L’ATTACCO

 

Autrice: Dany               Censura: PT

 

Note: i personaggi sono della Rowling; la parte centrale della storia mi è venuta di getto dopo aver visto al cinema “Il signore degli anelli”, ma non essendo Tolkien non so se riesco a creare il pathos che desideravo: spero comunque che vi piaccia.

 

Iª PARTE

Quella mattina Piton si era svegliato con una brutta sensazione: il temporale era arrivato durante la notte ed ora sembrava essersi fermato su Hogwarts.

I lampi sfrigolavano contemporaneamente all’esplosione dei tuoni, che rimbombavano per le stanze ed i corridoi, facendo tremare i vetri.

Gli spifferi fischianti rischiavano ad ogni momento di spegnere le torce e le candele, accese per dissipare il buoi notturno che non sembrava voler abbandonare il castello.

La pioggia gelida aggrediva le finestre a raffiche, picchiando violenta sulle vetrate.

Per i professori divenne difficile tenere lezione, visto che ogni minuto si dovevano interrompere, la loro voce coperta da una nuova esplosione.

Nei sotterranei la situazione era solo leggermente migliore, e questo fino a quando Paciock fuse il suo ennesimo calderone ed una cortina di fumo viola rischiò di avvelenare la classe al completo.

Mentre i ragazzi fuggivano fuori, Piton, tossendo, agitò la bacchetta per convogliare il fumo verso il camino d’aerazione, imprecando sottovoce: a differenza dei suoi colleghi, che consideravano Paciock un magonò e si erano rassegnati, accontentandosi che il ragazzo non combinasse eccessivi guai, il professore di pozioni era convinto che il problema di Neville fosse solo una sconcertante distrazione ed una memoria inesistente. La riprova era che, quando la Granger gli suggeriva gli ingredienti e l’ordine in cui metterli, la pozione del ragazzo funzionava.

Questo era il motivo per cui lo perseguitava, sperando che l’agitazione gli desse una spinta a far attenzione, ma non poteva stargli dietro per due ore e generalmente bastava che girasse un attimo la testa, com’era successo quel giorno, perché il ragazzo invertisse l’ordine di due ingredienti e creasse un nuovo veleno gassoso invece di una pozione per curare i morsi di Lupo Mannaro.

Abbandonando i calderoni, anche le altre pozioni erano ormai inutilizzabili e così Piton congedò i due quinti, assegnandogli un doppio carico di compiti, visto che avevano un’ora e mezza libere.

Tornando verso il suo studio, stava riflettendo se non fosse il caso di chiedere a Silente di esonerare Paciock da Pozioni, visto che si apprestava ad insegnarne di particolarmente pericolose, quando un brivido gelido gli attraversò la schiena.

Si fermò di botto e si guardò in giro: il sotterraneo era deserto e gli unici rumori erano quelli del temporale. All’improvviso si sentiva in pericolo, ma non c’era nulla che giustificasse una tale sensazione, per cui cercò di non pensarci ed continuò a camminare.

Di fronte alla porta del suo studio ebbe la spiacevole sorpresa di trovare Remus Lupin.

- Che ci fai qui? – sbottò acido.

Lupin sorrise divertito.

- Sono commosso dalla tua calorosa accoglienza. Grazie, sto bene, e tu come stai?

Piton storse il naso ed aprì la porta, lasciandolo entrare.

- Sei qui per una visita di cortesia? Questa notte c’è luna piena: non dovresti andartene a zonzo!

Lupin si sedette davanti alla scrivania, ridiventando serio.

- Lo so e non mi sarei mosso se non fosse stato necessario, ma sembra che si stia movendo qualcosa: alcuni maghi hanno riferito di aver visto dei vampiri riunirsi e stormi di corvi sorvolare i boschi poco distanti da qui. Dai tuoi contatti non sai niente?

Piton restò a riflettere per qualche attimo.

- No, niente, ma non ti so dire in che misura si fidino di me. Può darsi che se è così… preferiscano non dirmi niente…

Il senso di tensione era tornato: una morsa allo stomaco per nulla piacevole.

L’altro mago continuò.

- Sono venuto a riferirlo a Silente, anche per ricevere istruzioni per… insomma lo sai: Sirius si nasconde da me, ma non so quanto possa essere sicuro.

Piton alzò la testa di scatto.

 - È qui anche lui? – con un tono che trasudava disgusto.

- No, sta tranquillo! Al momento è andato a parlare con i Weasley. Comunque Silente mi ha detto di restare qui, per questa notte; lo so che devo prendere la pozione per una settimana prima della luna piena, ma se la prendessi solo questa sera?

Il professore si abbandonò contro lo schienale della sedia.

- Non servirebbe a niente! Prenditi una coperta e rassegnati a passare la notte nella stamberga!

 

Quella sera Piton preferì ritirarsi subito dopo cena in camera sua, per leggere un buon libro e cercare di cancellare il senso di malessere che aveva accompagnato quella giornata: il temporale si era calmato, ma scure e basse nubi deprimenti continuavano a sostare sul castello.

Acceso il fuoco nel camino sprofondò in una comoda poltrona e s’immerse nella lettura.

Le lettere scorrevano lente sotto il suo sguardo, creando piacevoli immagini nella sua mente…

 

La campana dell’orologio suonò le undici e Piton aprì gli occhi: doveva essersi addormentato senza accorgersene. Preso il libro dalle ginocchia su cui era rimasto aperto, lo poggiò su di un basso tavolino, pensando che era il momento di andare a dormire, o almeno provarci, quando sentì un raschiare fuori dalla porta.

Si immobilizzò ascoltando e dopo qualche attimo di silenzio lo sentì di nuovo, come artigli che grattassero sulla pietra.

Afferrata la bacchetta si avvicinò silenziosamente alla porta e poi l’aprì di botto, spalancò gli occhi e la richiuse immediatamente, appoggiandosi contro.

Uno zombi goblin!

Uno zombi goblin nel suo corridoio!!

Dentro il castello!

Si scostò dalla porta giusto in tempo per evitare la punta dell’ascia goblin conficcata nel legno.

Cosa ci facesse uno zombi goblin in Inghilterra, ad Hogwarts, era una domanda molto interessante, ma non era il momento di pensarci: meglio cercare di ricordare come fare fuori il mostriciattolo delle tenebre. Per un attimo la mente di Piton restò vuota: erano passati quasi venti anni dall’ultima volta che aveva usato incantesimi di Magia Oscura e solo un incantesimo del genere poteva eliminare quella mostruosità.

 

I colpi d’ascia si susseguivano sulla pesante porta: il goblin sembrava intenzionato ad entrare, ignorando l’accoglienza poco calorosa.

Piton indietreggiò, sforzandosi di ricordare: l’Avada Kedavra non serviva su un essere già morto, ma c’era un incantesimo…

La robusta ascia scardinò la serratura e la porta si aprì all’improvviso.

Il goblin avanzò: la pelle, già rugosa e butterata viva, era semidecomposta e di colore verdastro livido; gli occhi, infossati in orbite nere e profonde, brillavano rossi e malvagi; i denti anneriti, scoperti in un ghigno eterno; i movimenti rigidi, ma implacabili e mortali; la puzza nauseabonda.

Piton indietreggiò ulteriormente, il respiro bloccato: doveva ricordare! Doveva!!

L’ascia sibilò davanti a lui.

Il goblin scattò verso la sua preda.

- NIRVAS!

Il raggiò verde lo prese in pieno ed esplose in mille pezzi, con uno stridio assordante.

 

Piton espirò, i denti che battevano, mentre sudore freddo scendeva ai lati del viso: un attimo di ritardo e…

Ma come? Come aveva fatto quell’essere ad entrare?

Guardò i pezzi anneriti sparsi per la stanza, poi uscì sul corridoio.

Sulla sinistra altri tre zombi goblin stridettero, slanciandosi contro di lui, mentre il tuono esplodeva con fragore.

Il mago si gettò a terra, evitando l’ascia che passò roteante su di lui.

- Nirvas! Nirvas! Nirvas!

I tre zombi esplosero e Piton sentì la propria energia diminuire sensibilmente mentre restava inginocchiato, ma non c’era tempo: dietro i tre zombi era apparso un mostro di montagna, un gigantesco ammasso grugnente, che avanzava con la clava chiodata sollevata.

Il mago si alzò e puntò la bacchetta, mentre la clava calava verso di lui.

- Avada Kedavra!

Il mostro crollò stecchito, Piton balzò all’indietro e la mazza lacerò la sua veste.

Si appoggiò ansimante alla parete, gli occhi spalancati dallo shock: INVASIONE!

Voldemort stava attaccando il castello ed era entrato, senza che niente e nessuno se ne accorgesse!

Fece qualche passò verso le scale, creò una sfera messaggio e la spedì alla ricerca di Silente.

Il gelo gli attanagliò le viscere e si girò di scatto: a poca distanza dal mostro, proveniente da dietro un angolo, apparentemente dal dormitorio dei Serpeverde, c’era un Dissennatore!

Non era possibile: questo era solo un incubo!… il Signore Oscuro li aveva richiamati a sé!

- Expecto Patronum Rex!

Il cobra rosso fuoriuscì gigantesco dalla punta della bacchetta e ingoiò lo spettro, eliminandolo definitivamente.

Silente non voleva che si uccidesse, neanche le creature oscure, ma quello non era davvero il momento di andare per il sottile.

Il rombo di un tuono coprì i primi rintocchi della campana, che suonava l’allarme, mentre dal piano di sopra cominciavano a sentirsi voci che urlavano e incantesimi che esplodevano.

Piton avanzò verso l’angolo da cui veniva il Dissennatore e cautamente si sporse a guardare: dalla porta del dormitorio della sua casa stavano uscendo cinque zombi goblin e due vampiri.

Il professore di Pozioni sentì la testa che gli girava ed il respiro che si bloccava: gli incantesimi consumavano energia, non poteva combattere contro tutti, ma non aveva molta scelta.

Uscì da dietro l’angolo e lanciò di nuovo il Nirvana, cercando di bloccare i vampiri schiantandoli, ma i goblin uccisi furono rimpiazzati subito da altri, con Dissennatori, Troll delle grotte, mostri.

Piton non poteva combatterli da solo: si girò e corse per il corridoio, con l’intenzione di raggiungere i suoi colleghi ed organizzare una difesa, ma si trovò il cammino bloccato da un gigante che urlò verso di lui.

Girandosi imboccò un passaggio secondario e lo bloccò creando un muro di fuoco, che non sarebbe però durato a lungo.

Il passaggio finiva con delle scale buie che scendevano più in basso e lui, invece, doveva salire, ma sentì grugniti che si avvicinavano alle sue spalle.

Il cuore che batteva furioso, scese velocemente, ma dovette subito rallentare perché il buio era adesso totale e rischiava di cadere.

Tenendosi sulla parete di destra, continuò a scendere la scala che curvava a destra: conosceva il posto meglio degli inseguitori, ma i Troll delle grotte ed i Vampiri vedevano anche al buio ed i Dissennatori non avevano bisogno di vedere.

- Lumos! – a che valeva restare al buio?

Giunto in fondo prese il corridoio a sinistra e riprese a correre, inseguito.

Attraversò sale deserte e polverose, vecchie cantine dove antiche armature ammuffite erano ammonticchiate, insieme a vecchi quadri anneriti, abbandonati da tempo dai personaggi inizialmente ritratti.

Girò in altri corridoi, fermandosi a tratti per riprendere fiato e per sentire i grugniti ed i fischi degli inseguitori che non desistevano.

Fece esplodere uno zombi Goblin e ingoiare dal Patronus Rex un Dissennatore che si trovavano avanti agli altri e riprese la fuga.

Trovò le scale che risalivano verso le cucine e salì di corsa, ansimando.

Giunto nelle grandi dispense delle cucine, superò una pesante porta, se la chiuse alle spalle, bloccandola con diversi incantesimi e si fermò: il cuore batteva tanto forte da essere doloroso, i polmoni facevano male e per un attimo la vista gli si annebbiò, mentre le gambe cedevano e lui crollava su una cassetta di mele.

Non era abituato a correre, tanto meno in quelle condizioni.

Era zuppo di sudore, ma già colpi violenti giungevano da dietro la porta.

Si rialzò a fatica ed entrò nelle cucine: gli elfi domestici erano rannicchiati, terrorizzati, in un angolo, mentre una ventina di Folletti delle paludi stavano facendo man bassa del cibo. Le fiamme nel camino, alte e violente, illuminavano la scena di bagliori surreali, proiettando in enormi e grottesche ombre sui muri le sagome dei mostriciattoli.

All’entrata del mago si fermarono e si girarono a guardarlo maligni.

Troppi.

Piton non si fermò a riflettere: si chinò, appoggiando a terra la base della bacchetta.

- Immota manet!

Una sfera di luce bianca si allargò rapida per la stanza, immobilizzando tutti quelli che erano presenti, tranne chi l’aveva lanciata.

Il mago cadde un attimo in ginocchio con il fiato corto: era un incantesimo molto potente, che richiedeva una quantità di energia quasi superiore a quella che Piton poteva permettersi.

Il respiro usciva a tratti e faticosamente dalla gola secca. Per la seconda volta la vista si annebbiò, mentre uno schianto giungeva alle sue spalle: gli inseguitori dovevano aver chiamato un Mangiamorte ed avevano superato la porta.

Costringendosi ad alzarsi, attraversò il più in fretta possibile le cucine ed uscì non lontano dalla scala che portava nella sala grande, quando un raggio rosso lo colpì al petto, sbattendolo contro lo stipite della porta, il dolore che esplodeva come un fuoco: due Mangiamorte gli sbarravano la strada.

- Severus Piton! – intonò beffardo uno dei due – Stavamo cercando giusto te! Il nostro signore vorrebbe scambiare due chiacchiere con il nostro vecchio amico!

Piton li guardò esausto e terrorizzato: si sarebbe ucciso con le sue stesse mani piuttosto che incontrare Voldemort.

Passi veloci alle sue spalle gli chiudevano la ritirata.

Restava un’ultima possibilità che non richiedeva molta energia, ma non l’aveva mai usata prima e poteva finire male…

Peggio di così?

Chiuse gli occhi.

I Mangiamorte avanzavano ridacchianti verso il loro ex compagno, ormai in trappola, quando Piton scomparve.

Troppo stupiti di fronte a quella che pareva una smaterializzazione impossibile, non notarono l’ombra grigia che, a terra, strisciava veloce dentro una crepa fra due pietre del muro.

 

Avvolgendosi in spire nello stretto spazio, il serpente poggiò la testa sul corpo, chiudendo gli occhi.

Quando Lupin e Sirius Black erano ricomparsi ad Hogwarts, due anni prima, in Piton si era risvegliato un assopito interesse verso gli Animagus: se James Potter, Sirius Black e perfino quella nullità di Minus erano riusciti a divenire Animagus, perché non avrebbe dovuto riuscirci lui?

Così, nei ritagli di tempo, aveva cercato nella biblioteca quegli stessi testi che i suoi odiati compagni di scuola avevano consultato 25 anni prima, scoprendo che non era poi così difficile.

Però, assorbita la teoria, non aveva mai provato a metterla in pratica, per una questione di mancanza di tempo.

Adesso il tempo l’aveva trovato per forza e sembrava essere andato tutto bene.

Il dolore focalizzato al petto si era trasformato in un dolore diffuso e non più localizzato, ma la mente era più lucida e fredda.

Sentì i Mangiamorte e gli altri mostri impazzire di rabbia, fuori nel corridoio.

- Dov’è finito?! Non può essersi smaterializzato!!

- E allora dov’è?!

- Non ci si smaterializza in questo castello, cretino!!

- E allora trovalo, deficiente!!

- che cavolo state facendo voi Dissennatori?! Fiutatelo!! Inutili spettri da quattro soldi!!

I Dissennatori non furono felici dell’appellativo.

- Giù quelle mani putride!! Expecto Patronum!! E state fuori dai piedi se non sapete aiutare!!

Le voci rabbiose si allontanarono per il corridoio.

Piton restò acciambellato, cercando di riflettere:

i mostri uscivano dal dormitorio dei Serpeverde e l’unica spiegazione accettabile era che qualche figlio di Mangiamorte avesse portato dentro una passaporta particolarmente potente.

Era possibile che l’avesse portata dentro senza che nessuno se ne accorgesse?

Evidentemente sì (Piton preferì sorvolare sul fatto che, visto che era la sua casa, anche la responsabilità era, almeno in parte, sua)!

E allora bisognava distruggerla, se nel frattempo non erano già entrati tutti i mostri al servizio del Signore Oscuro.

Il dolore ed il freddo lo stavano intorpidendo: cosa gliene importava? Perché non rimanere arrotolato e addormentarsi? Allora il dolore sarebbe scomparso… e probabilmente sarebbe morto nel sonno, perché in quei sotterranei regnava sempre il gelo e se fosse andato in letargo non si sarebbe più risvegliato.

Di malavoglia si costrinse ad aprire gli occhi e fece saettare la lingua biforcuta verso l’apertura: gli odori… o sapori dei servitori di Voldemort si erano attutiti al punto tale da dirgli che erano lontani.

Strisciò fuori e riprese forma umana, ritrovandosi disteso sulla fredda pietra, con il dolore che era tornato lancinante al petto.

A fatica si alzò, avvicinandosi cautamente alla porta delle cucine, adesso silenziose. Tenendosi addossato al muro lanciò dentro un’occhiata: i folletti erano spariti; gli elfi domestici erano ancora raggruppati e piagnucolanti, ma non c’era più nessuno.

Entrò guardingo, lentamente, la bacchetta stretta spasmodicamente.

I nervi erano tesi, mentre ripassava gli incantesimi più potenti e distruttivi, oscuri o bianchi non importava più.

Ripercorse lentamente la strada fatta all’andata, rasente i muri, il sudore freddo che gli imperlava la fronte, tutti i sensi tesi a scoprire la minaccia nascosta nel buio.

 

Attraversò una cantina ed un’ombra buia gli balzò addosso.

Piton cadde a terra, con il peso dell’aggressore sopra.

Tentò di girarsi, ma l’altro lo teneva bloccato, le mani nodose intorno al collo, che stringevano.

Il mago si sentì soffocare: la bacchetta era bloccata sotto di lui e non riusciva a muoverla, la testa girava per la mancanza di ossigeno e macchie nere cominciavano a comparirgli davanti agli occhi. I polmoni davano l’impressione di star per scoppiare e le forze residue lo stavano velocemente abbandonando.

No! Non posso morire semplicemente soffocato un’Avada Kedavra qualsiasi altro incantesimo che stupido morire così

 

Poi le mani, all’improvviso, si sciolsero e respirò di nuovo, tossendo, mentre il peso si spostava ed una delle mani gli scostava i capelli, scoprendo il collo segnato.

Il vampiro che l’aveva aggredito non aveva resistito alla tentazione di succhiargli il sangue, credendolo svenuto, ma i suoi movimenti permisero a Piton di sfilare la bacchetta.

- Destructio!

Lanciare un incantesimo dietro di sé, alla cieca, era vivamente sconsigliato da qualsiasi manuale di magia, scritto probabilmente da maghi che non si erano mai trovati in simili condizioni e per fortuna l’aggressore era troppo vicino per poter sbagliare: il vampiro fu scagliato contro il muro alle loro spalle, smembrato in diversi pezzi.

Piton, continuando a tossire, si massaggiò la gola e si girò carponi.

Senza perdere tempo, bruciò i vari pezzi della creatura, che si agitavano cercandosi a vicenda, e poi, rialzandosi, sparse la cenere in giro, schiacciando sotto gli stivali i mozziconi di ossa rimasti interi… meglio non rischiare.

La fatica era sempre più insistente ed invalidante, ma Piton non poteva fermarsi. Continuò a muoversi, spinto dalla pura forza di volontà, temendo di poter arrivare alla passaporta e poi non avere l’energia sufficiente per distruggerla.

Cercava di muoversi in silenzio, ma il fruscio delle vesti gli pareva eccessivamente rumoroso nel silenzio assoluto dei sotterranei.

Giunto di nuovo nel corridoio dove c’erano le sue stanze, raggiunse lo studio e ci si barricò dentro, lasciandosi poi sprofondare nella poltrona dietro la scrivania.

Era tremendamente stanco e la passaporta sicuramente sarebbe stata sorvegliata e doveva anche essere protetta da incantesimi.

Non aveva più l’energia sufficiente… era ferito…

Si guardò stancamente attorno: una soluzione c’era.

Pericolosa e comunque deleteria per la sua salute, ma non vedeva altre vie d’uscita.

Dove erano gli altri?

I rumori della battaglia erano svaniti del tutto, o perché era finita, chiunque avesse vinto, o perché la lotta si era spostata in un’ala del castello più lontana.

Ma era Silente contro Voldemort: forse i due maghi più potenti al mondo! Non poteva essere già finita.

E lui non poteva permettersi di riposare.

Con tremenda fatica si alzò dalla sedia, prese gli ingredienti ed accese il fuoco sotto il calderone: la pozione era efficace solo appena preparata.

Mentre gli ingredienti sobbollivano lentamente, Piton guardava gli effluvi colorati che si innalzavano fluttuanti dal calderone, con lo stomaco in subbuglio: era terribile non sapere cosa stava succedendo fuori di lì.

Si sentiva completamente isolato, come se ci fosse rimasto solo lui ad Hogwarts… solo contro tutti i servitori del Signore Oscuro…

Che probabilità aveva di farcela? Zero o sottozero?

Ma l’alternativa era sedersi ed aspettare che lo venissero a finire.

Per un folle attimo fu tentato dall’esaurimento di fare esattamente così, ma poi il sangue di Serpeverde si risvegliò. Non coraggio, non senso del dovere, ma semplice ambizione: se doveva morire che così fosse dopo aver provocato più danni possibili al suo nemico! Sarebbe morto combattendo e Voldemort lo avrebbe maledetto, mentre contemplava i danni irreparabili: distrutta la passaporta, tutti i suoi servitori, e lui stesso se era lì, sarebbero rimasti bloccati ad Hogwarts. Poteva non fargli piacere.

 

La pozione era pronta: Piton la filtrò e poi la bevve ancora calda.

Il liquido scese amaro e bruciante lungo la gola, ma subito un’ondata di energia risalì lungo il corpo affaticato… energia preziosa che non avrebbe dovuto essere impiegata in quel modo…

Sospirando rassegnato, il mago uscì dallo studio e si avvicinò silenzioso agli alloggi della sua casa: l’entrata era aperta e la tremula luce di qualche candela illuminava l’interno.

Piton ci pensò un attimo, poi si ritrasformò in serpente e strisciò come un’ombra dentro.

Un lupo mannaro, solo allora ricordò che ormai la luna piena era sorta, era accucciato di fronte ad un quaderno per gli appunti aperto a metà e completamente vuoto: la passaporta!

Il licantropo fissò gli occhi gialli sul serpente, ma questi fu più veloce: riacquistate sembianze umane, Piton scagliò un incantesimo e il lupo crollò a terra.

Adesso c’era il fulcro della sua missione: il quaderno sembrava indifeso, ma pungolato dalla bacchetta emise un flebile bagliore, rivelatore di uno scudo. Tuttavia si era aspettato di peggio: forse perché Voldemort era convinto dell’effetto sorpresa o perché era difficile raggiungere il dormitorio dei Serpeverde, non aveva protetto la sua porta come avrebbe fatto Piton, più insicuro, ma anche più prudente.

L’incantesimo di protezione era molto resistente, ma abbastanza facile da eliminare se si conoscevano le Arti Oscure ed il mago non ebbe difficoltà.

Quindi con un semplice incantesimo di distruzione il quaderno prese fuoco e si accartocciò, fino a ridursi in semplice cenere.

Ma il rumore delle fiamme e della carta che raggrinziva occupò completamente l’attenzione di Piton.

- Stupeficium!

L’incantesimo lo colpì alle spalle, precipitandolo nell’oblio.

 

 

 

IIª PARTE

- Innerva!

Lentamente e dolorosamente Piton aprì gli occhi.

La prima cosa che lo colpì fu che il pavimento di pietra su cui era disteso prono non era lo stesso del sotterraneo: era quello della Sala Grande.

Alzando leggermente gli occhi a destra, dove era girata la sua testa, e mettendo a fuoco la prospettiva, vide Silente seduto su di una sedia accanto al muro – almeno uno dei tavoli era sparito – pallido e… senza bacchetta! Con un Mangiamorte accanto a lui, in piedi!!

A questo punto sapeva cosa c’era davanti a lui e avrebbe voluto volentieri svenire e magari morire nel sonno…

- Severus! Vedo con piacere che stai bene!

La voce gli ghiacciò il sangue nelle vene: lentamente, facendosi forza sulle braccia, alzò la testa e attraverso la cortina di capelli volse lo sguardo verso il suo interlocutore.

Voldemort, il viso sempre più simile a quello di un serpente, gli occhi fiammeggianti rossi, circondato da un’aurea nera, lo fissava seduto sullo scranno di Silente, dietro il tavolo. Alla sua destra sedeva Potter, terribilmente pallido, ma deciso a non far trasparire il terrore.

Accanto a Potter sedeva Minus, il traditore, lo sguardo servile che osava poggiare su di lui… se la storia di Potter era vera, Piton non avrebbe mai perdonato Sirius e Lupin per non averlo ucciso quando lo avevano avuto in pugno.

Voldemort si alzò, girando intorno al tavolo, e due braccia rudi sollevarono di peso Piton, rimettendolo in piedi e tenendolo bloccato.

Il Signore Oscuro si avvicinò con fare indolente.

- Allora Severus: mi dicono che ti sei dato da fare!

Hai eliminato alcuni miei servitori… ne ho tanti, ma hai eliminato anche dei Dissennatori e questo mi infastidisce un po’ perché il loro numero non è alto… - alzando un mano seguì con un artiglio la curva del viso, scorrendo verso il collo.

Piton rabbrividì, chiudendo gli occhi: purché finisse subito, ma Voldemort continuò.

- E poi hai distrutto la passaporta. Ora, capirai che questo non mi fa molto piacere… lo sai quanto tempo ed energia ci vuole per fare una passaporta che conduca qui dentro!

Ma ciò che mi rattrista veramente, è vedere un mago con il tuo potenziale abbassarsi a fare la pedina nelle mani di Silente! Avevi un grande avvenire davanti a te e l’hai… buttato, per farti usare da questo vecchio senza scrupoli… perché lo sai che ti ha sfruttato, vero? – l’unghia passò sulla gola di Piton e poi tornò indietro, in una carezza raccapricciante.

- Che peccato!

Beh, adesso dovrai morire, come saprai… All’inizio pensavo di eliminarti in modo veloce e indolore… un’Avada Kedavra…

Ma poi ho saputo qualcosa sul quando sei passato dalla parte di Silente e dopo quello che hai combinato sono alquanto risentito nei tuoi confronti… - l’artiglio spostò i capelli indietro – Penso che mi divertirò a farti passare le pene dell’inferno, al punto che sarai tu ad supplicarmi di ucciderti!

Tutto il discorso era stato pronunciato con tono soffice, quasi paterno, ma le parole sancivano i peggiori incubi e Piton si sentì svenire.

Voldemort continuò ad accarezzare il viso del mago.

- Ma prima farai qualcosa per me: ucciderai Silente!

 

Piton spalancò gli occhi, mentre Il Signore Oscuro lo colpiva con l’Imperius.

Un senso di falsa pace invase il mago, mentre Voldemort gli rimetteva in mano la bacchetta, e il desiderio di abbandonare i pensieri e lasciare che il corpo eseguisse altri ordini…

Ma il Signore Oscuro voleva che Piton fosse anche contento di farlo; gli passò alle spalle e avvicinò la bocca all’orecchio.

Pensaci! – il tono era ipnotico e carezzante – Lui ha mandato te a rischiare, quando sarebbe potuto venire lui… ma la tua vita era sacrificabile: se tu fossi morto chi avrebbe mai pianto la tua morte? Potter ed i suoi amici avrebbero ballato sulla tua tomba, vero? – Piton lanciò un’occhiata verso Potter, seduto al tavolo: era vero! – Silente, magari diceva di essere tuo amico, ma prestava sempre fede alle parole dei piccoli Grifondoro e mai alle tue… e se doveva scegliere, dava a loro la precedenza!

Vagamente Piton si chiese come avesse fatto a scoprirlo: forse Malfoy o in altri modi, ma non importava: era vero!

- E non ti ha mai permesso di sfogare il tuo risentimento, perché la memoria di James Potter per lui era più importante di te, vivo davanti a lui… così come non trovava grave che Sirius Black avesse cercato di ucciderti: solo uno scherzo, vero? – Vero! – E adesso: vuoi sapere come ha fatto Potter a salvare Black? Lo ha fatto con l’aiuto di Silente… lui lo ha aiutato e poi ha lasciato che tu passassi per pazzo, anche se… sapeva… avevi ragione!

All’improvviso Piton si sentì tradito da Silente e le parole di Voldemort rimbombarono nella sua mente: lui poteva essere un mostro, ma ciò che aveva detto era vero, senza possibilità d’inganno.

Il suo sguardo ferito si posò su Silente, che lo guardava in silenzio, afflitto forse, ma senza poter confutare la realtà.

Lacrime gli offuscarono gli occhi poi Voldemort lo colpì di nuovo con l’Imperius: uccidilo! Vendicati di tutto il male che ti ha fatto! Per averti tarpato le ali, ingannato e sfruttato: uccidilo!

La mano di Piton che reggeva la bacchetta cominciò ad alzarsi: la sua mente annebbiata cercò freneticamente una ragione per non farlo, ma non ne trovava, ma doveva esserci…

Il braccio si alzò, pronto a scagliare l’incantesimo di morte.

Perché non doveva farlo? Perché?

- Avada… - il polso ruotò.

Era tutto vero!! Tutto vero!!

- ..Ke…

PERCHÉ LUI NON PERMETTEVA A NESSUNO DI DIRGLI COSA FARE!

Il braccio si fermò, l’incantesimo si spense inesploso.

- NO!

La fatica per fermarsi era stato oltre le sue forze: la testa ruotava vorticosamente, gli occhi non riuscivano più a mettere a fuoco.

Dietro di lui Voldemort fumava dalla rabbia.

- CRUCIO!!

Il dolore esplose nel corpo di Piton squarciandolo in ogni sua fibra e Piton urlò, urlò come non aveva mai fatto, mentre cadeva a terra contorcendosi spasmodicamente.

Potter chiuse gli occhi e scoppiò a piangere: c’erano stati giorni in cui avrebbe voluto esattamente questo, prima di provare sulla propria pelle cosa volesse dire la maledizione! Adesso voleva che finisse.

 

Quando Voldemort smise Piton non pensava più niente: la coscienza era stata completamente annullata, la mente, già esausta, aveva semplicemente smesso di funzionare e Piton, ora, galleggiava in un mondo irreale, completamente inconsapevole del mondo esterno.

Il Signore Oscuro abbassò lo sguardo sul corpo esanime del mago, gli occhi aperti ed offuscati.

- IMPERIO!! UCCIDI SILENTE!

Il corpo di Piton si alzò, impugnando la bacchetta: dietro lo sguardo opaco non c’era più una volontà che lo potesse fermare.

Il braccio si alzò di nuovo, resto sollevato un attimo e poi…

 

Il corpo di Piton scivolò a terra, la bacchetta rotolò lontano dalla mano semiaperta e gli occhi si chiusero.

Uno dei Mangiamorte si girò per individuare da dove poteva essere partito un attacco, ma a parte i lupi mannari accovacciati vicino all’ingresso, non c’era nessuno.

Voldemort guardava perplesso il corpo immobile del mago, adesso completamente esangue e immobile.

L’altro Mangiamorte si avvicinò e gli sollevò il polso sinistro per sentire il battito, restò qualche attimo in ascolto, mise un dito davanti al naso di Piton.

- È morto! Non c’è battito, né respiro!

 

Il Signore Oscuro guardò stizzito il corpo steso di fronte a sé, senza vita: aveva riconosciuto l’odore della pozione Vitae, quando si era avvicinato a Severus, ma sperava che il suo corpo avrebbe retto fino alla morte di Silente: sarebbe stato divertente!

In un impeto di rabbia fece levitare il corpo di Piton e poi lo scagliò contro la vetrata della Grande Sala.

Il corpo infranse i vetri istoriati, cadendo fuori, sopra il tettuccio della rimessa delle scope da Quidditch, dove rimase scomposto, in attesa di diventare cibo per i corvi.

 

                          [CONTINUA]