NORMA CORROTTA

 

AUTRICE: MARIACARLA

CENSURA: v.m.18

PAIRING: Voldemort-Piton

 Note: buona parte dei personaggi sono della Rowling!                    

 

 

     Il fuoco al centro del circolo di uomini ammantati di nero crepitava e scintillava, illuminando in maniera spettrale i convenuti. I loro volti erano nascosti, le loro coscienze sepolte sotto metri e metri di azioni criminose e nefaste. Dall’ombra, tra gli alberi secchi e morti, provenne un grido, una voce supplicante, sempre più forte, come di un uomo che stesse implorando di essere lasciato. Una voce femminile e quella di un bambino riecheggiarono insieme a quella dell’uomo, supplicando, implorando ancora.

Un manipolo di incappucciati trasse dal buio tre figure tremanti, e diversi colpi luminosi, sparati da bacchette magiche impietose, sospinsero brutalmente i tre esseri umani al centro del gruppo di maghi malvagi. La famiglia McKinnons al completo era stata torturata e poi portata a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato:Voldemort.

Alban McKinnons guardò gli uomini che aveva davanti, e sentì che non avrebbe avuto la forza di alzarsi in piedi, sentì dietro di sé l’ansimare della sua giovane moglie, ed il pianto sommesso del bambino. Chi era Voldemort? Chi era la bestia che gli stava facendo questo? Alla luce tremolante del fuoco, tra i rumori della foresta nella notte, il consesso dei maghi ammantati di nero somigliava ad un convivio di demoni scappati dall’inferno, e dalle più orrende fantasie.

“ Dove sei Voldemort? Fatti vedere…lascia libera mia moglie e mio figlio, ti prego! ”

Una risata fredda ed acuta risuonò, ma da dove? Alban si girò a destra ed a sinistra senza capire.

“ Non c’entrano niente, loro! Non sanno nulla…non gli ho detto nulla! Non sanno il nome della spia al Ministero, lo giuro! ” McKinnons tossicchiò e si premette una mano sul ventre dolorante per i colpi che gli erano stati inferti. La mano di sua moglie premuta contro la spalla gli fece pesare ancora di più l’impossibilità di agire.

“ Ti prego, uccidimi, ma lascia loro! ”

Ancora la risata demoniaca…da dove veniva? Era una voce senza corpo? Da quale volto coperto da quale cappuccio, da chi?

“ Dolohov, liberati del figlio. ”

Alban sentì la voce e non comprese, non subito. Qualcosa dentro di lui disse che no, non era possibile. Ma poi gli occhi registrarono il lampo verde, e l’udito le grida disperate di sua moglie.

“ Terentio… ” mormorò, incapace di dire o pensare altro. Ma Terentio non rispose. Terentio non c’era più.

“ Nott, tieni fermo lui. ” due braccia robuste lo tirarono su, e si trovò a fissare dall’alto in basso la giovane Klara che piangeva china sul bambino.

“ Mi dicono che la maledizione Crociatus non ha effetto su di te, non troppo. Hai resistito. Mi dicono che ami tua moglie, ecco, ho trovato il modo di farti soffrire più che con una semplice maledizione! ”

Ancora la voce…non finirà mai? Pensò McKinnons e chiuse gli occhi.

“ Deve guardare! Travers… ”

Alban aprì gli occhi, solo per vedere un incappucciato con un coltello che lo fronteggiava. Vuole uccidermi, pensò, ma una frazione di secondo dopo stava gridando con tutte le forze residue, per le palpebre che non aveva più, per il rivolo di sangue che gli colava sugli occhi. Il dolore era più di quanto potesse sopportare, e sua moglie gridava con lui, supplicando di lasciarlo andare. Sentiva il mondo che si allontanava, sentiva sé stesso veleggiare verso un posto diverso e sperò che fosse migliore.

“ Deve guardare! Deve restare vigile! ”

La voce…via…vai via…via. Ma alcune parole sussurrate da qualcuno, vicino alle  sue orecchie lo riportarono alla realtà, crudele ed orrenda, al lucido dolore, fisico e mentale. E questa volta non c’erano più palpebre da serrare per non dover guardare. Adesso Voldemort gli aveva aperto definitivamente la vista sull’orizzonte di sofferenza e disperazione.

“ Mulciber…lascia che lei impari cosa vuol dire essersi opposta a me. E tu, Nott, assicurati che lui segua ogni cosa. ”

Alban McKinnons pensò che se avessero ucciso sua moglie sarebbe stato un bene.

Ma l’incappucciato chiamato Mulciber non la uccise, non subito. La sottopose ad un genere di tortura molto più crudele di quelle che potevano essere inflitte con le arti magiche. Alban vide la testa bionda di Klara premuta contro la terra nera ed umida della foresta, mentre l’uomo sopra di lei le strappava la veste e la costringeva ad aprire le gambe. Klara gridò, una, due, tre, dieci volte. Poi rimase zitta, piangendo in silenzio, persa in qualche luogo della mente dove nulla più poteva ferirla. Ma in qualche modo una parvenza di cognizione di sé doveva scuoterla ogni tanto, quando i movimenti di Mulciber fuori e dentro di lei diventavano più violenti, straziandola.

“No…No…” disse McKinnons, ma non aveva più voce, e le parole rimasero dentro la sua bocca, gridate eppure silenziose.

Mulciber si alzò, e sputò sulla cosa incosciente e sanguinante che era stata la giovane Klara McKinnons, e la voce senza corpo rise. Solo che adesso aveva un corpo, e i suoi occhi rossi scintillavano malignamente, e si rallegravano per la disperazione che era stampata sulla faccia mutilata del giovane Alban. Il mago sollevò la testa e vide una mano pallida che lo accarezzava. “ Ora puoi morire. ”  disse Voldemort, ed arretrò un poco. Dal gruppo degli incappucciati ne venne fuori un altro, che estrasse un coltello e lo infilò nel ventre di McKinnons. Il giovane mago abbassò lo sguardo e vide la punta dentata dell’arma che veniva rigirata nel suo stomaco, mentre il sangue sgorgava a fiotti. Non sentì nulla in realtà, e prima di morire tentò di scostare il cappuccio dal volto del suo assassino. L’ultima cosa che vide fu una faccia giovane quanto la sua, due occhi neri luccicanti e delle labbra tirate in una specie di sorriso cattivo. E’ giovane pensò, precipitando definitivamente nel sonno della morte, è giovane come me…e mi ha ucciso.

“ Andate, mia famiglia! Andate e portate il mio annuncio! ”  Voldemort rise ancora, senza allegria, senza sentimento, mentre i maghi oscuri sparivano ad uno ad uno nel buio.

Rimase a fissare il fuoco che ardeva ancora nel braciere, e fece un cenno all’uomo che era rimasto con lui.

“ Avvicinati! ”  disse  “ Vieni vicino al fuoco. ”

Il mago avanzò a testa china. Voldemort si girò piano, e i suoi occhi rossi dardeggiarono.

“ Perché sei rimasto? ” chiese, ed il giovane sussultò, come se quella domanda fosse del tutto fuori luogo. Il Signore Oscuro gongolò, conscio del potere che esercitava sul ragazzo.

Il mago che aveva ucciso a sangue freddo McKinnons, aprì la bocca come per rispondere, ma una vampata di calore lo bloccò, mentre la lunga mano di Voldemort gli risaliva lungo una gamba.

“ Tu vuoi che io ti insegni…non è vero, Severus? Vuoi apprendere ancora altro sulla magia nera… ”

Il giovane Mangiamorte ingoiò a vuoto, e fece segno di si, mentre Voldemort continuava a giocare con lui, con la sua anima e con il suo corpo.

“ Allora sai che dovrai restarmi fedele…vero? Io ti insegnerò, ma poi dovrò accertarmi che tu non desideri altro che servire me. ”

Il giovane Piton trattenne il fiato, mentre i rossi occhi del suo Signore si fissavano nei suoi, e scintillavano di una luce gelida, mentre si avvicinavano…

Severus serrò gli occhi, e tentò di non pensare a nulla, di astrarsi, mentre assaggiava il sapore metallico della bocca di Voldemort, lo stesso sapore del sangue fresco. E poi avvertì un brivido, nel momento in cui si smaterializzavano. Verso dove? Lo sapeva, ma non voleva ricordarselo.

Dai bracieri saliva un fumo denso e dall’odore stordente, Severus Piton, con il viso premuto sui cuscini, lo fissava, mentre riempiva la stanza di pietra, e lo faceva ad occhi socchiusi, immemore del proprio corpo, immemore della propria anima. Sentiva dall’altro lato Voldemort muoversi, lo sentiva mentre il tessuto della tunica frusciava sul suo corpo, mentre si ricopriva. Poi lo sentì nuovamente mentre si avvicinava, e il suo fiato sul collo gli diede l’idea di quello di una belva pronta a colpire.

“ Mi sei piaciuto…quando hai ucciso Alban McKinnons: il modo in cui la punta del tuo coltello penetrava dentro di lui…beveva il suo sangue, vibrava e gli portava via l’anima… ” il Signore Oscuro ridacchiò sommessamente  “…Mi ha eccitato. Ho desiderato anche io affondare il coltello… ”

Piton non rispose, diviso tra il desiderio di fingere di dormire, e quello di afferrare la tunica e correre via.

Improvvisamente delle sensazioni estremamente sgradevoli affioravano a torturargli l’anima, a ricordargli che, dopotutto, aveva un anima. E che, ora lo cominciava a capire, il potere aveva un prezzo forse troppo alto. Il viso di McKinnons, l’immagine della giovane Klara tra le mani di Mulciber lo scossero…e un pensiero orrendo balenò nella sua mente: la tortura di quanti fantasmi dovrò sopportare, alla fine della mia vita?  Non ho già abbastanza potere e conoscenza da poter essere considerato superiore a molti, alla maggior parte di noi? E allora perché…perché ho storpiato, piegato, snaturato la mia sete di conoscere, di sapere, fino al punto di diventare quello che adesso cerco di nascondere a me stesso…

Rigirò piano la testa, e fissò Voldemort che attraversava la stanza, a grandi passi, come un uccello notturno, rapace e pronto a colpire.

Vele la pena dimenticare di esistere, e solo per…solo per…nulla, alla fine, nulla.

Guidato dall’impulso si drizzò a sedere, e le lenzuola scure scivolarono sul suo corpo, scoprendolo voluttuosamente. Voldemort si voltò, e sorrise senza gioia.

“ Ti aspetterò nel mio sotterraneo, questa notte. Per compensarti della tua fedeltà. Adesso vai, e chiamami i Lestrange. ”

Piton provò un moto omicida. Mentre il Signore Oscuro si voltava, forse poteva ucciderlo, forse poteva liberare sé stesso e gli altri…ma no. Non era il modo. Non era il tempo. Uccidere adesso e così non sarebbe stato giusto: non si sarebbe mai liberato, se non avesse prima rimosso dalla sua anima ogni singola particella della crudele magia di Voldemort che lo soggiogava. Si alzò, si rivestì, e scivolo via, senza parlare.

Voldemort rimase solo. Attraversò la stanza, andando avanti ed indietro, nervosamente, per un po’.  Si immobilizzò, e fissò il pavimento, poi lentamente alzò lo sguardo su uno specchio. Era un oggetto molto bello, antico e riccamente decorato, il Signore Oscuro vi si avvicinò: aprì la mano dalle lunghe, pallide dita, e la poggiò piano sulla superficie fredda e riflettente, e guardò il suo volto. Non era un volto più umano di quello di un serpente…gli occhi rossi, come enormi ferite aperte nella pelle bianca, il naso piatto, e la bocca che si allargava come un taglio. Voldemort indugiò, indolentemente, sul suo aspetto, e poi, senza più vedere, si perse nei suoi pensieri. C’era stato un tempo…un tempo…quando? Voldemort sorrise sommessamente e scacciò il senso di torpore che si impadroniva del suo corpo immobile. Il riflesso del letto scomposto alle sue spalle lo fece riscuotere: non c’era stato amore…né desiderio, né altro sentimento, né buono né cattivo. Non c’era niente. Non c’era più nulla nel suo cuore. Soltanto…il desiderio sordo di essere colui che veniva venerato, rispettato, servito. Voldemort voleva fare paura, tutto qui.

Il Signore Oscuro allontanò la mano dallo specchio, e poi la calò pesantemente, mandandolo in frantumi. Guardò il palmo della propria mano, squarciato da grosse schegge di vetro. Il sangue scivolava dalle ferite, macchiando il pavimento. Era sangue scuro, denso…diverso da quello di qualunque altra creatura vivente. Voldemort inclinò la testa, affascinato ( o forse, inconsciamente, da qualche parte dentro di sé, rammaricato ) dallo spettacolo della carne e della pelle che si rigeneravano, richiudendosi, mentre i pezzi dello specchio cadevano, sospinti fuori dalla spinta della magia che lo rendeva invulnerabile, immortale.

Il rumore dei colpi sulla porta lo distolse dalla contemplazione di sé. I Lestrange, marito e moglie, entrarono nella stanza, e si chinarono a baciare la veste del loro Signore. La donna intravide lo specchio in frantumi, e la macchia di sangue, ma non disse  nulla, chinò la testa ancora più profondamente, come se si trovasse davanti ad un mistero troppo grande per essere compreso. Voldemort si sedette e restò zitto ad ascoltare la lista dei prossimi crimini da compiere…omicidi, violenze, ricatti. Pregustò il sapore della paura che avrebbe scosso il mondo. Ora saprete chi sono…si disse…ora non potete ignorarmi. Adesso non c’è nessuno che mi possa abbandonare…ma questo pensiero lo sconvolse, e congedò rapidamente i Lestrange. Il Signore Oscuro rimase, contrariato da sé, seduto, con lo sguardo perso nel buio.

E il pensiero, del tutto inconsapevolmente, tornò a Severus Piton, giovane mago che sarebbe stato molto potente, un giorno, non appena avesse finito di apprendere…

Voldemort aveva trovato un’occupazione interessante: insegnare. Certo, non avrebbe mai rivelato completamente il mistero che circondava il suo essere, ma poteva comunque addestrare un discepolo, perché diventasse il suo braccio destro.

Ma come Voldemort dava, così prendeva. E da Piton, in cambio, voleva l’anima, ed il corpo. Senza amore, senza desiderio, senza passione, senza affetto, senza odio. Voleva l’anima…solo per estinguere la sua sete. Voleva le anime di tutti…di tutti quelli che gli erano vicini, perché non lo potessero tradire, perché fossero definitivamente suoi. Severus Piton era solo uno dei tanti…uno dei tanti. Davvero? Eppure c’era stato un tempo…c’era stato un tempo…

Severus Piton attraversò rapidamente il cortile della dimora del suo Signore, e, perso nei suoi pensieri non vide Lucius Malfoy che, poggiato ad una colonna, lo aspettava.

“ Severus! ”

Piton alzò la testa  “ Lucius… ”

“ Sei stato dal Padrone? ”

Severus assentì, e fissò l’amico negli occhi.

“…Capisco. ”

Il giovane mago fece per andarsene, ma venne trattenuto ancora.

“ Ti ha insegnato qualcosa di nuovo? ”

“ …Stasera, credo. ”

“ E’ un grande onore. ” C’era nella voce di Malfoy una sfumatura sarcastica, pungente.

Piton non rispose, ma riprese a camminare, e poi sentì i passi di Lucius che lo seguiva.

“ E’ un grande onore…ne sei soddisfatto? Sei felice, Severus? ”

Il mago si voltò bruscamente, fronteggiando l’amico  “ Ma cosa vuoi, Lucius? Cosa vuoi da me? Non c’è nulla che io possa darti… ”

Malfoy aprì la bocca, ma non disse niente.

“ Dovresti pensare a Narcissa. ” mormorò Severus, e si allontanò.

Piton raggiunse il chiostro ( in quel momento Voldemort aveva eletto a sua dimora un vecchio monastero abbandonato ), e si sedette sul bordo di un pozzo, afferrò un sassolino e lo lasciò cadere, aspettando che facesse rumore, entrando nell’acqua.

Ma il rumore che sentì fu solo quello della pietra sbattuta su altra pietra. Non c’era acqua, il pozzo era prosciugato da tempo. Severus chiuse gli occhi, e sentì crescere dentro di sé una forza nuova. Quando viene il momento di spezzare una catena è sempre una cosa difficile, qualche volta ci si dice che sarebbe meglio aspettare domani, perché domani si sarà più forti di oggi. Ma Piton sapeva che non si è mai più forti di quanto lo si possa essere oggi, e che le speranze per domani sono inutili, irreali, se non si comincia a vivere oggi. Prese la bacchetta magica e la puntò verso il fondo del pozzo, mormorò il suo incantesimo, e l’acqua scrosciò, fino a riempire, dopo molto tempo, il pozzo che si era prosciugato.

Lucius Malfoy fissò l’uomo seduto a pochi metri, immerso nella contemplazione dell’acqua che adesso riempiva il vecchio pozzo. Lucius Malfoy era un altro tra gli uomini che conoscevano l’abiezione. Ed era sceso fino in fondo nella scala della perversa malvagità che gli aveva insegnato il suo Signore, e solo per salire fino ai vertici del potere che, molto presto, sarebbe stato instaurato secondo la volontà di Voldemort.

Lucius non amava. Lucius desiderava. Lucius vedeva Severus Piton e desiderava essere come lui, abile e scaltro, e soprattutto favorito dal suo Signore. E desiderava Piton stesso, perché Severus era anche il ricordo di un tempo passato…un tempo andato al quale non sarebbe tornato, ma che anelava lo stesso ricordare. Quando la sua anima non era ancora piegata e corrosa dall’ambizione…c’era stato mai quel tempo? Si. E ricordava le lunghe giornate chino sui libri con il compagno di sempre, con Severus. E nella follia della sua anima vuota immaginava che possedere in ogni senso l’amico, come in un rituale di cannibalismo, sarebbe stato come avere ancora dentro di sé il passato. Lucius Malfoy non aveva inclinazione per l’osservazione indolente della natura, ma ogni volta che lo sguardo gli si posava su qualcosa di bello ( come su un fiore appena sbocciato, con i petali carnosi aperti, ed il voluttuoso profumo che si spandeva nell’aria,  in un trionfo di colori ) desiderava cibarsene: provava l’irresistibile desiderio di nutrirsi di tutto ciò che riusciva a rendergli la capacità di provare un sincero piacere, o una sommessa felicità…in un disperato desiderio di appropriazione, di inglobazione. Perché nel vuoto desolante nel quale si era volontariamente precipitato, ogni particella di luce diventava una cosa talmente preziosa da non potersi lasciare sfuggire. Ma non sapeva che un simile desiderio aveva soltanto il potere di rendere infelici, e di uccidere ogni singola speranza. Probabilmente se il desiderio di Malfoy, di possedere Piton, anima e corpo, fosse stato esaudito, non sarebbe rimasto di quel distorto amore neppure più l’ombra.

Severus Piton respirò profondamente l’odore dell’erba umida e, conservando nel ricordo l’ultima immagine del pozzo colmo d’acqua, si incamminò verso le sale interne del monastero. Il cammino sino al sotterraneo dove era rintanato Voldemort era terribilmente lungo, ora più che mai.

Piton si fermò un istante ad osservare il marchio nero impresso a fuoco sull’avambraccio sinistro. Sollevò la manica della tunica, e percorse con gli occhi il complicato e pulsante disegno…simbolo della sua appartenenza. Per quanto potesse andare lontano, quel marchio era sempre con lui, e sarebbe rimasto lì per sempre, a meno che Voldemort non fosse stato cancellato per sempre dalla faccia della Terra.

Lasciò scivolare il tessuto liscio e scuro sulla pelle, e rabbrividì al pensiero del tocco del suo Maestro.

Piton continuò ad avanzare tra i corridoi di pietra, e, prima che gli occhi potessero vedere, avvertì il sommesso pianto di una donna. Scivolò lentamente e silenziosamente alle spalle di Andromaca Lestrange, e le poggiò una mano sulla spalla. Andromaca smise di singhiozzare e raddrizzò la testa, con il contegno di una regina.

“ Severus. Il Maestro ti attende… ”

“ …Sono io che attendo Voldemort, Andromaca. ”

La donna girò la testa, scotendo la lunga e lucente chioma corvina, con un guizzo di luce negli occhi scuri.

“ Tutti noi aspettiamo Voldemort, Severus… ”

“ …Si. Capisco. ”

“ Attendiamo il tempo in cui lui ci raggiungerà. Adesso…vi sono questioni troppo grandi perché egli possa distogliersi dalle sue occupazioni solo per noi. ”

“ Soltanto che, Andromaca, a furia di aspettare c’è la possibilità di non arrivare da nessuna parte. E tu lo sai… ” Piton poggiò gentilmente la mano sulla testa della donna, e lei sospirò profondamente.

“ Ne vale la pena? ”

Lei fissò i suoi occhi accesi di luce in quelli del mago, e disse piano “ Si… ”

“ Perché? ”

“ Non c’è una ragione. Non una che io possa dirti, così, su due piedi. Ma tu sai…perché. ”

“ Eppure…sarai soltanto tu a perdere in questo gioco. ”

La donna si alzò, ed una lacrima scivolò a rigarle la guancia  “ Lo so. ”

Piton tornò a scivolare nell’ombra, fino ad una feritoia aperta in un massiccio muro di pietra, allora si affacciò, e guardò il cortile del monastero da una nuova prospettiva. Nell’angolo più lontano e nascosto c’era una grossa aiuola, che, al contrario di tutte le altre, era brulla. Nessuno dei fiori che vi erano stati piantati era cresciuto. Severus immaginò gli uomini di un altro tempo che si chinavano a seminare ed annaffiare quel terreno con cura ed amore; ma i fiori non erano mai sbocciati. Quei fiori non erano fatti per poter mai sbocciare, né in primavera, né in inverno. Si guardò alle spalle e pensò ad Andromaca Lestrange; forse a lei sarebbe bastato essere tra le braccia di Voldemort, anche senza essere mai amata… perché lei avrebbe continuato, comunque, ad amare lui…eppure, tra tutti, Andromaca era proprio l’ultima persona che il Signore Oscuro avrebbe desiderato soggiogare in modi diversi da quelli che già aveva utilizzato, forse perché era la sola che non lo avrebbe tradito mai, ne era certo: come una madre non lo avrebbe tradito. Piuttosto sarebbe morta, o avrebbe accettato una prigionia senza termine, immersa nella follia e nella disperazione.

Una voce allegra riportò bruscamente il mago alla realtà. In quel posto, in quel momento, una voce allegra era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di poter ascoltare.

Barthy Crouch jr. gli sorrise, percorrendo il corridoio velocemente. Alla luce delle torce, i capelli biondi del ragazzo scintillarono. Crouch era biondo come Malfoy, e forse gli somigliava anche un po’…eppure ad un occhio attento non sarebbero sfuggite le differenze enormi tra quei due. Persino la sfumatura dorata dei loro capelli era diversa: simile alla luna ed argentea quella di Malfoy, simile al sole quella di Crouch. Quanto Lucius era sottilmente ambiguo, tanto Barthy era limpido nella dedizione totale al suo Signore. Sarebbe ammirevole, pensò Piton, se non avesse le mani coperte di sangue…come me.

“ Il Signore ti attende! ” disse amichevolmente il ragazzo.

“ Già… ” come era strano…quella che per Andromaca era l’attesa di Voldemort, per Barthemius diventava l’attesa di loro. Qualche volta era Voldemort ad essere atteso, qualche altra volta era colui che attendeva.

“ Complimenti Severus! Ho visto come uccidevi McKinnons…sei stato abilissimo. Non c’era bisogno della magia per bere il suo sangue…hai fatto bene. ”

Un sottile senso di nausea fece sobbalzare Severus. E il peso del coltello che il Maestro gli aveva regalato e che portava appeso alla cintola, gli sembrò insostenibile.

“ …Grazie, Barthy. Hai detto che Voldemort mi attende? ”

“ Si. E’ vero…vai! Perdonami se ti ho trattenuto. Non ci pensavo…non dobbiamo far aspettare il Signore, è già così buono a sopportare la nostra limitatezza. ”

Severus annuii e proseguì, mentre il ragazzo faceva la strada inversa. Piton si voltò un attimo, era solo metafora dire che stavano percorrendo la stessa strada in senso inverso? O forse era Destino…Destino…forse era magia: una magia diversa da quella che aveva praticato sino ad ora.

Severus Piton si fermò davanti alla porta del suo Signore e Padrone. Alzò la mano per bussare, ma un improvviso senso di incompletezza lo dissuase dall’annunciare la sua presenza. Mancava un pezzo…un pezzo fondamentale. Severus si smaterializzò.

Le suole dei suoi stivali toccarono terra umida e morbida, e l’odore della resina degli alberi, misto a quello fragrante del vento gli disse che era giunto a destinazione.

Il bosco era deserto, e, poco distante, in un braciere gli ultimi frammenti di carbone si consumavano lentamente.

“ Lumos! ” disse il mago, e la punta della sua bacchetta si illuminò, rischiarando tutto intorno.

Severus Piton infilò la bacchetta nel terreno, e si inginocchiò. Lasciò penetrare le mani nella terra molle, come se le sue dita fossero radici, e restò fermo per qualche istante. Poi fissò il mucchio scomposto che stava poco lontano, e cominciò a scavare con le mani, incurante delle ferite e dei graffi che si procurava, incurante del fango che gli insozzava la veste.

Scavò per molto tempo, e quando ebbe davanti una fossa sufficientemente grande, quando sentì il sangue sotto le unghie e le braccia gli dolsero troppo per continuare seppe di aver finito, e seppe anche che quello era la cosa più simile ad un nuovo inizio che avesse mai visto.

Per primo raccolse il corpo del piccolo Terentio, e lo sistemò sul fondo della fossa. Poi andò a bagnare nel torrente vicino il mantello, e ripulì dal sangue il corpo della giovane Klara; raccolse un ramo di un albero che i Druidi collegavano alla vita eterna e lo pose tra le mani della donna, dopo averla distesa accanto al figlio. Infine, trasportò il corpo di McKinnons sul bordo di quella che sarebbe stata la sua tomba, e lo calò giù. Finse che le gocce cadute sul viso esangue del mago coraggioso che aveva ucciso fossero solo gocce di rugiada. Ma non furono che poche gocce: piangere vuol dire rassegnarsi. Ma non stava accadendo nulla che potesse essere chiamato rassegnazione.

Si rimaterializzò davanti alla porta di Voldemort, e la aprì, senza annunciarsi.

Voldemort si girò di scatto, e fissò i suoi occhi rossi in quelli neri del giovane mago che aveva davanti.

“ Mi hai fatto aspettare. Perché non hai bussato? ”

Piton si tolse il bellissimo pugnale che Voldemort gli aveva regalato dalla cintura, e lo lasciò cadere ai piedi del suo ex padrone.

“ Prendo congedo. ”  si girò sui tacchi e fece per andarsene, ma il Signore Oscuro lo afferrò per le spalle e lo attirò verso di sé.

“ Eh, no! Dove credi di andare? ”

Piton si ritrasse e fissò con odio Voldemort che ricambiò lo sguardo, sorridendo.

“ E così te ne vai…bene. Vattene. Ma poi sei sicuro di poter vivere lontano da me? Appena varcherai quella porta non ci sarà più nessuno che si prenda cura di te. ”

“ Tu non ti sei mai preso cura di me! ” sbottò Severus.

“ Oh…si. Si, invece. Di te e di tutta la mia famiglia. Ogni vostro passo, anche il più piccolo, io lo ho vigilato con costanza; ogni vostra azione, ogni vostro pensiero…io vi ho dato tutto quello che vi serviva. Anzi, vi ho dato tutto ancora prima che voi lo voleste. ”

“ No! Tu hai solo fatto leva sulle nostre paure…che poi erano anche le tue. Tu ti sei servito di noi, e soltanto per te stesso. ”

“ Ti sbagli ancora una volta, Severus. Io non sono mai venuto a cercarvi. Siete voi che avete cercato me. ”

“ …No, non è così. E’ vero…tu rappresenti una forte tentazione, e ho sbagliato…e mi odio per tutto quello che ho fatto, ma adesso è finita. Adesso mi riprendo la mia vita, e decido io. Io deciderò dove andare e cosa fare. ”

Gli occhi rossi di Voldemort si ridussero a due fessure crudeli.

“ Così…hai cambiato idea in due ore, Severus? Pensavo che fossi stato tu ad uccidere McKinnons, poco fa. Io non ti avevo chiesto di ucciderlo, non ancora. ”

Piton guardò il muro davanti a lui, oltre Voldemort.

“ Allora? Che dici? Non è stato piacevole uccidere? Non eri lì poche ore fa? ” ed indicò il letto   “ Non volevi che ti insegnassi? O tutto ad un tratto ti è sembrato che questo fosse turpe e peccaminoso? ”

Piton scattò rabbiosamente in avanti, ma poi si immobilizzò “ Io me ne vado. E’ finita: inutile cercare una ragione… ”

“ No. Tu resterai qui. Tu devi restare! ”

“ Me ne vado. ”

“ Io ti ucciderò…se te ne vai. ”

Piton guardò intensamente Voldemort.

“ Non mi ucciderai. Adesso non puoi…io non posso morire, non ora. Se io morissi…chi vivrebbe per i McKinnons, e per tutti gli altri? ”

Voldemort afferrò rapidamente il giovane mago, e stringendogli le mani attorno al collo lo attirò così vicino da poterlo baciare.

Strano, pensò Severus, questa volta non ha il sapore del sangue…per la prima volta colui che è chiamato il Signore Oscuro mi sembra un uomo come me.

Piton si staccò è si diresse senza voltarsi verso la porta.

“ Severus! Se te ne vai…è perchè io ti permetto di andartene! Non te ne vai di tua spontanea volontà, sono io che ti rendo la libertà. ”

“ Se credi… ”

Piton uscì rapidamente.

“ Ci rivedremo, Severus! Tu non mi stai abbandonando! Tu tornerai…implorerai di tornare… ”

Ma il giovane mago era già lontano.

Voldemort attraversò la stanza come una furia, e scaraventò la sua coppa preferita, colma di vino, giù dal tavolo, con il rantolo di una bestia ferita.

“ Tornerai Severus…ed io ti perdonerò. ”

Improvvisamente si rese conto di una cosa: la ferita che si era procurato sulla mano non era richiusa del tutto…una sottile linea rossastra attraversava il suo palmo, e Voldemort lasciò scorrere la lingua sul bordo sanguinolento. Socchiuse gli occhi, e poi si lasciò cadere sul letto, rapito dal sapore umano del sangue, del suo sangue.

C’era stato un tempo…pensò, un tempo…

Andromaca Lestrange uscì dal buio, dietro la porta rimasta aperta della stanza del suo signore. Scivolò alle spalle del letto, e si inchinò, raccogliendo con una mano il bordo nero della veste del mago, e portandoselo alla fronte e poi alla bocca.

Voldemort aprì gli occhi, e colse il luccichio dei capelli corvini della donna nel riflesso dell’unica lampada che illuminava la stanza.

“ Siediti, siediti qui. ” disse. E per la prima volta appoggiò la testa sulla spalla di un essere umano, in abbandono.

Andromaca Lestrange fece un cenno verso la porta che si richiuse. “ …Perché non veda nessuno. Perché tu possa essere felice, mio Signore, una volta, e senza mentire a nessuno. Piuttosto che parlare di qualunque cosa io possa vedere o sentire, mi ucciderò. E mai ti tradirò: io sopporterei di vivere l’intera vita nella peggiore delle prigioni, ma non ti tradirei. ”

Severus Piton attraversò di corsa il cortile, ignorando i richiami di Lucius Malfoy, e corse oltre il pesante portone dell’abbazia.

Respirò l’aria fredda della notte e si chiese cosa avrebbe fatto.

Cosa lo aspettava? Aveva diritto a qualcosa di buono, oltre l’abiezione che aveva conosciuto? Pensò di tornare là dove tutto era cominciato, e di cercare una risposta. O, no…di cercare una domanda. Piton sorrise, aveva cominciato a capire tutto improvvisamente: non erano le risposte ad essere importanti, ma le domande. E la sua vita cominciava soltanto adesso, ed era una vita importante…perché non apparteneva più soltanto a lui stesso.

Andromaca Lestrange uscì nella luce rosata dell’alba, e si sedette sul bordo del pozzo che era stato prosciugato. Sistemò i capelli sciolti in una crocchia sul capo; immerse le dita nell’acqua e si bagnò il viso. Poi si alzò per tornare dai suoi compagni, ma lo sguardo le cadde sull’aiuola più lontana, quella dove i fiori non erano mai sbocciati. Un fiore si stava aprendo, molto piano, nella luce del mattino, allargando i petali candidi a cogliere ogni raggio di sole. Quanto tempo quel seme era rimasto nella terra…pensò la donna, quanto prima di trovare la strada per rompere la superficie dura sopra di lui ed aprirsi nel sole? Si aggiustò il mantello, e si voltò per tornare verso il monastero, dimenticando di aver visto nella stessa aiuola un altro fiore. Un fiore notturno, fatto per vivere lo spazio di una sola notte…un fiore che moriva nell’alba.

              

                                                           FINE

                                                     by  Mariacarla