VELE LONTANE

 

 

Quelli dell’assistenza sociale mi hanno sempre detto che non conviene abitare sotto i ponti, perché a lungo andare il silenzio uccide.

Così un giorno mi hanno presa, chiusa in un asilo per poveri, lì mi guardavano come una rognosa, a malavoglia mi lavavo, dovevo fare tutto quello che  chiedevano, pena, la segregazione in camerata. Da lì sono riuscita a scappare una mattina,  fatta colazione, me la sono svignata, proprio mentre il portinaio cercava di scovare un ragno nero da un buco della porta d’ingresso,  ho corso come una lepre per un bel po’,  ma nessuno mi ha cercata, almeno così sembra.

Così avevo fatto anni prima, quando me ne ero andata  dalla casa di mia madre, a causa di un suo amico che non mi dava pace, e non ti dico che schifo.  Allora frequentavo le  superiori, tutti si aspettavano che diventassi avvocato, proprio come mio padre, sparito da tanto, che neanche ricordavo più la sua faccia; in realtà di me se ne fregavano tutti, ed io di loro, così, che valeva restare?

Dopo era stato il turno di  mio marito, buono quello!  Tante privazioni, calci in bocca tutte le volte.

Poi, un giorno di pioggia, t’ho visto alla stazione della metropolitana,  passeggiavi tra un lerciume di smog, quando mi hai parlato,  è stato come se  avesse sorriso improvvisamente il cielo, ero felice, ho giurato a me stessa che non t’avrei mai più lasciato, da allora ti ho seguito, spiato, mi nascondevo perfino dietro gli alberi se  capivo ch’ eri stufo delle mie attenzioni, restavo lì per ore, fino a quando non mi chiamavi. 

Ora sono qui, sotto questo viscido ponte, dove arriva anche il fetore dei gas di scarico, è buio, sono tanto sola,  ma  non ho paura perché ti penso, dove sarai in quest’istante?

Ho tanto bisogno di te, vorrei che fossi qui, vicino a me, per te farei tutto, m’è indispensabile la tua approvazione, ma tu mi cerchi solo quando ti servo, così soffro peggio d’un cane randagio.

Spesso zoppico,  cammino a stento anche per farti pena, perché almeno mi guardi qualche volta,  ma da te ci rimedio solo una smorfia tirata,  di sufficienza; ci sono giorni di gelo che le mie ossa sembrano staccarsi, sbriciolarsi tra  loro, allora grido dal  dolore, pure di rabbia,  d’amore per te.

E tu, menefreghista che non sei altro, ogni giorno  a pavoneggiarti, a strusciarti con le altre, a stirarti  quella giacca lisa, stentata, a pisciare in ogni angolo, che spesso mi bagni anche la coperta dove dormo; mentre  io a saltellare  per farti ridere, a prostituirmi alla stazione per mille lire, con una strizza che non ti dico, che nemmeno immagini, perché tu possa andare all’osteria.

Poi capisco che per te non sono altro che uno zero, proprio uno zero tondo,  e mi mordo la lingua, urlo  dalla stizza.

Questa sera, in un posto così lurido, penso a noi, alla nostra vita, alla mia che pare bella quando ti vedo.

Ora voglio cantare,  ho la voce rauca per le cicche che rimedio,  e per qualche bicchierino che mando giù per consolarmi,  canterò la tua disfatta, ho deciso che farò per sempre a meno di te,  ingrato che non sei altro,  che non ricordi le volte  che ti portavo la minestra della Caritas, preoccupata se non stavi bene,  di quando ubriaco mi sputavi in faccia,  e io, sempre zitta per non dispiacerti.

Dirò una filastrocca, sottovoce, quella che una volta mi cantava la nonna per farmi dormire: ”Fate la nanna coscine di pollo, fate la ninna, fate la nanna”, allora ero tanto piccola, una bambina; anche ora mi sento piccina piccina, accovacciata  sotto questi cartoni, qualche coppietta passa, non si accorgono di me, non mi vedono, sono  invisibile, non esisto, meglio  così !

Tra un mese sarà primavera,  non vedo l’ora, così potrò scaldarmi al sole sulle panchine; però che freddo! Sono tutta gelata, le unghie, le dita non riesco più a muoverle, come corrono quelle nuvole davanti alla luna, così chiare, sembrano vele lontane, che bello sarebbe poter andare con loro !

Guarda, le stelle,  non mi ero mai accorta che fossero tante, che luce ! Chissà se lassù, come dice sempre la suora dell’ospedale, c’è qualcuno che mi guarda, magari mi ama,  ciao Qualcuno,  se mi senti  fatti vivo.  E quella stella? Sembra di latta lucente, come sull’albero di Natale d’un tempo.

Come ti spandi stella, ti moltiplichi, pulsi, rombi così forte nella mia testa, che è un dolore che non sopporto! Mi si chiudono gli occhi, mi gira tutto, non voglio pensare, non m' importa più di nulla, mi sento stordita, addio amore senza misericordia, vomito sul tuo ricordo, ci piscio anche sopra, ecco !

Ho tanto freddo, tanto.  adesso dormo,  dormo, e basta.