CRITICA LETTERARIA: CARLO GOLDONI

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

Novità e limiti dell'arte del Goldoni

La lieta fantasia del Goldoni

Natura e ragione nella poetica goldoniana

Lingua e dialetto nel Goldoni

Il programma del "Caffé"





 


LINGUA E DIALETTO IN GOLDONI

di GIANFRANCO FOLENA



Nell'assenza, in Italia, di una tradizione di lingua capace di immediata comunicazione, di cui il Goldoni sente di aver bisogno per il suo teatro, egli si costruisce uno strumento linguistico che nasce dall'incontro di forme dialettali con elementi dell'uso parlato italiano e dell'uso scritto non letterario; e in questo modo foggia un primo esempio di lingua comunemente intelligibile a tutta Italia. L'altro ambito linguistico in cui si muove il Goldoni è il veneziano, che egli adopera nella sua dignità e autonomia di vera e propria lingua.

Il fondamentale problema linguistico è per Goldoni un problema di comunicazione, che per lui come per chi muova per vocazione dall'interno dell'esperienza teatrale non è solo un problema pratico ma espressivo: comunicazione diretta e orale con quel suo pubblico che per Goldoni è un termine fisso di riferimento, il protagonista di tutte le sue Prefazioni; che comprende diversi strati sociali, ma che egli non può chiamare ancora genericamente «italiano» e che distingue con empiria settecentesca per «nazioni» e gusti, secondo la geografia «sociale» del suo tempo, con una densità e intensità che decresce da nord a sud e che ha il suo centro focale a Venezia.
Per questo pubblico egli deve provvedere lo strumento linguistico adatto, che la tradizione letteraria non può offrirgli, e che la lingua della conversazione colta, soprattutto dell'Italia settetrionale, può offrirgli solo ín aenigmate, in tracce e sparsi elementi, semplicemente perché questa koinè di lingua parlata ancora non esiste: può venir fatto di dimenticare, leggendo l'italiano di Goldoni, che quei nobili, quei cavalieri, quei mercanti, quelle dame e quelle donne di «garbo» e di «maneggio», parlavano effettivamente un dialetto più o meno italianizzato, o magari talora un francese bastardo. La lingua goldoniana d'uso italiano è sostanzialmente, lingua teatrale, fantasma scenico che ha spesso la vivezza del parlato ma si alimenta piuttosto all'uso scritto non letterario, accogliendo in copia larghissima venetismi, regionalismi «lombardi» e francesismi, accanto a modi colloquiali toscani e a stilizzazioni auliche di lingua romanzesca e melodrammatica: è un «come se», una ipotesi spesso cosí persuasiva di realtà, fondata su un presupposto di intelligibilità comune.
Parallelamente, la sua «patria» veneziana sembra fornirgli, già pronto per l'uso, quello strumento di lingua parlata di cui egli ha bisogno, lingua parlata socialmente unitaria senza stratificazione rigida, lingua usuale anche della classe dirigente e lingua scritta non «grammaticale»: il solo dei dialetti italiani totalmente immune, nell'uso parlato anche colto, da squalifica culturale, «dialetto» nel senso corrente solo per la prospettiva letteraria; capace di servire non soltanto nell'uso amministrativo e giuridico, ma anche per discutere oralmente di filosofia e di scienza.
Qui Goldoni si colloca d'istinto nel punto d'incontro di una secolare tradizione dialettale veneziana con la comune tradizione italiana ed europea: di quella tradizione, rimasta sempre al bivio tra lingua e dialetto, Goldoni è l'erede per molti versi conclusivo. Il fatto è che in lui il veneziano diventa lingua nel grado totale della rappresentazione, proprio quando la sua bivalenza di lingua e dialetto sta per cessare di essere: dopo di lui è possibile una letteratura dialettale veneziana solo in senso vernacolare e municipale.
Goldoni chiude una pagina, e ne apre una nuova, nella storia delle letterature dialettali e della concezione del dialetto come strumento espressivo: in lui il dialetto acquista per la prima volta piena autonomia di lingua parlata, fuori di caricatura e di polemica. Con Goldoni ha inizio la storia urbana e civile del dialetto. Questo suo sentimento del dialetto come « linguaggio », lingua materna in cui si specchia la vita di tutta una società, sarà espressa tante volte dal Goldoni, ma forse mai meglio che nella nostalgia dei versi veneziani scritti da Pàrigi «lontan tresento mia»: «El dolce nome de la Patria mia... / ... el línguazo, e i costumi de la zente». Dove, vedremo ancora, c'è tutto il sentimento linguistico di Goldoni, molto meglio che nelle sue professioni di orgoglio veneziano che sanno invece di municipale, come nei brutti versi arcadici dichiaranti «la dolcissima/ Facondia veneziana/ Con el vigor dei termini/ Far fronte alla toscana».

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it