Lotte contadine

Le lotte contadine in Calabria costituirono uno degli avvenimenti più rivoluzionari della storia italiana nel 1° e 2° dopoguerra, un movimento guidato da povera gente che si batté per coltivare le terre lasciate incolte dai proprietari agrari. Questi ultimi, in questa ascesa di lotte, chiedevano l’intervento delle forze di polizia, per reprimere le occupazioni dei poveri contadini.
Dall’unità d’Italia fino al 1950 le lotte sono state l’unico punto di forza dei contadini contro il potere egemone. Sono entrati in conflitto, per difendersi dalla fame, contro coloro che detenevano il potere. Una lotta antifeudale e antiborghese che a radici nel 1600.
La grande proprietà fondiaria è stata sempre il bersaglio delle lotte contadine, lotte spesso non organizzate, non unitarie, ma comunque capaci di sconvolgere l’ordine sociale imposto.
Dopo la seconda guerra mondiale in Calabria quasi la totalità dei terreni era in mano a pochi proprietari. A Melissa il territorio era suddiviso tra quattro famiglie. I patti agrari conservavano condizioni di sfruttamento e un sistema di conduzione delle terre tale da non poter essere razionalizzata la modalità di coltivazione.
Le due guerre aggravarono la situazione della popolazione contadina, ma furono anche l’occasione, per coloro che pre sero parte alle guerre, per conoscere situazioni di sfruttamento in altre zone e diversi modi di vita.
Gli Agrari in Calabria si sono adoperati con qualsiasi mezzo, leggi, sistema giudiziario sotto controllo, conoscenze nella chiesa, tra i liberali, per accentrare nelle proprie mani gran parte della proprietà demaniale e il potere stesso. La povera gente cosciente dei soprusi, delle ingiustizie, delle condizioni di miseria dovute alla subalternità, spinta dalla fame, dalla rabbia trovò lo stimolo a reagire e lottare occupando le terre incolte.
Quel sabato 29 ottobre 1949, l’occupazione a Fragalà e la strage per opera della polizia segnò la fine di estenuanti lotte, e l’inizio di quella Riforma Agraria, tanto osteggiata dai proprietari terrieri e dai liberali che difendevano il potere egemone nel sud dell’Italia, che assegnò ai contadini le terre che a loro spettavano.
C’è da aggiungere che non tutto si risolse con la riforma. I partiti di governo, ma soprattutto il PCI, che pur impegnandosi, non seppe comprendere a pieno la situazione e guidare la classe contadina verso l’emancipazione.
Una classe dirigente più preparata e capace di lottare, come avevano saputo farlo i contadini meridionali, sarebbe stata un'ancora di salvezza per tanta gente.