3. I principali inquinanti


3.1. Gli ossidi di azoto

Nel mondo vengono emesse annualmente circa 50 milioni di tonnellate di NOX e più del 90% è prodotto da processi di combustione (in impianti fissi, civili o industriali, e in sistemi di trasporto).

In zone ad alta intensità abitativa o industriale, e soprattutto in caso di condizioni metereologiche sfavorevoli, la concentrazione media giornaliera può raggiungere 0,4-0,5 ppm (cioè superare di 400-500 volte i valori medi di un’aria non inquinata).

Nei gas di scarico degli autoveicoli sono contenute quantità più elevate di monossido di azoto (NO) rispetto al biossido di azoto (NO2), il loro rapporto relativo è circa 95 a 5.

Solo successivamente in atmosfera l’NO subirà un’ulteriore ossidazione convertendosi in NO2. Tale processo è attivato dalla radiazione solare, si avrà quindi una maggiore concentrazione di NO2 in rapporto all’NO nei mesi estivi.

L’NO2 viene considerato come inquinante secondario poiché deriva dalla trasformazione in atmosfera subita dall’NO.

Per quanto riguarda le emissioni degli autoveicoli, si hanno emissioni maggiori a velocità costante e tanto più elevate quanto è elevata la velocità.

Il biossido di azoto è di colore bruno-rossastro e di odore pungente e soffocante, mentre il monossido di azoto è incolore ed inodore. L’NO2 è circa quattro volte più tossico dell’NO ed esercita il suo principale effetto sui polmoni provocando edemi polmonari.

Ad elevate concentrazioni si possono avere convulsioni e paralisi del sistema nervoso centrale, irritazione delle mucose e degli occhi, nefriti croniche.

Oltre agli effetti dannosi sulla salute dell’uomo, gli ossidi di azoto producono danni alle piante, riducendo la loro crescita, e ai beni materiali: corrosione dei metalli e scolorimento dei tessuti.

 

3.2. Il monossido di carbonio

Le concentrazioni di monossido di carbonio, così come quelle di idrocarburi incombusti sono direttamente correlabili ai volumi di traffico, infatti circa il 90% di CO immesso in atmosfera è dovuto ad attività umana e deriva dal settore dei trasporti. Vi sono comunque anche altre fonti che contribuiscono alla sua produzione: incendi boschivi, processi di incenerimento di rifiuti, combustioni agricole (ad esempio di sterpaglia) ed alcune attività industriali specifiche (industria petrolifera, fonderie).

Anche il fumo di tabacco, a livelli ristretti, costituisce una sorgente di inquinamento da monossido di carbonio. Il suo contenuto di CO può arrivare a 700-800 ppm e il livello di carbossiemoglobina (composto formato dall’unione del CO con l’emoglobina del sangue) in un fumatore raggiunge il 7% contro lo 0,5% di un non fumatore che vive in un’aria pulita.

Il monossido di carbonio è un composto inodore ed insapore e deriva da una combustione incompleta dei composti contenenti carbonio; in particolare la presenza di CO nei gas di scarico è causata da rapporti errati aria-combustibile, impurezze o additivi così che non si arriva all’ossidazione completa dell’atomo di carbonio (in condizioni ideali i prodotti della combustione dovrebbero essere unicamente acqua e biossido di carbonio).

Le emissioni di CO sono maggiori in un veicolo con motore al minimo o in fase di decelerazione e diminuiscono a velocità di crociera (60-110 Km/h) per poi aumentare nuovamente ad alte velocità.

Il monossido di carbonio va considerato inquinante primario a causa della sua lunga permanenza in atmosfera, che può raggiungere i sei mesi. Gli effetti sull’ambiente sono da considerarsi trascurabili mentre quelli sull’uomo sono estremamente pericolosi.

Questo inquinante, concentrandosi al suolo, costituisce una minaccia serissima per i bambini come pure per gli adulti affetti da anemia, inoltre minaccia lo sviluppo del feto e aggrava le malattie cardiovascolari. La tossicità è proporzionale alla concentrazione ed al tempo di esposizione.

La concentrazione di monossido di carbonio nelle città, a causa del traffico, è ben superiore a 0,1 ppm che costituisce il valore normale di un’aria non inquinata e non sono rare medie di 30-40 ppm nei centri cittadini, raggiungendo, per qualche secondo, valori di 150-200 ppm in zone dove barriere architettoniche (sottopassi o gallerie) impediscono la libera circolazione dell’aria.

Effetti patologici dell’ossido di carbonio


Concentrazione nell’aria (ppm)

Percentuale di carbossiemoglobina nel sangue

Effetti patologici

30

5

Primi effetti sul sistema nervoso: minore prontezza di riflessi

30-60

5-10

Effetti sulla respirazione; senso di affaticamento

60-120

10-20

Mal di testa, vertigini

120-190

20-30

Forte nausea

190-250

30-40

Perdita di memoria

250-375

40-60

Perdita graduale del controllo muscolare; difficoltà nel linguaggio

375-440

60-70

Convulsioni

440-500

70-80

Coma, la morte sopravviene dopo alcune ore

500-600

80-90

La morte sopravviene dopo tempi sempre più brevi di esposizione



3.3. Gli idrocarburi

Gli idrocarburi (composti formati da idrogeno e carbonio) vengono bruciati per ricavare energia dalle combustioni. Oltre che come combustibili essi vengono anche utilizzati come prodotti di partenza nell’industria chimica per ottenere medicinali, cosmetici e materie plastiche.

Anche alcune attività legate all’agricoltura e l’incenerimento dei rifiuti solidi sono altre sorgenti dell’inquinamento da idrocarburi.

I veicoli a benzina contribuiscono più degli altri alle emissioni di idrocarburi, essendo la benzina una miscela di idrocarburi semplici e molto volatili.

Negli autoveicoli le emissioni maggiori si hanno a velocità basse, mentre quelle minori a velocità comprese tra i 70 ed i 100 Km/h.

Complessivamente gli idrocarburi di origine umana immessi nell’atmosfera annualmente ammontano nel mondo ad un centinaio di milioni di tonnellate e solitamente la loro concentrazione nei centri urbani è mille volte superiore a quella misurabile nei boschi.

Gli idrocarburi interferiscono sui processi respiratori ed irritano gli occhi, mentre alcuni tra gli idrocarburi policiclici aromatici sono cancerogeni.

Il solo idrocarburo che eserciti un effetto dannoso sulle piante è l’etilene: esso rallenta la loro crescita interferendo con gli ormoni che ne regolano il metabolismo.


3.4. L’anidride solforosa

Una quantità significativa di questo inquinante è immessa in atmosfera da fenomeni naturali (es. esplosioni vulcaniche).

Lo zolfo è presente anche negli oceani e si libera in atmosfera attraverso la schiuma marina; precipita poi con le piogge depositandosi direttamente e venendo poi assorbito dalla vegetazione.

Nelle città, escludendo le emissioni industriali, la maggior sorgente di anidride solforosa è il riscaldamento domestico (perciò la concentrazione di SO2 nell’aria dipende molto dalla stagione e dalla rigidità del clima).

Circa il 70% dei quasi 130 milioni di tonnellate di SO2 immersi annualmente nell’aria proviene da combustioni in impianti fissi, mentre appare trascurabile l’apporto dato dai mezzi di trasporto.

Il petrolio, oltre agli idrocarburi contiene anche composti con atomi di zolfo che può arrivare fino all’1%.

Lo zolfo è invece praticamente assente nella benzina e contenuto in piccole quantità nel gasolio; l’olio combustibile si suddivide in olio a basso tenore di zolfo (Btz) e olio ad alto tenore di zolfo (Atz); mentre il carbone ne contiene una percentuale che varia dallo 0,5% al 2,5% e dipende dalla zona di provenienza.

La combustione negli impianti fissi, come le fabbriche e le centrali termiche per la produzione di energia immettono nell’aria una notevole quantità di biossido di zolfo (SO2), in quanto tali impianti utilizzano carbone o olio combustibile spesso ad alto tenore di zolfo.

Sull’uomo provoca principalmente irritazione dell’apparato respiratorio, possibili spasmi bronchiali ed in casi estremi bronchiti croniche ed enfisemi.

A parte gli effetti sulla salute dell’uomo, l’SO2 provoca l’ingiallimento delle foglie delle piante poiché interferisce con la formazione ed il funzionamento della clorofilla. L’effetto dannoso sulle piante è ancora più accentuato quando l’anidride carbonica si trova in presenza di ozono. Tale fenomeno si chiama sinergismo: con questo termine si intende che l’effetto di due sostanze, quando sono insieme, è maggiore della somma degli effetti delle sostanze prese separatamente. Il sinergismo si verifica di frequente negli episodi di inquinamento; per esempio l’azione dannosa di molti inquinanti è aumentata dalla presenza di particolato.

L’anidride solforosa provoca danni anche su alcuni materiali, aumentandone, ad esempio, la velocità di corrosione.

Inoltre il biossido di zolfo, combinandosi con il vapore acqueo, origina acido solforico (H2SO4), uno dei maggiori responsabili delle piogge acide.

Comunque oggi, in Italia, grazie all’impiego di combustibili meno inquinanti sotto questo aspetto, il biossido di zolfo è presente in concentrazioni talmente minime che il suo monitoraggio non risulta significativo.


3.5. Il particolato atmosferico

Tutti gli inquinanti presi in considerazione fino ad ora, sono, a temperatura ambiente, dei gas. Nell’atmosfera vi sono però anche delle microscopiche goccioline o particelle solide a cui viene complessivamente dato il nome di particolato atmosferico.

Esso può avere origine naturale (ad esempio la polvere sollevata dal vento, le emissioni vulcaniche, i fumi degli incendi delle foreste tropicali) o artificiale: circa 280 milioni di particolato (poco più del 10% della quantità totale immessa nell’atmosfera in un anno) sono di origine umana e sono emesse in zone limitate della Terra.

Le dimensioni del particolato sono molto variabili e possono andare da un millesimo di micron fino a qualche millimetro; le particelle di dimensioni minori di 0,1 micron vengono definite particelle di Aitken; quelle di dimensioni maggiori di 1 micron sono dette particelle giganti.

L’esperienza comune insegna che ciò che va in alto deve poi ricadere e ciò vale certamente anche per le particelle solide o liquide sospese nell’aria. Tuttavia l’aria esercita un effetto ritardante con una forza verso l’alto che è proporzionale alla velocità di caduta ed al raggio delle particelle. Inoltre il tempo di permanenza nell’aria dipenderà dalla natura dei venti e dalle precipitazioni. Le particelle più piccole possono rimanere nell’aria per molto tempo; alla fine gli urti casuali e la reciproca attrazione fanno ingrossare le stesse al punto da far loro raggiungere una velocità di caduta sufficiente a farle depositare al suolo. Oltre a questo meccanismo di deposizione a secco l’eliminazione dall’atmosfera avviene anche per effetto della pioggia.

Il particolato atmosferico può diffondere la luce del Sole assorbendola e riemettendola in tutte le direzioni; il risultato è che una quantità minore di luce raggiunge la superficie della Terra. Questo fenomeno può determinare effetti locali (temporanea diminuzione della visibilità) e globali (possibili influenze sul clima).

Inoltre la presenza di particolato favorisce la formazione delle nebbie, perché le particelle forniscono alle microscopiche goccioline che formano la nebbia nuclei intorno a cui condensarsi.

Il particolato provoca danni ai materiali, come la corrosione dei metalli, danneggiamento ai circuiti elettrici ed elettronici, sia per azione chimica che meccanica, insudiciamento di edifici e opere d’arte, ridotta durata dei tessuti.

La polvere (per esempio quella dei cementifici) può provocare sulle piante delle incrostazioni che interferiscono con il processo di fotosintesi, in quanto intercettano la radiazione solare.

Alcune particelle, per le loro piccole dimensioni (da 0,0002 micrometri a 10 micrometri), sono in grado di raggiungere gli alveoli polmonari dell’uomo apportandovi anche altre sostanze inquinanti (metalli pesanti e nitrati derivanti dalle combustioni, dai processi industriali e dall’agricoltura).

Esse possono provocare aggravamenti di malattie asmatiche, aumento di tosse e persino convulsioni, oltre agli effetti tossici diretti sui bronchi e sugli alveoli polmonari.

Poiché il particolato non è un gas, la sua concentrazione nell’aria non è espressa in ppm, ma si usa come misura la massa presente in un certo volume d’aria, generalmente i microgrammi per m3. Questa grandezza, in un’aria pulita, non supera i 10 microgrammi per m3, mentre nella maggior parte delle aree urbane raggiunge valori di un centinaio di microgrammi per m3 toccando punte di 2000-3000 microgrammi per m3 durante episodi di inquinamento eccezionalmente gravi.

Alcune delle sostanze inquinanti, come una parte del particolato, ricadono al suolo, dopo un tempo più o meno lungo; altre, come l’anidride carbonica, rimangono, almeno parzialmente, nell’atmosfera alterandone le caratteristiche. La maggior parte però prima di ritornare al suolo prende parte a una complessa catena di reazioni chimiche che le trasforma in sostanze a volte molto differenti da quelle di partenza. Dal punto di vista dell’inquinamento ciò è talvolta vantaggioso, perché le sostanze trasformate possono essere meno dannose di quelle emesse in origine; altre volte però accade il contrario: le sostanze che si formano in seguito alle reazioni atmosferiche sono più tossiche o irritanti di quelle emesse inizialmente.


Considerando complessivamente i cinque principali inquinanti, si nota che l’inquinamento emesso in maggiore quantità è quello da ossido di carbonio e, siccome esso proviene essenzialmente dai veicoli a motore e particolarmente dalle auto a benzina, è evidente che i trasporti sono responsabili da soli di più della metà dell’inquinamento globale.

Bisogna ricordare che non tutti gli inquinanti atmosferici presentano la medesima pericolosità: ad esempio, a pari quantità, la nocività degli ossidi di azoto è maggiore di quella del CO.