tieni fermo il tuo giudizio, senza vane esibizioni; soltanto, cerca di condurre la tua valutazione con assoluta sicurezza.

 

7 Non onorare mai come il tuo utile ciò che un giorno ti costringerà a tradire la parola data, ad abbandonare il pudore, a odiare qualcuno, a sospettare, maledire, recitare, desiderare qualcosa che debba esser nascosto da pareti e paraventi. Perché chi in prima istanza ha scelto il proprio intelletto, il proprio demone e il culto che spetta alla virtù di questo demone, non fa tragedie, non rompe in gemiti, non sentirà il bisogno di essere solo o di avere una folla intorno: e, il punto più importante, vivrà senza inseguire né fuggire. E di poter usufruire per uno spazio di tempo maggiore o minore dell'anima avviluppata nel suo corpo non gli importa minimamente: infatti, anche se deve andarsene tra un istante, è pronto a staccarsi e a partire come a compiere un'altra qualsiasi delle azioni che si possono compiere senza vergogna e con dignità, badando, per tutta la vita, solo a questo, che la sua mente non si volga a qualcosa di improprio per un essere razionale e sociale.

 

8 Nella mente di un uomo riportato alla disciplina e alla purezza non puoi trovare nulla di marcio, nulla di contaminato, nessuna piaga interna. E la sua vita, quando il fato la coglie, non è incompiuta, come invece si direbbe nel caso di un attore tragico che si congedasse prima di aver concluso e recitato l'intero dramma. E ancora: nulla di servile, nulla di specioso, nessun legame eccessivo, nessun distacco reciso, nessun rendiconto a terzi, niente in agguato.

 

9 Venera la facoltà di concepire un'opinione: dipende totalmente da questa che nel tuo principio dirigente non insorga più un'opinione incorente con la natura e con la costituzione dell'essere razionale. Ed è questa che promette un'attitudine non precipitosa e la familiarità con gli uomini e l'obbedienza agli dèi.

 

10 Getta via tutto, quindi, e tieni ferme solo queste poche cose, e ricorda anche che ciascuno vive solo questo presente, incommensurabilmente breve: il resto è già stato vissuto o è avvolto nell'incertezza. È poca cosa, quindi, ciò che vive ciascuno, ed è poca cosa il cantuccio della terra in cui vive; e poca cosa è anche la più duratura fama postuma: questa fama trasmessa da una generazione all'altra di omuncoli che in un attimo sono morti, e che non conoscono neppure se stessi, figurarsi poi chi è già morto da tanto tempo!

 

11 Ai fondamenti già esposti se ne aggiunga ancora uno: provvedere sempre a definire o raffigurare l'oggetto della rappresentazione, così da vederlo qual è nella sostanza, nudo, nella sua interezza e, distintamente, in tutte le sue parti, e pronunciare tra sé il nome che lo designa e i nomi degli elementi di cui è stato composto e in cui si dissolverà. Nulla, infatti, può elevare il nostro animo quanto il saper vagliare sistematicamente e autenticamente i singoli eventi della vita, e guardare sempre ad essi in maniera da cogliere quale utilità il dato evento abbia per quale cosmo, e di conseguenza quale valore abbia in relazione all'universo, e quale in relazione all'uomo cittadino della città suprema, di cui le altre città sono come le case; che cosa sia e di cosa sia composto e per quanto tempo, secondo la sua natura, persista questo oggetto che ora produce la mia rappresentazione, e quale virtù si debba usare nei rapporti con esso - per esempio: la mansuetudine, la fortezza, la sincerità, la lealtà, la semplicità, l'autosufficienza, eccetera. Perciò in ogni singola circostanza occorre dire: questa cosa viene da dio, quest'altra risulta dal combinarsi di accadimenti, dall'intreccio di connessioni e dalla tale coincidenza fortuita, quest'altra poi viene da un essere che condivide la mia razza, la mia stirpe e la mia comunità, e tuttavia ignora che cosa per lui è secondo natura. Ma non lo ignoro io: perciò lo tratto secondo la legge naturale della comunità, con indulgenza e giustizia; e insieme, però, miro ad attribuire il giusto valore nei campo delle cose intermedie.

 

12 Se svolgi il cómpito presente seguendo la retta ragione, con impegno, con vigore, benevolmente, e non ti curi di alcun fatto accessorio, ma di mantenere il tuo demone nella sua purezza, come se da un momento all'altro dovessi restituirlo: se ti attieni a questo principio senza attenderti o rifuggire nulla, pago invece del tuo attuale operato conforme a natura e della romana verità di ciò che dici ed esprimi, vivrai felice. E non c'è nessuno che possa impedirti di farlo.

 

13 Come i medici hanno sempre sottomano gli strumenti e i ferri per intervenire d'urgenza, così tu tieni sempre pronti i principî per conoscere l'umano e il divino, e per agire in ogni cosa, anche nella più piccola, come chi ha ben presente il reciproco legame tra l'uno e l'altro. Perché ignorando la correlazione con le cose divine non potrai compiere bene nulla di umano, e viceversa.

 

14 Non divagare più: non riuscirai a leggere i tuoi appunti, né le imprese degli antichi Greci e degli antichi Romani e gli estratti delle opere che ti eri messo da parte per la vecchiaia; affréttati alla meta, allora, lascia stare le vane speranze e soccorri te stesso, se ti importa qualcosa di te, finché è possibile.

 

15 Non sanno quanti significati ha rubare, seminare, comprare, starsene quieti, vedere le cose da farsi (operazione che non si fa con gli occhi, ma con un'altra vista).

 

16 Corpo, anima, intelletto. Del corpo: le sensazioni; dell'anima: gli impulsi; dell'intelletto: i principî. Essere impressionati da una rappresentazione è proprio anche del bestiame, essere mossi come marionette dagli impulsi è proprio anche delle belve, degli androgini, di un Falaride, di un Nerone; avere nella mente una guida a ciò che appare il nostro cómpito è proprio anche di chi non crede negli dei, di chi tradisce la patria e di chi... quali cose non fa, quando ha chiuso la porta! Ora, se il resto è comune ai soggetti menzionati, la peculiarità che rimane propria dell'uomo onesto è amare ed accettare di cuore gli eventi e l'intreccio di fatti che gli toccano; e non macchiare né agitare il demone che risiede nel suo petto con una turba di rappresentazioni, ma conservarlo sereno, disposto a seguire disciplinatamente dio, senza dire nulla di contrario al vero o fare nulla di contrario al giusto. E se anche l'intera umanità non crede che egli viva semplicemente, con discrezione e ottimismo, non si adira con nessuno e non devia dalla strada che conduce al termine della vita, dove bisogna giungere puri, tranquilli, pronti al distacco, in spontanea armonia con il proprio destino.

 

LIBRO IV

 

 

 

1 Il principio sovrano dentro di noi, quando si trovi conforme a natura, ha verso gli eventi una disposizione tale, che può sempre facilmente mutarla in relazione a ciò che è possibile e concesso. Infatti non ama alcuna materia definita, ma segue, con riserva, il suo impulso ai fini più alti, e di quello che gli si oppone fa materia per sé, come il fuoco, quando fa suo ciò che vi cade dentro - un lumicino ne sarebbe spento: il fuoco vivo, invece, in un istante si impadronisce di ciò che gli si getta sopra, lo consuma e proprio di qui trae alimento per divampare ancora più alto.

 

2 Non si compia alcuna azione a caso o in qualsiasi modo non conforme a un principio che contribuisca a realizzare l'arte del vivere.

 

3 Si cercano un luogo di ritiro, campagne, lidi marini e monti; e anche tu sei solito desiderare fortemente un simile isolamento. Ma tutto questo è proprio di chi non ha la minima istruzione filosofica, visto che è possibile, in qualunque momento lo desideri, ritirarti in te stesso; perché un uomo non può ritirarsi in un luogo più quieto o indisturbato della propria anima, soprattutto chi ha, dentro, principî tali che gli basta affondarvi lo sguardo per raggiungere sùbito il pieno benessere: e per benessere non intendo altro che il giusto ordine interiore. Quindi concediti continuamente questo ritiro e rinnova te stesso; e siano brevi ed elementari i principî che, appena incontrati, basteranno a purgarti da ogni nausea e a congedarti senza che tu provi fastidio per le cose a cui ritorni. Che cosa, infatti, ti infastidisce? La cattiveria degli uomini? Considerati i termini del problema - e cioè che gli esseri razionali esistono gli uni per gli altri; che la tolleranza è parte della giustizia; che sbagliano senza volerlo - e considerato quanti già, dopo aver nutrito inimicizia, sospetto, odio, giacciono trafitti, ridotti in cenere, smettila, infine! O forse il tuo fastidio è anche per la sorte che, nell'ordine universale, ti viene assegnata? Ritorna col pensiero all'alternativa: «O provvidenza o atomi», e a tutti gli argomenti con cui fu dimostrato che il cosmo è come una città. O forse ti sentirai toccato dalle cose del corpo? Torna ancora a pensare che la mente non si immischia con i movimenti dolci o aspri del soffio vitale, una volta che abbia isolato se stessa e preso cognizione del proprio potere; e poi pensa a tutto quello che hai ascoltato intorno al dolore e al piacere, e su cui hai espresso il tuo assenso. O sarà forse la preoccupazione di una misera fama a fuorviarti? Guarda la rapidità dell'oblio che investe tutto, l'abisso dell'eternità che si estende infinita in entrambe le direzioni, la vacuità della rinomanza, la volubilità e la sconsideratezza di chi sembra tributare elogi, e l'angustia del luogo in cui la fama è circoscritta. Perché tutta la terra è un punto: e quale minuscolo cantuccio della terra è questa dimora? E, qui, quanti e quali sono gli uomini che ti elogeranno? Ricorda, allora, che puoi ritirarti in questo tuo campicello, e soprattutto non agitarti e non darti troppa pena, ma sii libero e guarda la realtà da uomo, da essere umano, da cittadino, da essere mortale. E tra i principî che più dovranno stare a portata di mano quando ti ripiegherai su di essi, vi siano i due seguenti. Il primo: le cose non toccano l'anima, ma stanno immobili all'esterno, mentre i turbamenti vengono soltanto dall'opinione che si forma all'interno. Il secondo: tutto quanto vedi, tra un istante si trasformerà e non sarà più; e pensa continuamente alla trasformazione di quante cose hai assistito di persona. Il cosmo è mutamento, la vita è opinione.

 

4 Se l'intelligenza è comune a noi uomini, è comune anche la ragione, in virtù della quale siamo esseri razionali; se così, è comune anche la ragione che ordina ciò che deve o non deve essere fatto; se così, è comune anche la legge; se così, siamo concittadini; se così, partecipiamo di un organismo politico; se così, il cosmo è come una città. Di quale altro organismo politico comune, infatti, si potrà dire partecipe l'intera umanità? E di qui, da questa città comune, ci viene la nostra stessa intelligenza, ragione, legge; da dove, altrimenti? Infatti, come ciò che in me vi è di terreno è particella ricavata da una qualche terra, l'umido da un altro elemento, il soffio vitale da una sorgente, il calore e il fuoco da una loro specifica fonte - perché nulla viene dal nulla, come neppure finisce nell'inesistente -, così appunto anche l'intelligenza ha origine da qualcosa.

 

5 La morte è, tale quale la nascita, un mistero della natura: aggregazione degli stessi elementi agli stessi elementi; non certo, insomma, qualcosa di cui ci si debba vergognare: infatti non contrasta con la condizione di un essere razionale né contrasta con il criterio della sua costituzione.

 

6 Questo è il prodotto inevitabile di individui che abbiano una simile natura: chi non lo accetta, non accetta che il fico abbia il lattice. Insomma, ricòrdati di questo; in men che si dica sarete morti sia tu sia costui, e fra poco di voi non resterà neppure il nome.

 

7 Cancella l'opinione: è cancellato il «sono stato danneggiato». Cancella il «sono stato danneggiato»: è cancellato il danno.

 

8 Ciò che non rende un uomo peggiore di quel che è, non rende peggiore neppure la sua vita, e non la danneggia, né dall'esterno né dall'interno.

 

9 La natura dell'utile non può produrre che questo.

 

10 Tutto ciò che avviene avviene giustamente: lo verificherai, se osservi con attenzione. Non dico soltanto nel senso che avviene in giusta conseguenza, ma nel senso che avviene secondo giustizia e come per opera di qualcuno che assegna quanto spetta secondo il merito. Quindi osserva questo principio, come hai cominciato a fare, e in qualunque azione agisci con il presupposto di essere buono, nel senso in cui è propriamente inteso l'essere «buono». Mantieni questa esigenza in ogni azione.

 

11 Non formarti opinioni in analogia ai giudizi che il prepotente formula o vorrebbe che tu formulassi, ma guarda le cose in sé, quali sono in verità.

 

12 Bisogna tenere sempre pronte queste due regole: la prima, compiere soltanto ciò che la ragione di sovrano e legislatore suggerisce per il bene degli uomini; la seconda, cambiare parere se accanto c'è qualcuno in grado di correggerti o staccarti da una determinata convinzione. Questa conversione, tuttavia, deve sempre avvenire per verosimili ragioni di giustizia o utilità sociale, e ciò che fa mutare strada deve essere solo di questa natura, non qualcosa che sia apparso fonte di piacere o di fama.

 

13 Hai la ragione? Sì. Allora perché non la usi? Quando essa, infatti, svolge il proprio cómpito, che altro vuoi?

 

14 Sei venuto al mondo come parte. Scomparirai dentro ciò che ti ha generato, o meglio sarai riassunto, attraverso trasformazione, nella sua ragione seminale.

 

15 Molti granelli di incenso sullo stesso altare: uno è caduto prima, l'altro dopo, ma non fa nessuna differenza.

 

16 Entro dieci giorni sembrerai un dio a quelli stessi a cui ora sembri una belva e una scimmia, se ritorni ai principî e al culto della ragione.

 

17 Non vivere come se dovessi vivere migliaia di anni. Il fato incombe: finché vivi, finché è possibile, diventa virtuoso.

 

18 ... quanto tempo libero guadagna chi non guarda che cosa il prossimo ha detto, fatto o pensato, ma soltanto le proprie azioni, perché siano giuste e pie, cioè conformi all'uomo virtuoso. Non voltarti intorno a guardare un carattere malvagio, ma corri dritto lungo la linea, senza lasciarti deviare.

 

19 Chi spasima per la sua gloria postuma nòn pensa che anche ognuno di quelli che lo ricordano al più presto morirà, e poi sarà il turno di chi avrà preso il suo posto, finché il ricordo di lui, avvicendandosi tra vite che si accendono e spengono, si estinguerà completamente. Ma supponi pure che siano immortali coloro che ricorderanno, e immortale il ricordo: ebbene, che senso ha tutto questo per te? E non dico soltanto che non ha senso per il defunto: ma, anche per chi è vivo, che senso ha la lode? (a prescindere da una sua funzione strumentale). Adesso, infatti, tu trascura pure inopportunamente la dote naturale, dedicandoti a un'altra ragione; poi [...]

 

20 Tutto quel che per qualsivoglia ragione è bello, è bello di per se stesso e si conclude in se stesso, senza che la lode ne costituisca una parte. Ciò che è lodato, quindi, non diviene per questo peggiore né migliore. Lo dico anche a proposito delle cose comunemente definite belle, ad esempio gli oggetti materiali e i prodotti artistici. Invece, ciò che è veramente bello di che altro ha bisogno? Di nulla, esattamente come la legge, come la verità, come la benevolenza o il pudore. Quale di queste cose è bella se è lodata o perde valore se è biasimata? Uno smeraldo diventa peggiore di quel che è, se non viene lodato? E l'oro, l'avorio, la porpora, una lira, un pugnale, un fiorellino, un alberello?

 

21 Se le anime persistono, come può l'aria contenerle tutte dall'eternità? E come può la terra contenere i cadaveri di chi, da tanto tempo, vi viene sepolto? Infatti, come quaggiù la trasformazione e il dissolvimento di questi, dopo una determinata persistenza, fanno spazio ad altri morti, così le anime che trasmigrano nell'aria, dopo essersi mantenute per un dato periodo di tempo, si trasformano, si effondono e deflagrano venendo riassunte nella ragione seminale dell'universo, e in questo modo procurano spazio alle anime che continuano ad aggiungersi ad esse. Questa può essere la risposta nell'ipotesi che le anime persistano. Non bisogna, però, considerare soltanto la quantità di cadaveri che si seppelliscono in questo modo, ma anche quella degli animali che ogni giorno sono mangiati da noi e da tutti gli altri animali. Quanto è grande, infatti, il numero degli animali che vengono consumati e così, in certo modo, vengono seppelliti nel corpo di chi se ne nutre? Eppure c'è abbastanza spazio per accoglierli, grazie all'assimilazione in sangue, alla trasformazione in elemento aereo o igneo.

In questo caso, qual è la via per raggiungere la verità? La distinzione tra materia e causa.

 

22 Non vagare a vuoto, ma in ogni impulso rendi ciò che è giusto e in ogni rappresentazione conserva la facoltà di comprendere.

 

23 È in armonia con me tutto ciò che è in armonia con te, o cosmo; nulla di ciò che per te cade al momento opportuno è precoce o tardivo per me. È un frutto per me tutto ciò che recano le tue stagioni, o natura: tutto da te, tutto in te, tutto a te. Quel tale dice: «O cara città di Cecrope»; e tu non dirai: «O cara città di Zeus»?

 

24 «Fai poco» dice «se vuoi esser sempre sereno». Non sarà meglio fare il necessario e quanto prescrive la ragione di un essere sociale per natura, e nel modo in cui lo prescrive? Questo, infatti, porta non solo la serenità che viene dall'agire secondo virtù, ma anche quella che deriva dall'agire poco. Perché se uno elimina la maggior parte delle nostre parole e azioni, in quanto non necessarie, avrà più tempo libero e una quiete più sicura. Per cui, in ogni singola circostanza, bisogna ricordare a se stessi: «Ma questo non sarà qualcosa di non necessario?». E non si devono eliminare soltanto le azioni non necessarie, ma anche le rappresentazioni non necessarie: perché così non ne seguiranno neppure azioni superflue.

 

25 Verifica come ti riesce la vita dell'uomo virtuoso, pago di ciò che, entro le cose dell'universo, gli viene assegnato in sorte, contento del proprio giusto agire e della propria disposizione benevola.

 

26 Hai visto quelle cose? Guarda anche queste! Non turbare te stesso: semplìficati. Qualcuno sbaglia? Sbaglia a suo danno. Ti è successo qualcosa? Bene: tutto quel che ti succede, fin dall'inizio, era stato riservato, entro le cose dell'universo, per essere assegnato a te e intrecciato con la tua vita. Insomma: la vita è breve; bisogna sfruttare il presente con oculatezza e nel rispetto della giustizia. Sii sobrio, ma con elasticità.

 

27 O un cosmo ordinato o un miscuglio raccolto insieme: ma, ancora, un cosmo. Oppure è possibile che in te esista un ordine e nell'universo il disordine, quando per giunta tutte le cose risultano così distinte, diffuse e solidali?

 

28 ...un carattere malvagio, un carattere femmineo, un carattere duro, feroce, bestiale, puerile, inerte, falso, da buffone, da mercante, da tiranno.

 

29 Se è straniero nel cosmo chi non conosce ciò che sta nel cosmo, non meno straniero è chi non conosce ciò che vi accade. Fuoruscito è chi si allontana dalla ragione su cui si regge la società; cieco chi chiude l'occhio dell'intelletto; mendico chi ha bisogno di un altro e non ricava da sé tutto ciò che serve per la vita; ascesso del cosmo chi recede e si stacca, scontento degli eventi, dalla ragione della natura comune: è quella, infatti, che li produce, la stessa che ha prodotto anche te; scheggia della città chi schianta la propria anima da quella degli esseri razionali, che è una sola.

 

30 Uno pratica la filosofia senza tunica, un altro senza libro. Quest'altro seminudo dice: «Non ho pane e resto fedele alla dottrina». Quanto a me, non ho il nutrimento che viene dagli studi, e le resto fedele.

 

31 Ama l'arte che hai imparato, acquiètati in essa: e trascorri il resto della vita come chi ha rimesso agli dèi, con tutta l'anima, ogni suo bene, senza farsi tiranno o schiavo di nessuno.

 

32 Pensa, per esempio, ai tempi di Vespasiano, e vedrai le stesse cose: gente che si sposa, tira su i figli, si ammala, muore, combatte, festeggia, commercia, coltiva, adula, si chiude nel suo orgoglio, sospetta, trama, prega che qualcuno muoia, brontola per la situazione in cui si trova, fa l'amore, accumula tesori, ambisce al consolato, al trono. Ebbene: quella gente non esiste più, in nessun luogo. Passa poi ai tempi di Traiano: vedrai ancora le medesime cose, senza eccezione: anche quella generazione è morta. Allo stesso modo osserva anche gli altri titoli sotto cui si registra la storia di epoche e interi popoli, e guarda quanti, dopo essersi tanto affannati, in breve tempo caddero e furono dissolti negli elementi. Ma soprattutto bisogna richiamare alla mente quelli che tu stesso hai visto stremarsi in vane fatiche, trascurando di compiere quanto era conforme alla propria costituzione, di tenerlo ben stretto e di accontentarsene. Qui, però, è necessario ricordare che anche l'attenzione dedicata a ogni singola azione ha un suo valore e una sua appropriata misura: non ti sentirai avvilito, infatti, solo se non ti applicherai per più tempo del dovuto a cose di minor conto.

 

33 Le parole che un tempo erano usuali ora sono lemmi in disuso; così pure i nomi di personaggi un tempo celebrati ora sono, in un certo senso, voci obsolete: Camillo, Cesone, Voleso, Dentato - e tra poco lo diverranno anche Scipione e Catone, poi anche Augusto, e poi anche Adriano e Antonino. Perché tutto presto svanisce e diviene mito: e presto lo seppellisce un totale oblio. E questo dico a proposito di chi visse in un prodigioso alone di gloria: perché gli altri, come esalano l'ultimo respiro, restano ignoti, non lasciano traccia. Del resto cos'è, in sostanza, un ricordo imperituro? Il vuoto totale. Ma cos'è, allora, ciò in cui ci si deve impegnare? Unicamente questo: un pensiero ispirato a giustizia, azioni tese al bene comune, una parola che non inganni mai e una disposizione che di cuore abbracci tutto ciò che avviene, in quanto necessario, già noto, derivante da un tale principio e da una tale sorgente.

 

34 Conségnati spontaneamente a Cloto, lasciando che ti intrecci con qualsiasi fatto voglia.

 

35 Tutto effimero, sia il soggetto che ricorda, sia il soggetto ricordato.

 

36 Osserva continuamente che tutto nasce per trasformazione e abituati a pensare che la natura del tutto nulla ama come trasformare l'esistente e produrre cose nuove che gli somiglino. Tutto ciò che è, infatti, in un certo modo è seme di quello che ne sarà. Tu invece ti rappresenti come seme soltanto quello che penetra nella terra o nell'utero: ma questo significa proprio non avere istruzione filosofica!

 

37 Presto sarai morto, e ancora non sei semplice, imperturbabile, certo di non poter subire danno dall'esterno, benevolo verso tutti; e ancora non riponi la saggezza unicamente nell'agire secondo giustizia.

 

38 Osserva il loro principio dirigente, e quali cose rifuggono le persone sagge, quali invece inseguono.

 

39 Il tuo male non può stare nel principio dirigente di un altro, e neppure in qualche mutamento e alterazione di quel che ti circonda. Dove, allora? Nella parte di te che formula opinioni intorno ai mali. Ebbene, tale parte non formuli opinioni, e tutto andrà bene. Anche se ciò che le sta più vicino, il corpo, viene tagliato, bruciato, anche se va in suppurazione, in cancrena, la parte che formula opinioni su tutto questo resti quieta, cioè non giudichi male né bene nulla che possa indifferentemente accadere a un uomo malvagio e a uno buono. Perché quello che accade parimenti a chi vive contro natura e a chi vive secondo natura non è né secondo né contro natura.

 

40 Pensa continuamente al cosmo come a un solo essere che racchiude una sola sostanza e una sola anima, e pensa come tutto pervenga a una sola sensazione, la sua, come quest'essere compia tutto per un solo impulso, come tutte le cose siano concausa di tutti gli eventi, e quale sia il loro fitto intrecciarsi e connettersi.

 

41 Sei un'animuccia che porta un cadavere, come diceva Epitteto.

 

42 Per ciò che si trova in corso di trasformazione non può esservi nulla di male, come neppure può esservi nulla di bene per ciò che sorge da una trasformazione.

 

43 L'eternità è come un fiume formato dagli eventi e una corrente impetuosa: ogni singola cosa, infatti, appena cade sott'occhio è già passata oltre, e ne passa un'altra, che a sua volta sarà trascinata via.

 

44 Tutto ciò che accade è abituale e noto così come la rosa in primavera e la frutta in estate: lo stesso vale, in effetti, anche per la malattia, la morte, la calunnia, le trame, e quanto rallegra o addolora gli sciocchi.

 

45 La conseguenza sussegue all'antecedente secondo un vincolo di affinità: perché non si tratta di una serie di fatti indipendenti, retta solo da una legge di necessità, ma di una stretta connessione razionale; e come la realtà è armonicamente coordinata, così gli eventi presentano non una nuda successione, ma una specie di mirabile affinità.

 

46 Ricorda sempre l'opinione di Eraclito: «morte della terra è divenire acqua e morte dell'acqua divenire aria e dell'aria divenire fuoco e viceversa». Ricorda anche «chi dimentica dove conduce la via»; e che «gli uomini sono in contrasto proprio con quello con cui sono nel rapporto più assiduo, con la ragione che governa il tutto, e a loro sembrano estranee proprio le cose in cui si imbattono quotidianamente»; e «non si deve agire e parlare come durante il sonno» (anche allora, infatti, ci sembra di agire e di parlare); e non bisogna «quali figli dei genitori...», cioè in base al puro principio del «come abbiamo appreso».

 

47 Come, se uno degli dèi ti dicesse: «Entro domani o al massimo dopodomani sarai morto», non daresti grande importanza al morire dopodomani invece che domani, a meno di essere meschino fino in fondo (quanto vale, infatti, un simile scarto di tempo?); così pure non credere che sia un grande affare morire tra molti anni invece che domani.

 

48 Pensa continuamente quanti medici sono morti, dopo aver tante volte aggrottato le sopracciglia sui loro pazienti; quanti astrologi, dopo aver predetto la morte di altri con l'aria di emettere un'importante previsione; quanti filosofi, dopo mille estenuanti dispute sulla morte o sull'immortalità; quanti eroi, dopo aver ucciso tanti uomini; quanti tiranni, dopo aver esercitato il potere di vita e di morte con terribile superbia, quasi fossero immortali; e quante intere città sono, per così dire, morte: Elice, Pompei, Ercolano e innumerevoli altre. Passa in rassegna anche tutti quelli che conosci, uno dopo l'altro: questo ha seppellito quello, poi è stato disteso sul letto di morte, quest'altro ha fatto lo stesso con quell'altro, e così via: e tutto in breve tempo. Insomma, guarda sempre la realtà umana come effimera e vile - ieri un po' di muco, domani mummia o cenere. Questo infinitesimale frammento di tempo, quindi, trascorrilo secondo natura e concludilo in serenità, come l'oliva che, ormai matura, cadesse lodando la terra che l'ha prodotta e ringraziando l'albero che l'ha generata.

 

49 Sii come il promontorio, contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile, e intorno ad esso si placa il ribollire delle acque.

«Me sventurato, mi è capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna? Insomma, chiami sfortuna per un uomo ciò che non è un insuccesso della natura umana? E ti pare un insuccesso della natura umana ciò che non va contro il volere di tale natura? E allora? Hai appreso qual è il suo volere: sarà forse quel che ti è capitato a impedirti di essere giusto, magnanimo, temperante, assennato, non precipitoso, sincero, riservato, libero, dotato di tutte le altre qualità che, quando sono insieme presenti, consentono alla natura dell'uomo di possedere ciò che le è proprio? Ricorda poi, ad ogni evento che ti induca a soffrire, di far uso del seguente principio: «questo fatto non è una sfortuna, mentre è una fortuna sopportarlo nobilmente».

 

50 Aiuto non filosofico, ma comunque produttivo per il disprezzo della morte, è richiamare alla mente coloro che si sono tenacemente aggrappati alla vita. Ebbene, che hanno avuto di più rispetto a chi ha avuto una fine prematura? Giacciono pur sempre, da qualche parte, Cediciano, Fabio, Giuliano, Lepido e gli altri come loro, che ne avevano seppelliti tanti, e poi sono stati seppelliti! Insomma, la differenza di tempo è piccola, e, per giunta, da scontare con quante sofferenze, con quale compagnia e in quale corpo! Quindi non considerarla un affare. Guarda dietro di te l'abisso dell'eternità, e, davanti a te, un altro infinito. In questa dimensione che differenza c'è tra vivere tre giorni o tre volte gli anni di Nestore?

 

51 Corri sempre per la via più breve - la via più breve è quella secondo natura - così da parlare e agire sempre nel modo più valido. Un simile proposito, infatti, libera dalle fatiche di una campagna militare, di ogni incombenza di governo, dell'eccessiva raffinatezza.

 

LIBRO V

 

 

 

1 All'alba, quando ti svegli di malavoglia, tieni sottomano questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio compito di uomo; e ancora protesto per avviarmi a fare quello per cui sono nato e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato fatto per restare a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, è più piacevole». Sei nato, allora, per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere attivo? Non vedi che le piante, i passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio cómpito, collaborando per la loro parte alla vita dell'universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che è proprio dell'uomo, non corri verso ciò che è secondo la tua natura? «Ma è necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch'io: la natura, però, ha posto una misura anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il bere; e tu, ciò non ostante, vai al di là della misura, al di là di quel che è sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di agire: allora ti tieni «nei limiti del possibile»! Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti anche la tua natura e la sua volontà. Altri, che amano il proprio lavoro, vi consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o l'avaro il denaro o il vanaglorioso la sua misera gloria? Eppure costoro, quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di veder crescere l'opera in cui sono impegnati: a te invece le azioni ispirate al bene della comunità sembrano di minor valore, meno degne di attenzione?

 

2 Come è facile respingere e cancellare ogni rappresentazione molesta o impropria, e trovarsi sùbito in una calma assoluta.

 

3 Ritieniti degno di ogni parola e azione che siano conformi a natura; e non cedere al pensiero che ne possano conseguire le critiche o le chiacchiere di alcuni, ma, se è bene che una cosa sia fatta o detta, non giudicartene indegno. Quelli, infatti, hanno un proprio principio dirigente e seguono un proprio impulso: tu non tenerne conto, ma raggiungi la meta per la via dritta, seguendo la tua natura personale e quella comune: una sola, per entrambe, è la strada.

 

4 Procedo attraverso ciò che è secondo natura, finché, caduto, riposerò, esalando l'ultimo respiro in ciò da cui ogni giorno traggo respiro, cadendo su ciò da cui mio padre raccolse lo sperma, mia madre il sangue e la mia nutrice il latte, ciò da cui ogni giorno, da tanti anni, traggo cibo e bevanda, ciò che mi sostiene mentre lo calpesto e lo sfrutto per tante cose.

 

5 Non possono ammirare il tuo acume. D'accordo, ma possono ammirare molte altre doti, per le quali non puoi dire: «La natura non mi ha dato questa qualità». Metti in campo, quindi, quelle che dipendono interamente da te: la genuinità, la serietà, la resistenza a fatiche e dolori, l'indifferenza al piacere, la piena accettazione della sorte, la sobrietà nelle esigenze, la benevolenza, la libertà, la semplicità, l'avversione per le chiacchiere, la magnanimità. Non ti accorgi quante doti - per le quali non puoi assolutamente accampare di non aver disposizione naturale o attitudine - sei già in grado di mettere in atto e, ciò non ostante, continui volontariamente a restare al di sotto dei tuoi mezzi? O è forse la scarsa disposizione naturale che ti costringe a mormorare, a esser gretto, adulare, lagnarti del tuo povero corpo, mostrarti compiacente, millantare, ondeggiare tanto nell'anima? No, per gli dèi: anzi, di tali atteggiamenti ti saresti potuto liberare da tempo, o, semmai, avresti potuto essere giudicato solo poco pronto e poco dotato d'ingegno. Ma anche in questo bisogna esercitarsi, invece di trascurare il problema e crogiolarsi nel torpore.

 

6 Ci sono persone pronte, quando hanno conseguito un merito presso qualcuno, a mettergli in conto il favore. C'è chi a questo non arriva, e tuttavia dentro di sé considera l'altro un debitore ed è ben consapevole di ciò che ha fatto. Ci sono poi altri che, in certo modo, non sono neppure consapevoli di quello che hanno fatto, ma assomigliano alla vite che produce il grappolo e, una volta che ha prodotto il proprio frutto, non cerca altro - come pure il cavallo che compiuto la sua corsa, il segugio che ha lavorato sulle peste, l'ape che ha fatto il miele. E un uomo che ha agito bene non si mette a gridarlo, ma passa a un'altra azione, come la vite passa a produrre ancora, quando è stagione, il grappolo. Ora, bisogna appartenere al novero di queste persone che agiscono così: in certo modo, senza rendersene conto. «Sì - dirà qualcuno - eppure proprio di questo occorrerebbe rendersi conto, perché è caratteristica dell'essere sociale comprendere di agire per la società, e, per Zeus, esigere che lo comprendano anche gli altri componenti della società». Quello che dici è vero, ma fraintendi ciò di cui si sta parlando ora; perciò sarai uno di quelli che ho ricordato prima: anche loro, infatti, si lasciano fuorviare da una parvenza di logica. Se però vorrai comprendere di cosa mai si stia parlando, non temere di dover per questo trascurare alcuna azione utile alla comunità.

 

7 Preghiera degli Ateniesi: «Piovi, piovi, o caro Zeus, sui campi e sulla piana degli Ateniesi». O non si deve pregare, o si deve farlo così, semplicemente e schiettamente.

 

8 Come si dice: «Asclepio ha ordinato al tale di cavalcare, o di lavarsi con l'acqua fredda o di camminare scalzo», così pure si può dire: «la natura universale ha ordinato al tale una malattia o una menomazione o una perdita o simili». Infatti nel primo caso «ha ordinato» significa all'incirca «ha disposto per lui questa cura, in quanto idonea alla sua salute»; e anche nel secondo caso ciò che accade a ciascuno è stato in certo modo disposto in quanto idoneo al suo destino. Così pure diciamo che le cose «avvengono» come gli architetti dicono che le pietre squadrate «convengono», nelle mura o nelle piramidi, perché si adattano l'una all'altra in un determinato assetto. Nell'insieme, infatti, l'armonia è una sola, e come dal complesso di tutti i corpi si realizza un simile corpo - il cosmo -, così dal complesso di tutte le cause si realizza una simile causa: il destino. E anche coloro che sono completamente sprovvisti di istruzione filosofica capiscono di cosa parlo; dicono infatti: «il destino gli ha portato questo». Quindi: questo è stato portato a lui, questo è stato disposto per lui. Allora accettiamo queste prescrizioni come quelle di Asclepio. Anche tra esse ve ne sono molte pesanti, ma noi le accettiamo volentieri nella speranza di ottenere la salute. Considera la compiuta realizzazione di ciò che pare bene alla natura comune come la tua salute. E così accetta di cuore tutto ciò che avviene, anche se ti risulta alquanto aspro, perché conduce là, alla salute del cosmo, al pieno e felice successo di Zeus. Egli, infatti, non avrebbe mai portato questo evento a qualcuno, se questo evento non avesse comportato un vantaggio per l'universo: né una qualsivoglia natura arreca qualcosa che non sia adatto a ciò che è governato da essa. Perciò devi amare quel che ti accade per due ragioni: la prima, perché è per te che doveva avvenire, per te è stato disposto e con te stava in un determinato rapporto, intessuto, indietro nel tempo, con i fili delle cause più antiche; la seconda, perché per colui che governa il tutto anche ciò che tocca singolarmente a ciascuno è fattore che contribuisce alla prosperità, alla compiutezza e, per Zeus, alla sussistenza stessa. L'intero viene mutilato, infatti, se dal complesso e dalla compagine tu amputi anche solo una delle parti e così pure delle cause; e, per quanto sta in te, quando ti senti in contrasto con il tutto tu amputi e in certo modo sottrai.

 

9 Non disgustarti, non scoraggiarti, e non avvillrti se non ti riesce stabilmente di compiere ogni singola azione secondo retti principî, ma, dopo un insuccesso, ripercorri di nuovo i tuoi passi e sii già contento, se le tue azioni sono per la maggior parte più degne di un uomo, e ama ciò a cui ritorni, e non ritornare alla filosofia come a un pedagogo, ma come i malati agli occhi ritornano alla spugnetta e all'uovo, come altri all'impiastro, al fomento. In questo modo, infatti, non ostenterai per nulla la tua obbedienza alla ragione, ma troverai quiete in essa. Ricorda, però, che la filosofia vuole unicamente ciò che vuole la tua natura, mentre tu volevi altro, non conforme a natura. Del resto, cosa c'è di più attraente di ciò che è conforme a natura? Il piacere non inganna forse proprio perché attrae? Ma allora osserva se non seduca di più la magnanimità, la libertà, la semplicità, la mitezza, la devozione agli dèi. E cosa attrae più della saggezza stessa, quando consideri che la facoltà di comprendere e conoscere con esattezza assicurano un cammino esente da errori e sicuro in ogni circostanza?

 

10 La realtà, in certo modo, è avvolta in un tale viluppo da essere apparsa assolutamente inafferrabile a non pochi filosofi, e non a filosofi qualsiasi (per non dire che agli stoici stessi appare difficilmente afferrabile). E ogni nostro assenso è mutevole: dov'è, infatti, l'uomo che non muta mai? Passa quindi a considerare direttamente gli oggetti, come abbiano breve durata e scarso valore e possano appartenere a un invertito o a una prostituta o a un brigante. Dopo di che passa a considerare il carattere di coloro che ti vivono accanto: si fa fatica a sopportare anche il più amabile di loro, per non dire che uno fatica a tollerare anche se stesso. Ora, in una simile oscurità, in una simile lordura, in tanto fluire della sostanza, del tempo e del movimento e di ciò che è in moto, non riesco a vedere cosa possa mai esserci che meriti il nostro apprezzamento o, in ogni caso, il nostro impegno. Al contrario: bisogna confortare se stessi e attendere la soluzione naturale, e non spazientirsi per l'attesa, ma trovar quiete in queste sole considerazioni: la prima, che non mi succederà nulla che non sia conforme alla natura universale; la seconda, che non mi è consentito fare nulla contro il mio dio e demone. Non c'è nessuno, infatti, che possa costringermi a trasgredire il suo volere.

 

11 Per quale scopo debbo usare ora la mia anima? In ogni singola circostanza poniti questa domanda e verifica: «Cosa c'è, ora, in questa parte di me che chiamano principio dirigente, e di chi, ora, ho l'anima: di un bambino? di un ragazzino? di una donnetta? di un tiranno? di un animale da allevamento? di un animale selvatico?».

 

12 Quale sia la natura delle cose che ai più sembrano beni, puoi capirlo anche da questo ragionamento. Se uno considera come veri beni taluni che effettivamente lo sono, come la saggezza, la temperanza, la giustizia, la fortezza, dopo averli così concepiti non può più stare ad ascoltare quel verso: «per i beni...», perché non risponde alla sua situazione. Mentre chi valuta come beni quelli che ai più sembrano tali ascolterà fino in fondo la frase del poeta comico e non avrà difficoltà ad accettarla, giudicandola appropriata. Così anche i più hanno idea della differenza: altrimenti non succederebbe che, nel primo caso, l'espressione urti e venga respinta, nel secondo, invece, accettiamo come conveniente e spiritosa la battuta sulla ricchezza e sui colpi di fortuna che portano lusso o gloria. Prosegui, allora, e chiediti se si debbano onorare e ritenere beni cose tali che, dopo averle così valutate, pare appropriato aggiungere che chi le possiede «non ha più», per la sua ricchezza, «dove poter cacare».

 

13 Sono composto di elemento causale ed elemento materiale; nessuno dei due si perderà nel nulla, come neppure è sorto dal nulla. Pertanto ogni mia parte, attraverso trasformazione, sarà ricondotta a una parte del cosmo, e a sua volta quella si trasformerà in un'altra parte del cosmo e così via all'infinito. Anch'io esisto come prodotto di tale trasformazione, e così i miei genitori, e così via, procedendo a ritroso, ancora all'infinito. Nulla, infatti, impedisce di esprimersi in questo modo, anche nell'eventualità che il cosmo sia governato per cicli definiti.

 

14 La ragione e l'arte di ragionare sono facoltà sufficienti a se stesse e al loro operato. Muovono, quindi, da un proprio principio, e procedono verso il fine proposto; di conseguenza, simili azioni vengono chiamate «azioni rette», a indicare il loro percorso rettilineo.

 

15 L'uomo non deve occuparsi di nessuna delle cose che non convengono all'uomo in quanto tale. Non sono esigenze dell'uomo, non le ripromette la natura umana, non danno compiutezza alla natura umana. Quindi in esse non si trova neppure il fine posto all'uomo né ciò che realizza compiutamente tale fine, il bene. Ancora: se una di queste cose convenisse all'uomo, non sarebbe conveniente disprezzarle e combatterle, e non sarebbe degno di lode chi mostrasse di saperne fare a meno, né, se davvero queste cose fossero beni, sarebbe virtuoso chi si pone dei limiti in alcuna di esse. Ora, invece, uno è tanto più virtuoso quanto più accetta di privarsi di queste e altre simili cose, o di esserne privato da altri.

 

16 Quali saranno le tue rappresentazioni ricorrenti, tale sarà la tua mente: le rappresentazioni, infatti, impregnano l'anima con il proprio colore. Pertanto impregnala continuamente con rappresentazioni quali, per esempio: «dove si può vivere, si può anche vivere bene; a corte si può vivere; quindi a corte si può anche vivere bene». E, ancora: «ogni singolo essere muove verso ciò per cui è stato prodotto; il suo fine sta in ciò verso cui muove; dove sta il fine, là sta anche l'utile e il bene di ciascun essere; il bene dell'essere razionale, quindi, è vivere in società». Infatti è da tempo dimostrato che siamo nati per la vita in società. O non era evidente che gli esseri inferiori esistono per quelli superiori, e quelli superiori esistono gli uni per gli altri? E gli esseri animati sono superiori agli esseri inanimati, gli esseri razionali agli esseri semplicemente animati.

 

17 Inseguire l'impossibile è da folli: ed è impossibile che i malvagi non facciano cose del genere.

 

18 A nessuno accade nulla che egli non possa per natura sopportare. A un altro accadono le stesse cose e questi, o perché ignora che gli sono accadute, o perché vuole esibire grandezza d'animo, resta ben saldo e ne esce senza danno. È grave, quindi, che ignoranza e compiacimento siano più forti della saggezza.

 

19 Le cose di per sé non sfiorano in alcun modo l'anima, né hanno accesso alcuno all'anima, né possono modificare o muovere l'anima; essa soltanto modifica e muove se stessa, e rende per sé le cose che la raggiungono dall'esterno tali quali sono i giudizi che su di esse si ritiene degna di esprimere.

 

20 Per un verso abbiamo il più stretto legame con gli uomini, in quanto dobbiamo far loro del bene e sopportarli; per l'altro, invece, in quanto certuni mi ostacolano nello svolgimento del mio specifico operato, gli uomini divengono per me una delle cose indifferenti, non meno del sole o del vento o di una belva. Ora, questi possono sì intralciare un'attività, ma l'impulso e la disposizione non hanno ostacoli, poiché ricorrendo alla riserva li abbattono. Il pensiero, infatti, travolge e trasforma ogni ostacolo alla sua attività nel vero valore che la guida, e così ciò che frenava quella data azione diviene utile all'azione e ciò che sbarrava quella data via aiuta a percorrerla.

 

21 Degli esseri che si trovano nel cosmo onora il migliore: è quello che di tutto dispone e tutto governa. Allo stesso modo, anche di quanto si trova in te onora il meglio: è ciò che condivide la natura di quell'essere supremo; anche in te, infatti, è quello che dispone di tutto il resto, e la tua vita è sotto il suo governo.

 

22 Ciò che non è dannoso alla città, non danneggia neppure il cittadino. Ad ogni rappresentazione di un danno subito, applica questa regola: se la città non è danneggiata da questo, non risulto danneggiato neppure io. E se la città non riceve danno, non ci si deve adirare con l'autore dell'azione dannosa, ma mostrargli qual è la sua mancanza.

 

23 Considera spesso la rapidità del passaggio e della scomparsa degli esseri e degli avvenimenti. La sostanza, infatti, è come un fiume che scorre ininterrottamente, le attività soggiacciono a continue trasformazioni, le cause a migliaia di modificazioni e non c'è pressoché nulla di stabile; e considera, proprio qui accanto, questo infinito abisso del passato e del futuro, in cui tutto scompare. Come può, dunque, non essere folle chi in questa situazione è tanto pieno di sé o spasima o si lamenta come se il suo tormento dovesse durare a lungo?

 

24 Ricorda l'intera sostanza, della quale partecipi in entità minima; l'int