MARCEL PROUST: REALTA' E COSCIENZA IN PROUST

 

Luigi De Bellis

 
 
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Dai luoghi montani alla scoperta dello spazio interiore
Realtà e coscienza in Proust
Meccanismo del ritrovamento del tempo
Alla ricerca del tempo perduto
Combray
La Madeleine
Proust e la verità
Il salotto Verdurin
Il tempo ritrovato
 
 

Un critico, Gaétan Picon, ha scritto che Proust ha operato nel romanzo una sorte di rivoluzione copernicana o kantiana: «Mentre una volta il romanziere girava attorno al mondo, ora il mondo gira attorno al romanziere»: al centro, nella nuova prospettiva, non è più il reale da rappresentare e inventariare, ma la coscienza che indaga, ed anzi interpreta e crea il mondo, ne memorizza le tracce incise nello spazio interiore e le rende misteriosamente significanti.

Tale fu la novità della scrittura proustiana, che in un primo tempo ben pochi ne intesero la più vera natura; gli editori rifiutarono di dare alle stampe quei fitti mano scritti, i critici (compreso Gide, che però in seguito ritrattò il suo primo giudizio) si espressero con forti riserve, se non con sarcastiche allusioni. Poi, quando i primi scritti cominciarono a circolare e i primi volumi della Recherche ad imporsi al l'attenzione del pubblico, si diffuse uno schema critico riduttivo, quello di un Proust «giovane principe persiano dai grandi occhi di gazzella», appassionato frequentatore dei salotti della Parigi del suo tempo, e quindi descrittore di un costume di un'epoca, autore dilettante, elegante e mondano, che si adegua al gusto di un fatua società, di un ceto frivolo, privilegiato e inoperoso: il Proust già autore d un'opera dal titolo I piaceri e i giorni, che riprendendo il celebre titolo del poema di Esiodo, Le opere e i giorni, era parsa provocatoriamente sostituire al lavoro il piacere. Sulla scia di quello schema interpretativo, anche il grande ciclo narrativo, A la recherche du temps perdu, (Alla ricerca del tempo perduto), iniziato nel '13 con Dalla parte di Swann, venne letto come la cronaca minuta di un ambiente e di un'epoca venne visto e studiato come il vivo, mobilissimo affresco che coglie con minuta aderenza i caratteri della società francese in una sua tarda belle époque, fissata per l'eternità nell'affascinante eleganza delle sue riunioni mondane, nei precisi
riferimenti tutti sicuramente rintracciabili, ai salons di un'aristocrazia e di un'alta borghesia ignare, si direbbe, di non lontani cataclismi storici. Una lettura, tutto sommato "realistica" del romanzo proustiano, confermata e consolidata, tra il '20 e il '30, da volumi più descrittivi e "narrativi" dell'opera, All'ombra delle fanciulle in fiore, La parte di Guermantes, Sodoma e Gomorra, e successivamente da quelli postumi; un lettura realistica e descrittiva contro la quale lo stesso romanziere non mancò di protestare quando scrisse, in una pagina famosa del Tempo ritrovato, che le sue non erano le scoperte di chi mira al minuto particolare, ma quelle di chi intende svelare le grandi leggi: «Si rallegrarono con me perché, dicevano, avevo scoperto alcune verità al microscopio, quando in realtà mi ero servito non di un microscopio ma di un telescopio per scorgere cose piccolissime, sì, ma solo perché situate a un'enorme distanza, e ciascuna delle quali era un mondo; mi chiamavano "rovistatore di minuti particolari", ed io invece cercavo le grandi leggi».

Proust memorialista e cronista

Queste leggi riguardavano i meccanismi complessi che regolano lo spazio interiore; si chiamavano memoria involontaria, intermittenze del cuore, universale analogia, valore assoluto dello spirito che ogni dato reale sublima e idealizza, oppure dichiaravano la funzione suprema della letteratura come modo di porsi al di fuori del temporale e dell'effimero. La trascrizione critica del mondo, anche in termini di fine ironia e di arguta satira, è tutt'altro che assente dalle pagine di un Proust che è anche memorialista e chroniqueur, capace di dedicare al ricevimento in casa di Mme de Villeparisis o al pranzo dalla duchessa di Guermantes circa la metà, complessivamente, de La parte di Guermantes, o alla serata da Mme Verdurin diverse centinaia di pagine de La prigioniera, o al ricevimento dalla principessa di Guermantes una buona metà del Tempo ritrovato: ampi affreschi sociali e mondani gremiti di ritratti e di schizzi ispirati a volte a ferocia, a volte a un'indulgente tenerezza, e che coinvolgono e divertono senza mai generare stanchezza o fastidio; essi danno risalto ad un codice, a un sistema di segni, a un linguaggio, o rappresentano con pungente efficacia il costante divario tra l'essere e l'apparire, tra l'autentica verità che si ha nell'animo e il volto che mondanamente si assume, la maschera che s'indossa. La Recherche è tutta intessuta di queste gemme, frammenti di verità colti e fissati in una grandiosa e mai tentata rappresentazione di vita familiare e mondana; e tuttavia, se nell'opera proustiana non ci fosse che questo, noi avremmo, dopo Balzac e dopo Zola, e sia pure con più estro, più fantasia, e un minor grado di preoccupazioni socio-economiche, l'ennesimo romanzo ciclico, una nuova e più colorita comédie humaine. In realtà, lo stesso Proust definisce quel tipo di notazioni «verità dell'intelligenza», utili a strutturare un romanzo ma pur sempre legate, troppo scopertamente, al mondo esterno, al vissuto. L'unità della Recherche si situa altrove; sullo sfondo di quel tessuto narrativo, come ha scritto Maurice Blanchot, i nodi salienti, immaginativi e poetici, scintillano come fulgide stelle sulla densa, compatta curvatura di un cielo notturno. Su questa linea, lo scrittore non cerca il pulviscolo delle minute verità sociali e mondane, ma cerca, com'egli stesso dice: la Verità:
« È proprio alla scoperta della Verità che sono partito»: così scrive Proust a Jacques Rivière in una lettera del 1914. Proust immette nell'orizzonte letterario un nuovo ordine di problemi e di interessi, sconvolge gli schemi romanzeschi più usuali, propone lo scavo in terreni dimenticati, getta luce su frammenti d'interiorità che si rivelano, all'analisi, grandi come mondi, fiammeggianti come comete. Soprattutto egli fa del romanzo il luogo di un'abissale discesa negli spazi della più segreta interiorità, il luogo del recupero degli strati più fondi della memoria. La creazione germoglia, nella prospettiva proustiana, entro spazi circoscritti, si nutre di reclusione e di rinuncia. Anche per lui, come per altri del passato - Saint-Simon, Rousseau o Dostoevskij - il momento dell'oscura penombra, l'orizzonte conchiuso della cella, della stanza, dell'isola o della prigione, sono i tempi e i luoghi in cui l'io più segreto si schiude come un fiore notturno. Solo dalla sua arca Noè scopre la bellezza del mondo. Solo il diluvio e l'oblio consentono il pieno recupero del nostro fragile io, « l'unico luogo abitabile». Soltanto la malattia, l'isolamento, la stanza imbottita di sughero in cui lo scrittore si rifugia negli ultimi strenui anni della sua creazione e della sua vita, gli permettono una sorta di supremo affinamento, l'approdo a un lido di eletta spiritualità. Non a caso la Recherche inizia con lo splendido attacco che evoca un ansioso notturno. Proust, ha scritto un critico, Giovanni Macchia, è l'inimitabile poeta del buio, dell'inconscio, della notte, e la sua opera è l'opera di un malato che abilmente piega il suo male a strumento di creazione e riscatto. Come il gufo, il poeta vede chiaro (sono immagini proustiane) solo entro un alone di tenebra. Egli attende che dal cielo discenda l'Angelo della poesia, l'angelo che attraverso la notte « ci conduce nel regno della luce»
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