Chimica e laboratorio triennio

Prof. TROIANO Sergio

 

-POLIMERIZZAZIONE-

 

 

La polimerizzazione è un importantissimo processo chimico in cui unendo opportunamente molecole piccole, chiamate monomeri, si producono le macromolecole, chiamate polimeri. Ovviamente affinché i monomeri possano collegarsi tra loro, devono avere le valenze disponibili per formare i legami chimici.

Senza andare troppo sul dettaglio, sia perché, data la complessità, richiederebbe troppo tempo e sia perché l'argomento è trattato anche in altri corsi della Specializzazione di Chimica, possiamo suddividere i polimeri in omopolimeri e copolimeri. Gli omopolimeri si ottengono, se nella polimerizzazione, viene usato un solo tipo di monomero, mentre i copolimeri, si ottengono se si utilizzano due o più tipi di monomeri. Se i monomeri si succedono in modo casuale avremo un copolimero di tipo random, se si succedono rispettando in certo ordine avremo un copolimero di tipo alternato se i monomeri si alternano in modo ordinato, nella catena, avremo un copolimero di tipo a blocchi l'alternanza non si verifica per blocchi di monomeri.

Il polimero può essere inoltre classificato lineare oppure ramificato secondo il modo con cui sono collegati i monomeri tra loro. Quando si producono dei legami tra le varie molecole del polimero si ha un polimero reticolato, detto anche polimero termoindurente o resina termoindurente o anche solo resina, perché si ha un effettivo irrigidimento della massa polimerica, altrimenti, quando questo non avviene il polimero è di tipo termoplastico.

La differenza tra un polimero che reticola ed un polimero che non reticola è molto importante perché il primo ha caratteristiche generalmente migliori, soprattutto, non rammollendo, può essere impiegato anche ad alte temperature, il secondo polimero invece può essere considerato alla stregua di un liquido molto viscoso e infragilisce con il freddo e rammollisce con il caldo. Un grosso inconveniente delle resine termoindurenti dato che la reticolazione può, ovviamente avvenire una volta sola, il polimero reticolato, non può essere, di fatto, ricircolato.

La polimerizzazione può avvenire attraverso la poliaddizione e la policondensazione. Nella poliaddizione le molecole si collegano semplicemente le une alle altre attraverso le valenze rese libere dall'apertura di qualche doppio legame. Nella policondensazione le piccole molecole si collegano le une alle altre attraverso le valenze rese libere dal distacco ioni e gruppi funzionali che ricombinandosi producono delle piccole molecole, come ad esempio l'acqua o l'anidride carbonica, che si separano e costituiscono un sottoprodotto e devono essere continuamente rimosse dal reattore di polimerizzazione per evitare che la massa polimerizzata le possa inglobare con conseguente peggioramento delle proprie caratteristiche.

Un altro parametro molto importante dei polimeri è la temperatura di transizione vetrosa che è la temperatura ad di sotto della quale i moti Browniani dei gruppi atomici sono quasi del tutto impediti ed il polimero diventa rigido ed indeformabile. La temperatura di transizione vetrosa può essere modificata, anche notevolmente, aggiungendo idonei additivi.

Vi sono diverse tecniche di polimerizzazione che, anche se per sommi capi, è necessario passare in rassegna.

  1. Polimerizzazione in massa: consiste nell'operare senza l'ausilio ne di solventi ne d'altri liquidi. A causa della difficoltà di raffreddamento, questa tecnica può essere usata solo per le polimerizzazioni debolmente esotermiche.
  2. Polimerizzazione in soluzione: in questa tecnica di polimerizzazione si opera con un solvente in grado di solubilizzare sia il monomero sia il polimero. La reazione di polimerizzazione, data l'intima mescolanza del monomero decorre rapidamente ed anche il calore può essere asportato con facilità. Il polimero si ottiene facendo evaporare il solvente.
  3. Polimerizzazione in sospensione: si opera disperdendo il monomero, che deve essere liquido, in piccole goccioline che polimerizzando formano granuli di polimero.
  4. Polimerizzazione in emulsione: è simile alla polimerizzazione in sospensione con la differenza che si una aggiunge una sostanza emulsionante, la quale diminuendo la tensione superficiale dell'acqua migliora la dispersione del soluto e quindi, di conseguenza, migliora anche il processo di polimerizzazione.
  5. Polimerizzazione interfacciale: questa tecnica si usa quando i monomeri sono due, ed i monomeri vengono solubilizzati con solventi diversi ed immiscibili tra loro. La polimerizzazione è piuttosto lenta dato che può avvenire solo in corrispondenza della superficie di contatto tra i due solventi.
  6. Polimerizzazione con precipitazione di polimero: in questo tipo di polimerizzazione il polimero è insolubile nel mezzo che costituisce l'ambiente di reazione e si separa spontaneamente. E' sicuramente un tipo di polimerizzazione assai favorevole anche se le condizioni affinché si verifichi sono difficili da realizzare.
  7. Polimerizzazione da monomeri gassosi: in questo tipo di polimerizzazione si ottiene in polimero liquido o solido a partire da monomeri gassosi.

 

 

 

 

Additivi delle materie plastiche:

Le caratteristiche meccaniche e merceologiche delle materie plastiche non sempre sono adeguate all'uso che se ne vuol fare ed occorre migliorarle mediante l'aggiunta d'additivi che possiamo, sinteticamente, classificare nel modo seguente:

  1. Cariche inerti: sono sostanze inerti e poco costose, che vengono aggiunte al polimero, soprattutto allo scopo di diminuire la quantità di polimero utilizzato ed abbassare il costo nel manufatto. E' appena il caso di dire che le cariche inerti devono avere, comunque, buone caratteristiche meccaniche e chimiche per non pregiudicare, in modo significativo, la funzionalità del manufatto.
  2. Cariche rinforzanti: sono sostanze, generalmente di tipo fibroso, che vengono aggiunte al polimero per aumentarne le caratteristiche meccaniche, come ad esempio la rigidità, la resistenza alla trazione e soprattutto la resistenza agli urti.
  3. Plastificanti: questi additivi vengono aggiunti al polimero allo scopo di abbassare la temperatura di transizione vetrosa e rendere possibile, e comunque più facile, la lavorazione del polimero e l'impiego del manufatto. Il caso forse più noto è quello rappresentato dal famosissimo PVC, cloruro di polivilnile, che mediante un'opportuna aggiunta di plastificante, alla temperatura ambiente può essere rigido come avviene nei tubi di scarico fognario, molliccio come avviene nei cavi elettrici dove è usato come isolante, e addirittura morbido quando, ridotto in fili sottilissimi, è usato per confezionare maglioni ed altri capi d'abbigliamento.
  4. Coloranti: sono sostanze, di solito costituite da ossidi metallici ma anche da terre colorate, che si aggiungono al polimero, che normalmente sarebbe incolore e trasparente come l'acqua, per renderlo opaco o per fargli assumere il colore desiderato.
  5. Ritardanti della combustione: le sostanze plastiche hanno ottime caratteristiche di leggerezza e resistenza alla corrosione, qualità queste che le rende d'uso molto comodo nei più svariati utilizzi, tuttavia trattandosi di una sostanza di tipo organico sono quasi tutte, facilmente incendiabili. Non solo, ma con il loro alto potere calorifico producono una fiamma caldissima che fa rapidamente ingigantire l'eventuale incendio, anche il fumo che sprigiona durante la combustione è nero perché carico di particelle di carbonio incombusto ed a volte anche tossico e questo rende ulteriormente ancora più difficile e rischioso l'opera di spegnimento.
  6. Antiossidanti: queste sostanze vengono aggiunte al polimero allo scopo di impedire, o quanto meno minimizzare l'aggressione operata dall'ossigeno atmosferico, attiva soprattutto in presenza delle radiazioni ultraviolette provenienti dal sole.
  7. Antistatici: sono sostanze che vengono aggiunte al polimero allo scopo di impedire, o quanto meno di ridurre, la formazione di cariche elettriche sulla superficie del manufatto le quali, se presenti, favoriscono l'adesione della polvere e quindi richiedono maggiore pulizia. Il fenomeno, che può apparire banale ma che invece è della massima importanza ai fini del marketing del prodotto, può essere osservato strofinando con un panno di lana, l'involucro di plastica di una comune penna a sfera ed osservando che attira e trattiene dei piccoli pezzetti carta.

 

 

Tecnologie di lavorazione dei polimeri:

Vi sono diverse tecniche di produzione dei manufatti, a base polimerica, alcune sono di diretta derivazione delle tecniche di lavorazione del vetro e della ceramica, altre sono specifiche per trattare la particolare sostanza polimerica usata. In sintesi, le principali sono le seguenti:

  1. Compressione: abbastanza analoga a quella usata per i prodotti ceramici consiste nel comprimere fortemente, con pressione di svariate centinaia d'atmosfere, una certa quantità di polimero in uno stampo riscaldato che riproduce la forma dell'oggetto che si vuole ottenere. Questo sistema viene usato soprattutto per le resine termoindurenti, cioè quelle che reticolano ed induriscono, con il riscaldamento.
  2. Iniezione: il polimero pellettizzato, o eventualmente anche lo stesso monomero se polimerizza facilmente, viene riscaldato fino quasi a fusione e quindi iniettato sotto fortissima pressione in uno stampo che deve essere apribile per prelevare il manufatto, ovviamente dopo averlo raffreddato. Questo metodo può essere utilizzato solamente se il polimero è di tipo termoplastico.
  3. Soffiaggio: di diretta derivazione dall'omologa del tutto simile tecnica di lavorazione del vetro, il polimero, che deve essere necessariamente di tipo termoplastico, viene riscaldato fin quasi alla fusione completa e quindi viene soffiato dentro uno stampo per fargli assumere la forma voluta. Questa tecnica viene usata soprattutto per produrre oggetti cavi che assomigliano alle bottiglie anche di volume molto grande. Naturalmente e lo stampo deve essere apribile per consentire, previo raffreddamento, il prelievo dell'oggetto formato.
  4. Estrusione: con questa tecnica il polimero riscaldato allo stato pastoso viene costretto ad uscire da una filiera, del tutto simile a quella usata negli impianti siderurgici per produrre i profilati di ferro e d'altri metalli, ma usata anche nei pastifici per ottenere gli spaghetti e gli altri formati di pasta. Anche questa tecnica è adatta per trattare i polimeri termoplastici.
  5. Colata: del tutto simile all'omologa tecnica utilizzata dalle fonderie di ghisa per produrre i tombini stradali, consiste semplicemente nel versare il polimero fuso, in uno stampo e lasciarlo raffreddare. La tecnica si presta per trattare sia i polimeri termoplastici e quelli termoindurenti.
  6. Film soffiato: questa tecnica, che consente di ottenere pellicole sottili, non trova riscontro in altri comparti tecnologici e dunque è specifica delle tecnologie di lavorazione dei polimeri. Consiste nell'iniettare un piccola quantità di polimero quasi fuso su un ugello che, soffiato produce un grosso pallone allungato che viene poi allargato e mosso in trazione da diverse coppie di cilindri ottenendo alla fine un foglio molto sottile e di lunghezza indefinita che, raffreddato, viene avvolto su un supporto a rullo per formare una bobina.
  7. Filatura: consiste nel produrre, per estrusione un piccolo filo che opportunamente sottoposto a trazione si allunga e diventa molto sottile. Anche in questo caso, il filo ottenuto viene raffreddato e avvolto su un apposito rullo per formare una bobina. La filatura può essere condotta sul polimero fuso ed in questo caso viene detta filatura per fusione, oppure può essere condotta con l'ausilio di un solvente. In quest'ultimo caso il polimero, dopo essere stato estruso e durante l'operazione di stiratura, viene fatto solidificare o facendo semplicemente evaporare il solvente oppure facendolo coagulare mediante l'aggiunta di qualche sostanza coagulante. Il filo va poi avviato alla tessitura per produrre le stoffe. Molto usati nella filatura sono gli elastomeri, cioè i polimeri, simili alla gomma, che sono in grado di sopportare notevoli allungamenti, se sottoposti ad uno sforzo di trazione, senza subire rottura e riprendendo la dimensione originaria al cessare della sollecitazione