INTRODUZIONE

  

Siamo del parere che la figura di Gaetano Vardaro non abbia ancora trovato un adeguato spazio nel panorama culturale italiano.

Il ruolo avuto da Gaetano Vardaro nella messa in moto del processo di rinnovamento radicale del diritto del lavoro nelle società complesse, senza dubbio, è stato rilevante, se non decisivo, in non inessenziali punti. Era, dunque, assolutamente necessario impedire che il manto dell'oblio occultasse il suo contributo alla giuslavoristica.

E tuttavia, non solo di questo si trattava e si tratta.

Riteniamo che in Gaetano Vardaro gli schemi interpretativi, le categorie concettuali, i percorsi di analisi e gli orizzonti politico-culturali eccedano con nettezza i confini del diritto del lavoro.

I paradigmi fondamentali con cui Gaetano Vardaro ha dovuto confrontarsi negli anni '80 sono, in linea generale, assorbibili nei seguenti tre: "complessità sociale", "società flessibile" e "democrazia neocorporativa". L'ambito di insistenza di tali paradigmi, come è sin troppo agevole arguire, più che delimitare circuiti di riflessione specialistici, crea dei crocevia concettuali e disciplinari, se non dei veri e propri dilemmi teorici.

L'indagine concentrica e differenziata intorno a questi tre fulcri paradigmatici conduce Gaetano Vardaro a posizionare dei campi di implicazione relazionale tra:

  1. le funzioni e il ruolo delle istituzioni pubbliche e dell'attore sociale;
  2. le sorti della democrazia a fronte della proliferazione della "complessità sociale";
  3. la parabola e la crisi del legame sociale;
  4. le forme della giuridificazione del diritto e della normazione del diritto del lavoro;
  5. i modelli della rappresentanza democratica e della rappresentanza sindacale;
  6. i cicli e le modalità della regolazione sociale;
  7. gli esiti difformi e contraddittori del mutamento sociale e culturale;
  8. il posto dei conflitti di lavoro nella "società flessibile";
  9. il destino del singolo e della comunità associata sotto l'incalzare dei saperi/poteri complessi.

Non solo diritto del lavoro, dunque; bensì anche diritto del lavoro.

Attraverso il diritto del lavoro, Gaetano Vardaro perviene a formulare interrogativi cogenti sulla società, sulle sue forme di relazione e sui suoi attori inquieti, problematizzando l'aspro nodo "complessità sociale"/"crisi della democrazia". Il tutto per cercare di fornire prime e parziali risposte alle pressanti domande relative alla rielaborazione topologica, semantica e politica delle forme di governo.

Non a caso, egli avverte l'esigenza epistemologica di "fondare" la propria ricerca su un riattraversamento dell'esperimento rappresentato dalla repubblica di Weimar, certamente una delle più emblematiche metafore dei conflitti irrisolti sfociati in catastrofe che il XX secolo reca nel profondo delle sue viscere. La repubblica di Weimar, nel suo fallimento, è assunta come un luogo ferito della memoria, da riattraversare in maniera viva e attualizzante. Un luogo da rivisitare; ma che, per essere visto, va rimesso in moto: cioè, metabolizzato come "laboratorio".

Il viaggio che Gaetano Vardaro si accinge a fare nel "laboratorio Weimar" è, dunque, una ricognizione sui motivi di una sconfitta e sulle ragioni di una scommessa nobile: non solo e non tanto la celebrazione della freudiana elaborazione del lutto; quanto l'azione di ancoraggio delle radici di un pensiero vivo, giocato sulle scansioni liminari di passato e presente.

Un pensiero che, dal passato, non teme di misurarsi col presente; che, dal presente, va audacemente interrogando il passato.

Un pensiero che non si svilisce nella nicchia degli specialismi, ma che, erratico e curioso, non si sottrae al fascino emanato da altre e diverse "piste di ricerche".

Un pensiero che non cataloga e non classifica in maniera inerte, scarnificando tutto ciò che tocca.

Un pensiero che mantiene continuamente aperto il suo sguardo, passando da un campo di sapere all'altro, da un firmamento di senso all'altro.

Un pensiero che mai si fossilizza e sclerotizza in una "compiutezza" formale asfissiante.

Un pensiero che trasforma l'inquietudine in attenzione verso le realtà mutevoli della vita e dei fenomeni sociali.

Un pensiero che, proprio per tutti questi motivi, ci sentiamo di qualificare propriamente come pensiero ricognitivo.

Non esistono concettualizzazioni e formalizzazioni di pensiero ricognitivo in senso stretto. Né sono in opera paradigmi formali di pensiero ricognitivo. Nondimeno, possiamo rinvenire tracce di pensiero ricognitivo in molti pensatori, dall'antichità alla contemporaneità.

Tantomeno abbiamo noi la temeraria ambizione di fornire un paradigma esaustivo di pensiero ricognitivo. Ciò non soltanto perché l'impresa esorbita le nostre capacità; ma anche per il fatto che l'unico schema epistemologico compiuto che è possibile dare del pensiero ricognitivo è che esso rifugge dalle tassonomie paradigmatiche.

Il pensiero ricognitivo non è/e non ha un paradigma.

È, al contrario: "un modo di camminare del pensiero nel pensiero" senza remore, chiusure e ossessioni; "un modo di camminare del pensiero nella realtà" per esigenze di libertà.

È un'attitudine della mente e un moto dello spirito; nonché la costruzione materiale di percorsi di riflessione, di socialità, di discussione e di esistenza progressivamente aperti ai "problemi veri" di tutto lo spazio/tempo che al vivente umano e non-umano è concesso e tolto.

Il nostro intento è quello di indagare la multiversità e complessità della posizione di Gaetano Vardaro, assumendola come un contributo vivo al pensiero ricognitivo Ci pare, questo, il modo migliore per parlare di lui e con lui. Il modo migliore per farlo ancora parlare con noi, con coloro che non ci sono più e con coloro che verranno dopo.

Animati da questo spirito, abbiamo tratteggiato "campi di ricognizione" che non intendono affatto dire "parole ultime" su Gaetano Vardaro. Viceversa, è nostra volontà iniziare, a più di dieci anni dalla morte, un discorso nuovo su Gaetano Vardaro, lasciando ad altri e a noi stessi il compito di continuarlo.