Fate, Streghe,
Fantasy e& co.
Qui troverete tutte le cose che ho scritto su personaggi fantastici (ma saranno poi anche inventati…chissà), comprese le storie che ho scritto per la cronaca di Changeling live.
Buona lettura!
Uno straniero.
Sono uno straniero ovunque vada e in
fondo mi piace esserlo.
Non posso permettermi legami, né li
voglio, mi muovo tra le vite altrui e le mie, prendendo soltanto quello che mi interessa.
Sono di nessun luogo, nato in un
giorno che non esiste, ho più simpatia per i vecchi mattoni rossi che per le persone. Sono più
discreti se non altro.
Sono uno straniero anche qui, in
questa città che mi culla come una madre da tanto di quel tempo che anche io
faccio fatica a ricordare.
Sono il suo straniero più affezionato,
passo lieve tra i vicoli e vedo ogni cosa, lei non fa caso a me, mi nutre senza
guardarmi in faccia. Lei non è una straniera per me, ma mia madre, la mia
amante, la mia linfa vitale.
Ieri sera la Garisenda sembrava essere
un po' più storta, le hanno finalmente tolto le fasce ed ora è più bella di
prima.
Quanto tempo era che non la vedevo
così?
Troppo, bentornata amica mia.
Sembrava nuova alla vita, svettante
contro il cielo piatto di questo inverno, accanto alla sua sorella, alla sua
rivale di sempre.
Non è strano? Proprio dietro le torri,
nel centro della città, alla convergenza delle strade a raggiera, c'è una
piazza. Non ci passano le macchine, non ci pascolano in piccioni, non più di
tanto almeno, ma nemmeno le persone.
All'ombra delle torri c'è una zona
ideale per ritrovarsi e invece non ci sono gruppi di ragazzi, o biciclette
parcheggiate, ci sono solo io.
Ieri sera, da in mezzo alle torri,
guardavo lo spiazzo di fronte con le vetrine colorate della libreria. Lì sì che
c'era gente. Cinque o sei ragazzi su una panchina, con le borse militari e i
pantaloni larghi, un gruppo di Goliardi cantava, arrivando da Via Zamboni, con
i mantelli neri e lo stemma colorato a scacchi neri e verdi, una donna con i
tacchi alti e rumorosi fumava e telefonava al cellulare.
Poi ha cominciato a cadere la neve e
tutto ha preso una strana luce.
Ho camminato fino alle strade del
mercato.
L'odore di pesce è intessuto come un
ricamo insieme ai mattoni e da lontano viene una musica lenta, le note di un
sax. Non c'è la suora a chiedere offerte all'angolo, non c'è chi vanta la
qualità dei suoi ravanelli, non c'è nessuno.
Per un attimo sono solo in Via Pescherie,
i fiocchi bianchi paralizzano l'istante, poi una ragazza con una giacca
imbottita sbuca da un angolo e cammina verso di me. Mi passa accanto, mi lancia
uno sguardo ostile.
Sono uno straniero che non è
rassicurante incontrare di notte.
Certe sere Piazza S. Stefano sembra
strappata ad un tempo lontano e io mi cullo nelle sue pietre, così
familiarmente scomode. Mi siedo sui fittoni a forma di palla, davanti alle
Sette Chiese e da straniero mi gusto quello spazio irregolare e nascosto tra i
palazzi.
A porta S Felice c'è quel fornaio che
apre tardi e ci trovo sempre facce allegre, corpi che sanno di birre e di
sudore, ma se ci vado troppo presto non mi piace.
Il cassero in mezzo ai viali è
circondato da palazzoni senz'anima che gli tolgono l'aria.
Questa sera sono qui per caso.
Il Pratello è rumoroso, nevica ancora
e qualcuno festeggia sotto i portici e per strada.
Quell'insopportabile, misterioso
inquilino della finestra di fronte all'Irish Pub anche stasera farà tornare a
casa fradicio qualcuno, in Via Paradiso, io passo oltre.
E' presto ancora, in Via S.Valentino
una finestra aperta lascia uscire la voce di un televisore e una pizzeria sta
sgomberando i tavoli.
Continuo, via della Grada, ragazzi che
si spintonano per entrare al caldo della creperie e poi una figura piccola e
scura che mi passa accanto.
Non la sento, la vedo soltanto quando
mi supera e continua lungo Via S.Felice.
So che alla porta mi aspetta il solito
desolante spettacolo di palazzoni bianchi e Pendolino che dondola avanti e
indietro, appoggiato all'angolo con Via Saffi, ma proseguo ugualmente.
Davanti a me la piccola figura in nero
cammina spedita, stretta nel cappotto, poi gira sulla sinistra e non la vedo
più.
Faccio pochi metri, a lato del portico
un'insegna luminosa con un pipistrello e tende scure su due vetrate.
Ho fame, voglio entrare anche io.
Sono uno straniero, qui quasi più che
fuori. Sorrido, ragnatele finte e pietre tombali improbabili ricoprono le
pareti, vedo la mia piccola guida davanti a me, si toglie il cappotto e lo lancia
in un angolo assieme ad altri.
E' proprio piccola, magrissima e
piccola, nonostante gli stivali con una zeppa assurda, qualcosa le luccica sui
fianchi: una catena in cintura.
Una ragazza con i capelli blu e il
grembiule mi viene incontro, mi chiede se sono soltanto io, mi accompagna ad un
tavolo in fondo al locale.
I miei occhi così chiari devono aver
fatto colpo di nuovo, tre ragazze tutte in nero bisbigliano alle mie spalle,
una di loro si alza e va verso l'entrata.
La mia piccola apparizione è al bancone,
in piedi, parla con un ragazzo dai capelli scuri, infilato in un paio di
pantacalze nere, ogni volta che muove la testa il trucco dei suoi occhi manda
riflessi delle luci rossastre del locale.
La musica si interrompe, una voce
dedica la prossima canzone al bel goticone del tavolo 21, temo proprio di
essere io.
Le tre ragazze alle mie spalle
ridacchiano compiaciute. Ordino una bottiglia di vino rosso e la ragazza coi
capelli blu me la porta quasi subito, dentro una scatola di cartone a forma di
bara.
Mi alzo e mi volto, le tre ragazze in
nero smettono di parlare, si guardano intorno imbarazzate, cercano di fare
finta di niente, io prendo la bottiglia e mi avvicino al tavolo.
Finché non mi siedo con loro tutto
rimane congelato, lo straniero ha fermato il tempo, poi la più carina delle tre
mi sorride.
"Beh…Ti è piaciuta la
canzone?"
Mi è piaciuta.
Verso loro da bere e le ascolto
presentarsi.
Sono strane, una di loro ha le mani
grandi e olivastre, con unghie lunghe laccate di nero, ma tutte hanno il viso chiaro,
bianco come di porcellana, in un modo così innaturale da farle sembrare
straniere a loro stesse.
Quella che mi ha dedicato la canzone
si chiama Sara, ha occhi grandi e azzurri e una riga pesante di kajal che la fa
sembrare una gatta.
Mi chiede come mi chiamo, non voglio
deluderla e trovo qualcosa di esotico ma plausibile, questa notte mi chiamo
Fabian.
Mi guardano, mi spiano, mi fanno
domande alle quali rispondo evasivo, ma non sembrano rendersene conto, la
bottiglia finisce e paiono tutte e tre piuttosto alticce.
Alla più alta suona il telefonino, sia
alza per parlare, poi torna.
Un certo Sergio le passa a prendere
per andare a ballare, non so dove fuori città.
"Non mi va più di venire al
Condor, sono stanca, andate voi…"
Sara ha deciso di restare. Le sorrido
quando rimaniamo soli, lei abbassa gli occhi sul tavolo.
Le chiedo se é davvero stanca, se
vuole che la accompagni a casa. Lei con un sorrisetto dice di sì e andiamo.
Fuori nevica di nuovo, forte, io sono
alto accanto a lei e il vento fa volare i miei capelli dalla sua parte, come se
la accarezzassero.
Non abita lontano, passiamo accanto
alla manifattura tabacchi, vuole farmi vedere la sua entrata segreta di quando
era bambina.
Il giardino è deserto e imbiancato, ci
sediamo sulle altalene e parliamo un po', poi, inevitabilmente, la sua piccola
bocca dipinta di nero si avvicina alla mia ed è il momento che aspetto, che ho
cercato da ore.
Non si accorge nemmeno, quando la
mordo, che non è un soltanto un bacio molto passionale, anzi, mi graffia la
schiena con le sue unghie nere e lucide. Mi sento sicuro, non si renderà conto
di nulla, finché non sarà tardi, non voglio farle male. Passo le labbra sul
collo, le scopro il seno con la mano e le faccio un taglio sottile tutto
intorno al capezzolo.
Lei geme e si stringe a me, addio
piccola Sara.
All'improvviso qualcuno mi afferra una
spalla, è una stretta gentile e decisa, mi volto e lascio cadere Sara per
terra, sulla neve che subito comincia a tingersi di rosso.
Di fronte a me c'è la mia piccola
guida, stretta nel suo cappottino nero.
Mi arriva appena al torace e mi guarda
negli occhi, dietro di lei il suo amico con lo sguardo luccicante.
Mi sistemo i capelli dietro le
orecchie e la guardo negli occhi anch'io.
"Lasciala e vattene."
Non c'è emozione nella sua voce, è
fredda come la neve.
Mi chino verso di lei, mi avvicino,
non reagisce, la bacio tenendole una mano sotto il mento, non oppone alcuna
resistenza.
Si lascia mordere e ricambia il mio
bacio come nessuno aveva fatto da molto tempo, mi passa una mano attorno al
corpo e mi abbraccia con passione autentica.
Il suo sangue scalda la notte ed è lei
a staccarsi da me per andare verso Sara.
Poi si volta verso di me mentre tiene
le mani sulle ferite della mia vittima mancata e mi congeda." Non ricorderà."
Annuisco e mi allontano, il suo amico
mi fa un cenno con la testa e io gli auguro una buona notte, passandogli
accanto.
Qualcosa sta cambiando, Bologna mia.
Non sono più uno straniero.
(Prima delle storie da Felsina che inserisco qui,
ambientata appunto all’ Età del Sogno. Per spiegazioni su Changeling e le fate
di Felsina andate qui
oppure qui)
Quella sera il cielo assumeva colori
stravolti, ad ovest, dove il sole andava a morire, là verso Mutina, verso le
vaste pianure e i primi rilievi.
Con le spalle al sole morente, Damia
lasciava che un'ancella diafana di pura rugiada le pettinasse le chiome con delicatezza
e intanto cantava a bassa voce, riempiendo l'aria di note profumate e sottili
come richiami di grilli.
Ercole sarebbe tornato presto da
caccia con qualche preda favolosa da arrostire, e presto sarebbero tornate
anche le ninfe-foglia dalla loro spedizione nel bosco in cerca di bacche
dolcissime e funghi.
Lady Damia gettò distratta uno sguardo
oltre la radura quando vide passare un cerbiatto, veloce come una saetta,
inseguito da due enormi lupi. "Ora basta giocare, bambini." Lo
mormorò soltanto, senza smettere di cantare, ma i lupi si fermarono un secondo,
prima di cambiare direzione e correre nel fitto della boscaglia incontro a
qualcosa che faceva sentire il suo passo sui rami spezzati del sentiero.
Il Cerbiatto, accaldato e ansimante,
continuò invece la sua corsa sino ai piedi della Signora, dove si accoccolò
rapido a ricevere la benedizione di una carezza, molto di più di quello che
centinaia di altre fate potessero sognare di ottenere.
Dal bosco veniva odore di sangue,
sudore e vittoria, l'ululato gioioso dei lupi, rumore di rami e foglie smosse
dal passaggio della figura imponente che lo attraversava.. Il Duca Ercole
guadagnò la radura a grandi passi, con un gigantesco cinghiale nero sulle
spalle, arrivò al cospetto della Dama e gettò sorridendo la preda ai suoi
piedi.
Il Principino, accoccolato a terra,dovette spostarsi rapido per
non venire schiacciato dalla bestia uccisa, né dal patrigno che ora aveva
coperto la breve distanza tre lui e Damia per poterla sollevare con un braccio
sino alle proprie labbra.
Alle spalle del Troll, due giovani
dall'aria ferina sorridevano inquietanti al Principecerbiatto che, poco
distante da loro, tentava ora di assumere un aria superiore e regale,
sistemandosi con le dita il ciuffo di capelli tra le corna ancora abbozzate.
D'improvviso una folata di vento
gelido accarezzò la pelle dei presenti, ma subito passò oltre e ci fu appena il
tempo di rabbrividire, senza timore, all'arrivo del corteo di Northia da ogni
lato del bosco.
Un piccolo coniglio bianco si diede ad
una fuga precipitosa all'arrivo delle donne velate di Notte e ammantate di
Fato, che portavano torce di resina profumata da accendere quando fosse calato
il sole.
Le vestali presero posto alle spalle
di Damia, che, nuda e splendida, si scostò dal Duca per dare loro il benvenuto.
Con un cenno appena della mano
candida, afferrò il tessuto morbido di una nuvola e la portò dal cielo ai suoi
fianchi avvolgendosi di rosso porpora e bianco rosato, poi si lasciò cadere sul
giaciglio verde che una quercia ed un salice, intrecciando i loro rami e
intessendo le proprie foglie, avevano composto quella sera per la signora di
Felsina ed il suo amante.
La corte aveva appena iniziato a
gustare le carni arrostite e il nettare piacevolmente stordente che le vestali
mescolavano in un grande paiolo di rame, quando qualcuno, forse una ninfa,
forse una vestale, notò che sul disco del sole morente ad ovest una figura
imponente avanzava a passò rapido e leggero delineando la propria sagoma sul
fuoco e sull'aria di Felsina.
Le ancelle si affrettarono a portare
uno scranno e morbidi cuscini di piuma, vino e cibo per l'ospite in arrivo,
Damia si riscosse dall'abbandono del nettare e dei baci, e tra le vestali una
corrente palpabile di attenzione corse a scuotere veli e sussurri.
L'ospite non si fece fretta, ma a
precederlo arrivò un odore penetrante di zenzero e qualcosa d'altro che nessuno
seppe ben definire, il vento, ora un poco più insistente, sollevò malizioso le
sottane di foglia, i veli di ragnatela, le tovaglie di muschio bianco, finché
l'ospite non fu al cospetto di Damia, del Principe, del Duca Ercole e di tutta
la corte.
Con un profondo inchino danzato,
l'uomo arrivato dal tramonto fece tintinnare i sonagli che aveva legati a polsi
e caviglie, le lunghe ciglia nere lasciarono passare il suo sguardo grigio,
dritto e deciso sino agli occhi di Damia, i riflessi d'oro e d'ebano della sua
pelle mandavano bagliori stupefacenti all'ultima luce del sole, ed egli si
presento come "Amin, l'Uomo del
Sole che Muore, il Nero Viandante, onorato di incontrare lo Splendore di
Enotria…"
E lo Splendore di Enotria sorrise al
Viandante Nero, che prese posto sui morbidi cuscini e brindò con la corte,
mentre raccontava di terre lontanissime e avventure fantastiche e strambe
persino per le fate, che bevevano le sue parole come dolce latte, balsamo
odoroso sui dolori e le preoccupazioni, che tutti, quella notte, dimenticarono.
All'ospite poi, fu offerto ogni dono
che egli avesse potuto sognare e , come consuetudine, fu offerta la possibilità
di dare uno sguardo al proprio passato, il proprio presente o, per i più
temerari, al proprio futuro.
Dal coro delle vestali si fece avanti
una piccola figura velata e silenziosa, avanzando a passi leggeri verso l'eshu
lasciava dietro di se un interminabile strascico di chiome nere come le notti
senza luna e la corte tutta si scostò per farla passare.
"Non mi spaventa il futuro, ma
nemmeno mi interessa conoscerlo" disse Amin "Piuttosto, mia graziosa
dama oscura, parlami del presente, dimmi dell'immediato che non è più futuro,
ma ancora non è passato…"
Le mani della vestale si fecero largo
tra i veli e salirono sino alle labbra dell'ospite, sfiorandole appena con dita
così bianche e sottili che alla luce della luna, ormai alta nel cielo,
mandavano bagliori opalescenti.
Poi Tanachvil si fece indietro, con
una velocità innaturale, si inchinò all'ospite tornando tra le vestali. Come
d'abitudine, l'ospite avrebbe avuto il suo responso in privato, più tardi.
La notte fu breve per tutti, e l'alba
trovò il Viandante nero steso sull'erba umida di rugiada.
Accanto, sopra, vicino a lui c'erano,
addormentati ed esausti, coloro che avevano celebrato quella notte la più
antica delle danze, sotto le stelle di Felsina.
La corte si destò con una lentezza
deliziosa, le ninfe avevano già preparato frutta, dolci e latte per risvegliare
il palato dei dormienti e un profumo inebriante riempiva la radura e il bosco
che la cingeva.
Il Principe Evan, stropicciandosi gli
occhi, si alzò in piedi e cominciò a far scrocchiare ogni centimetro del suo
corpo ancora mezzo addormentato, regalando un concerto ritmico al mattino
nascente. Poi prese una manciata di dolci dal banchetto e andò a sedersi vicino
al ruscello, dove Selina gli stava preparando il bagno, facendo cadere
centinaia di petali nelle acque rese tiepide dai raggi del sole e dall'estate
ormai alle porte.
Soltanto la notte seguente il
Viandante Nero raggiunse Tanachvil in riva al suo torrente, per conoscere il
responso della strega.
La trovò semi sdraiata sulle pietre
bianche del fiume, mentre a voce quasi impercettibile cantava una nenia
malinconica, facendo danzare i flutti argentei tra le rocce.
La Vestale rispose alle domande di
Amin e quando non ebbe più nulla da dirgli tornò a sedersi in riva al fiume.
Ma lui le sedette accanto.
L'aria era carica di un odore
zuccherino e il vento accarezzava la pelle della Strega facendo danzare i suoi
veli e i suoi capelli attorno a lei e a
colui che le sedeva vicino. Tanachvil, che del vento era figlia, riconobbe la
canzone che le sussurrava all'orecchio, riconobbe il tocco leggero dell'aria
sulle labbra e spaventata si tuffò in acqua, lasciando L'Uomo Del Sole Che
Muore, sconfitto, sulla riva.
Ma non durò a lungo, il Viandante si
tuffò nelle acque, che riflettevano la Luna e le chiome degli alberi
sovrastanti, e raggiunse la vestale con
poche bracciate potenti e precise, afferrandola in un istante. Lei rimase paralizzata e stupita, gli occhi di lava
mandavano bagliori intermittenti e interrogativi, perché nessuno mai aveva
osato tanto con una vestale del corteo di Northia.
Tanachvil allora lasciò che il suo
istinto parlasse per lei e si liberò dell'assalitore sbalzandolo lontano
nell'acqua, senza muovere altro che la testa, come ad indicare la direzione.
Poi fece per emergere dall'acqua e fuggire verso la radura, ma qualcosa le
afferrò le lunghe chiome bluastre, trattenendola e strappandole flebili lamenti
di dolore.
Con una violenza studiata Amin la
trascinò nuovamente nelle acque del fiume che dispersero nella corrente i veli
neri, lasciando la Strega avvolta solo dall'argento delle acque e dei raggi
lunari.
Tanachvil tremava e lacrime di fuoco
le riempivano gli occhi.
Amin invece sorrideva, prendendola tra
le braccia, ormai sicuro del proprio trionfo.
In quell'istante, la voce profonda ma
quasi impercettibile della vestale ruppe il silenzio, "Perché mi fate
questo?" chiese con una cadenza infantile e spaventata, " Io sono una
Vestale. Perché non andate a cercare qualcun'altro…Vi prego…"
E allora il Viandante Nero si
abbandonò alla più comune delle menzogne, a quella cui tutti credono, e
accarezzandole il corpo minuto le disse
"Perché io amo voi. Non potete pregarmi di non ascoltare il mio
cuore, io vi amo e vi voglio. Voi soltanto."
Allora la bugia vinse sui voti e sulla
paura e Tanachvil lasciò che le sue labbra provassero il sapore sconosciuto di
un bacio e poi di cento altri, e nessuno vide più la Strega ne il Viandante,
per tutta la notte.
L'alba accarezzava la riva del fiume,
tingendo di rosa le pallide pietre su cui Tanachvil dormiva.
Accanto a lei, al suo risveglio, non
avrebbe trovato nessuno.
Nel deserto, quando il sole diventa
perfettamente sferico e le carovane cercano un posto dove passare la notte, può
capitare, alle guide più attente, di scorgere in lontananza una figura
minuscola e scura.
Allora le madri dicono ai bambini di
non guardare e gli uomini sussurrano scongiuri mentre le donne mormorano tra di
loro e confessano l'una all'altra quanto vorrebbero incontrare l'Uomo del sole
calante.
Tra i Tuareg si racconta che
incontrarlo sia presagio di sventura per gli uomini e annuncio di una
gravidanza per le donne, non salutarlo, con lo stesso cenno della mano che lui
rivolge a te, significa attirare la malasorte e l'ira del deserto.
Lui arriva con le tempeste di sabbia,
la sua voce è nel vento, ma sa indicare, a chi lo invoca disperato, un riparo
sicuro tra le dune.
Chi si perde nel deserto ha due
possibilità: aspettare la morte o pregare che Lui arrivi, chiamandolo con i
suoi molti nomi. Amin, l'Uomo del sole morente, il Viandante Nero, con il suo
sorriso soccorre i moribondi e questi si ritrovano alle porte di una città che
sembrava lontana come la luna, non hanno più sete né fame, ma non sanno
spiegare come siano arrivati lì.
A volte una carovana può incontrare un
uomo che solo, senza cavalcatura, cammina con passo lento tra la sabbia.
Quest'uomo chiederà loro un po'
d'acqua e un po' di compagnia.
Nessuno si sognerebbe mai di
rifiutargli tutto ciò che chiede perché si sa che chi lo ha fatto non è mai
tornato per raccontarlo.
Passa la notte accanto al fuoco con
gli uomini a parlare di cavalli e stoffe, ma al tempo stesso chi andasse
accanto alle tende delle donne sentirebbe risate e gemiti che poco lasciano all'immaginazione.
Al mattino è sempre scomparso, non si
ferma mai più di una notte, ma a volte lascia ricordi indelebili, bambini con
gli occhi di ghiaccio e il deserto nel cuore.
Ogni paese conosce L'Uomo del sole che
muore, in Cina ha lunghi capelli di seta e veste di stoffe pregiate, aspetta i
viandanti ai crocevia per perderli o soccorrerli.
In India siede lungo il Grande Fiume e
a chi lo incontra indica la strada da seguire.
A tutti dona consigli e porta aiuto,
ma a volte chiede un pegno, un compenso che non è saggio rifiutargli.
Se trattato con scortesia diventa
terribile, la furia degli elementi è la sua voce, topi, scorpioni e cavallette
sono la sua famiglia e i corpi di uomini e donne straziati vengono rimossi al
mattino in silenzio.
Non ha nome e ne ha decine, se dovessi
aver bisogno di lui un giorno, saprai come chiamarlo e lui potrebbe apparire,
come portato dal vento.
Allora guardati dalla scortesia e sii
pronto a mostrarti riconoscente e L'Uomo del sole che Muore sarà la tua
benedizione.
Tanachvil si chiude la porta alle
spalle e la capanna nel bosco prende vita, fiammelle che si accendono, il fuoco
nel camino che divampa…Flebile, sempre più freddo. e' così difficile, ogni
notte di più.
Sembra passato solo un giorno da
quando divideva i frutti del bosco soltanto con gli scoiattoli, le volpi e i
merli che lo abitavano insieme a lei. E invece sono anni, secoli, ormai ogni
giorno qualcuno caccia tra gli alberi, passano soldati ai confini del sentiero, ed è sempre più facile per lei passare
inosservata, come fosse trasparente. L'età del sogno è lontana e presto anche
Tanachvil, la strega nel bosco, sarà solo una leggenda, e lei lo sa bene.
Ma stanotte c'è da lavorare, e non c'è
tempo per i ricordi.
Ai confini della città, nella casa di
un contadino, una giovane moglie ha pregato a lungo il suo Dio perché facesse
nascere il suo bambino che non vuole uscire, ormai i mesi sono passati, la luna
è sorta per dieci volte e lei è sfinita, piange, non può muoversi dal letto,
prega la Vergine e gli angeli che facciano nascere il suo bambino, da
settimane. Stanotte qualcosa l'ha portata sulla porta e una saggezza antica,
una superstizione condannata dai preti, ha guidato il suo cuore e le sue mani
in gesti che ricorda nei giochi d'infanzia, nelle storie raccontate accanto al
fuoco dalla madre di sua madre.
Ha portato pane fresco, latte di capra
e miele, e ha implorato l'aiuto degli spiriti buoni.
La luna piena ha riflesso la sua luce
nella ciotola di latte e con la luce ha disperso al vento la sua preghiera,
fino al bosco, fino a Tanachvil.
Stanotte è il momento di rinsaldare
l'antica amicizia, e Tanachvil lavora al mortaio, bolle l'acqua con erbe
pestate, per far nascere quel bambino prima che sia tardi.
Sulla porta della casa la ciotola di latte,
il miele e il pane sono ancora appoggiati, l'offerta deve essere consumata.
Tanachvil beve, morde il pane e poi ripone tutto dove era stato lasciato,
insieme ad un sacchettino, chiuso con tela di ragno.
Poi di corsa nel bosco.
La giovane moglie dorme agitata
accanto al marito, sogna il suo bambino morto, in pasto ai vermi, poi il sogno
diventa scuro, torbido, indefinito e una figura le viene incontro da una fitta
boscaglia, facendole un cenno di saluto, in mano ha la ciotola del latte,
vuota.
"Signora! Avete ascoltato le mie
preghiere allora! Lo sapevo che gli spiriti buoni non mi avrebbero
abbandonata!"
"Hai fatto bene , figlia che sarà
madre, ed io ho ascoltato il tuo richiamo, ma ora ascoltami. Corri alla porta,
raccogli ciò che troverai e usalo. Sono erbe preparate da me, dovrai farne un
decotto e berlo tutto in una volta, poi lava la ciotola e preparati perché il
tuo bambino nascerà domani."
La giovane moglie si sveglia e corre
alla porta.
Per quanti secoli questa storia si è
ripetuta? Il legame coi mortali esiste ancora, ma allora perché Tanachvil si
sente svanire ogni giorno di più?
Quella notte si addormenta, dorme per
tutto il giorno, sogna il parto, una bambina scura come lei che nasce in una
casa di contadini al limitare della città…Un vecchio in una casa poco distante
si accascia sotto i colpi di tosse, accanto al camino, pianti, tristezza,
paura, che echeggiano alle risate e alla gioia della nuova nascita.
Nulla di strano, pensa Tanachvil, nascita e morte, un neonato e un vecchio
si salutano sulla porta dei mondi…
Ma la gelosia, il dolore, fanno il
loro corso, chi ha perso va a fare visita a chi ha avuto e vede una bambina
scura e sana, al collo, sopra le fasce,
porta un sacchetto nero, chiuso con tela di ragno, Tanachvil sogna e
vede e si maledice per non aver ordinato alla giovane Madre di bruciarlo, ma
ormai è tardi.
Chi ha perso chiede, Tanachvil non riesce a sentire la domanda, ne la
risposta, vede solo la rabbia e l'ignoranza del dolore negli occhi di chi
ascolta e può immaginare…"Una buona
fata mi ha soccorsa questa notte e ha fatto nascere il mio bambino!" "Una buona fata dici? Una strega
di Satana semmai! Guarda il prezzo che
ha voluto per far nascere il tuo bambino! Mio padre è morto mentre tu
partorivi!"
Tanachvil si sveglia, e ha paura.
Per la prima volta vorrebbe che i
mortali non credessero per niente a quelli come lei, ma sa che quando meno te
lo aspetti credono e credendo distorcono e distruggono.
Forse nessuno la troverà, forse tutto
finirà così, in fondo sono molti anni che nessuno viene più a cercare il suo
aiuto nel bosco e forse si sono dimenticati della dama nera che vive tra gli
alberi.
Così passano le giornate e le notti e
oramai Tanachvil è sicura che si siano dimenticati di lei.
Dodici notti dopo il rumore di sterpi
calpestati fa sussultare la fata, qualcuno si muove nella boscaglia, attorno
alla sua capanna…Non c'è tempo di fuggire, la porta si sbriciola sotto un
calcio e due grossi, puzzolenti soldati
armati entrano nella capanna.
"E' qua! E'proprio qua la strega!"
Afferrano Tanachvil per un braccio,
lei cade a terra, cerca di non badare a loro, tenta di farsi piccola,
trasparente, sempre più trasparente, ma la presa non diminuisce e intorno tutto
gira, diventa nero, poi più nulla.
Quando riapre gli occhi è ancora
notte, introno a lei c'è il bosco e odore di fuoco di sterpi.
Quattro guardie bevono e mangiano a un
passo da lei. "…Che la dobbiamo portare dal prete, caprone! Che poi lui la
porta dal vescovo o da un altro di chiesa, nonsoio,e poi la mettono in prigione
e forse la ammazzano!"
"Ah…Ma sei sicuro che è viva?
Perchè non si muove da tanto che non so mica se è viva, non è che l'abbiamo
ammazzata già noi?"
"Ti dico che è sana, le streghe
sono forti, sai? Ho sentito che il diavolo le aiuta e le fa stare sempre bene,
perché prende la salute da noi poveracci per darla a loro e così noi muoriamo e
loro no!"
"Ah…Alora cosa dici, se le
facciamo qualcosa lei non sente niente?"
"Eh Sì! Perchè c'ha il diavolo!
Dammi da bere!"
"Aaah…E il prete ha mica detto
che non dobbiamo farle niente per caso?"
"No…Non mi pare che ha detto
così…"
"E poi tanto mica si accorge,
perché poi lei sta bene di nuovo perché il diavolo la cura!"
"Eh sì, è vero!"
Tanachvil ascolta e intanto cerca di
sgusciare tra le stringhe di cuoio che le legano i polsi, cosa che normalmente
sarebbe facile come respirare, ma ora non riesce e sente una morsa alla gola e
nausea e le lacrime che le riempiono gli occhi e le stelle sono solo pallini
bianchi e gli alberi solo piante intorno a lei e capisce di essere in trappola,
in una gabbia fatta di quella materia che tutte le fate ormai da decenni temono
come il ferro freddo, ma che lei non
aveva mai provato in tutta la sua terribile efficacia, una gabbia di banalità.
Le guardie ridono e si avvicinano, col
fiato che sa di acquavite e cipolla e Tanachvil piange mentre per un tempo che
le sembra infinito uccidono ciò che del sogno rimane in lei.
Poi accade qualcosa.
Tra le torture, le frasi oscene, la
puzza e il dolore in lei si risveglia il ricordo, ricordo di un' umiliazione,
di un abbandono, di qualcosa di già vissuto secoli fa, della sua stessa
essenza, lacrime che nutrono lacrime, che nutrono dolore che nutre rabbia che
nutre furia e maledizioni…E all'improvviso sembra così semplice risplendere per
un attimo di luce purpurea, quel poco che basta a spaventarli e a farli
credere, ad usare il terrore nei loro occhi come arma.
Tanachvil cammina fuori dal bosco, è
l'alba, dietro di lei i cadaveri di quattro guardie, le teste appese ai rami
degli alberi, gli intestini come festoni
di una sagra di morte, una scia di sangue che serpeggia tra gli arbusti,
sul sentiero, fino ai piedi nudi di una fata, rossa di quel sangue fino ai
capelli, ma ad ogni passo quel rosso si fa più chiaro.
Tanachvil è uno spettro, trasparente,
cammina per le strade senza che nessuno la veda, solo la volontà la tiene
ancorata a questo mondo, un ultimo compito da
assolvere.
Il palazzo di Ginevra è vicino: nel
sangue Tanachvil ha visto tra la bruma dei secoli, ha visto il suo ritorno e
dopo di lei quello del sovrano di questa terra, la caduta di Ginevra.
Avanza verso l'usurpatrice, per
dirglielo, prima di scomparire, per seicento anni.
(Prima delle storie sulla vita ‘banale’ di Tanachvil e sul
suo rapporto con i mortali)
Ennesima ragazzina, ennesima stesa
di tarocchi, ennesimo bicchiere che Giancarlo mi allunga passando…Meglio non
sapere cosa c'è dentro, butto giù rapidamente e la gola mi va a fuoco come
sempre, e fa pure un po' schifo, ma va bene così.
Mi accendo una sigaretta e do una
tirata lunga dal bocchino nero, uno nuovo, comprato oggi, poi comincio a
leggere le carte. Solita roba, incontri, opportunità, difficoltà
superabili…Cosa vuoi che ti dica? Cosa devo fare? Devo dirti che il tuo vicino
di casa ti aspetta sotto il portone, stanotte, e che sbava all'idea di
trascinarti per i capelli fino in cantina?
Devo dirti che presto dovrai decidere tra fare o meno un viaggio e che
da questo dipenderà il resto della tua vita? Devo dirti che la scuola che hai
scelto è completamente sbagliata e che non ce la farai mai se non molli e
finirai a fare la commessa al supermercato sottocasa?
Perché no.
Glielo dico.
La bimbetta si alza, mi fissa
senza dire una parola, resta a guardarmi per un po', poi mormora un vaffanculo
tra i denti e se ne va.
Ma che ho fatto di male? Volevi il
futuro, ti ho dato un futuro possibile…Non dare a me la colpa.
Per un po' rimango da sola con il
cocktail di Giancarlo, Nadia passa e mi sorride, non c'è molta gente, come al
solito, di domenica.
Sto riordinando, ho già legato i
tarocchi con il nastro nero e rosso, quando sento il rumore della sedia.
"Ah…Hai…cioè, sei ancora…?
Stavi andando via?"
Alzo gli occhi, determinata a dire
sì, poi lo vedo.
Un gotichino caduto nelle pece,
capelli lunghi e tinti di nero, un faccino angelico che neanche la Madonna di
Lourdes, occhioni verdi e stretti, un po' a mandorla, un ridicolo accenno di
barba ai lati del viso. Le catene gli cozzano contro il tavolo, dondolano, e
lui, imbarazzato le blocca con una mano, rischiando di far prendere fuoco alla sua camicia di pizzo
sulla candela accanto a me.
"No, siediti pure…"
Lo osservo sedersi con una grazia
studiata, sforzarsi di sembrare a suo agio mentre si sposta i capelli dal viso.
Sta cercando di rispettare il copione che ha immaginato, e per il momento ci
riesce alla perfezione.
"Ti sei mai fatto leggere le
carte?" glielo chiedo anche se lo so già.
"No…Io, no, è la prima
volta."
Gli sorrido e intanto sciolgo i
nodi che avevo appena fatto al mazzo.
E' nervoso, mentre alza le carte
gliene cade quasi una, prendo il mazzo dalle sue mani e sento che sono gelide.
Poi stendo, Giancarlo passa con un altro bicchiere, lo abbandona sul mio tavolo
e se ne va. Bevo.
Altra sigaretta.
Mentre guardo le carte mi viene da
ridacchiare, ma mi trattengo…Un romantico! Oh Dea! Che merce rara…Un vero
sognatore! E le sue carte sono splendide.
Immancabile, chiaro come il primo
quarto di Luna, l'annuncio di un incontro, un incontro perfetto, L'Incontro,
quello della vita. Glielo dico, maschero un po' per non scioccarlo troppo.
Lui sorride alla signora in nero e
la signora in nero gli sorride.
Esco dal Transilvania con una
strana tristezza languida che mi stringe alla gola, il solito spacciatore
rompicazzo finisce spalmato su una colonna ai 90 all'ora…Ma tutte le volte? Possibile che tutte le sere che esco di qui mi
dobbiate venire a stuzzicare? Non ho voglia di giocare stasera, tesoro. E
così lo sollevo senza toccarlo e lui finisce ad abbracciare la colonna di
mattoni col naso. Rotto.
Il divertissment dura poco, mi
riprende la malinconia, arrivo a Settechiese, entro, do la buonanotte, vado al
Ninfeo, mi spoglio…Chiudo gli occhi.
Malinconia, solitudine, paura di
sbagliare, voglia di fuggire lontano da Tanachvil, lontano dai veli e dai segreti…Invidia?
Il gotichino sta sognando di danzare con una misteriosa
dama velata. Una festa in maschera? No…Settecento puro! Come gli dona la giacca
con le code! Tutto nero, naturalmente, miriadi di candele, la gente guarda la
coppia che balla, le dame si sventagliano amabilmrnte. Oltre le candele?
Niente…Sfuocato, il sogno è tutto qui?
Ah…Il sogno è sotto il velo! Come la immagini? Come la
vuoi?
Volti, mani, bocche, corpi, come una serie di diapositive
impazzite mi passano davanti agli occhi…Ma dai!
E' un attimo e sono sotto quel velo, dentro quel bustino,
stringo le sue mani e volteggiamo assieme…
La festa si sfuoca sempre più, le candele sono sempre meno,
la musica si fa sottile…Lui si ferma, mi fermo anche io.
Con le mani tremanti solleva lentissimo il velo dal mio
viso e vede ciò che desidera, vede il suo sogno.
Alla fine non é troppo diverso da quello che sarei stata
io. Se mi avesse sognato Neil Gaiman…
"Sei Lei?"
"Sono Lei. Sai chi sono?"
"Sì…"
"Dillo, allora, e io sarò tua."
"Tu sei la Morte, vero?"
Mi avvicino, gli sorrido, lo bacio.
Il cuore inizia a battergli come un cavallo in corsa…Paura,
desiderio, dubbio, ansia e dolore, mescolate e poi fuse…Sento i suoi pensieri
come se gridasse…"Oddioddioddioddioddioddioddio! Cosadiavolostasuccedendoaiutoaiutoohmmadonna…misentomale…respiro…brucia…Morte!
idiotaidiotaidiotaidiotaidiotaidiotaaaaaaaa….Nonsibacialamorteolamortetisposaesisposalamortesolosesimuoresonofottutobravoidiotaiutononvolevononsapevogiuroaiutoperpiacere…"
"Cosa c'è?" gli sussurro all'orecchio lasciandolo
respirare un po' "Cosa ti succede amore mio? Non mi vuoi più?"
Mi guarda terrorizzato…Sta cercando di svegliarsi, ma in
sogno le mie braccia sono forti di incubi e dolci d'angoscia e la sua
resistenza si fa molle, liquida e si abbandona a terra.
I miei baci lo fanno rovente, si sente bruciare ogni
centimetro, dentro e fuori la pelle, ma il bambino ha coraggio e mi abbraccia,
e mi bacia, e non mi lascia, anzi si stringe di più, anche se tutto diventa
gelido in un lampo azzurrino e non riesce più a muovere nulla di se.
Mi sveglio.
Sazia, appagata e di ottimo,
ottimo umore. Rumori metallici dal piano superiore…Ho voglia di fare colazione
in compagnia stamattina!
Da qualche parte anche lui si
sveglia, ora…Sudato, febbricitante, scosso. Il suo sogno è diventato un incubo
colloso e magnetico…Non si stacca dalle sue mani e dai suoi occhi…Prende una
matita e comincia a disegnare…
h.10.30 del mattino dopo la
Cena…Casa Di Maddalena Cevenini.
La sveglia non suona più da chissà
quanto, probabilmente da un paio d'ore e le batterie sono andate, le lancette
sono ferme sulle 9.38, tranne quella dei secondi che con qualche scatto ogni
tanto cerca di riprendere il suo cammino.
I capelli sono aggrovigliati, sono
riusciti ad annodarsi persino intorno alle caviglie, anche se a tratti li vede
e a tratti no. Una spallina del reggiseno si è rotta, purtroppo niente di
interessante, deve essere successo mentre tornava a casa; tiro da tre punti: reggiseno di pizzo nero dritto dritto
nel cestino della carta dietro la scrivania della stanza di fronte. E' ora di
tirarsi su.
Tanachvil sposta i cuscini dalla schiena e si stende
completamente, poi fa scrocchiare le ossa in un concerto mattutino che i gatti
sembrano non apprezzare.
"Mmmm…Sparisci Loki! Vai a
cercarti da mangiare, su! E non mi guardare così! Sei un predatore, no? E
allora preda!"
Il gatto esce scocciato dalla
stanza, camminando morbido sul grande materasso che la occupa completamente,
Tanachvil è in piedi.
Fuori dalla porta c'è il grande
specchio con la cornice di rami argentati, ed è sempre un duro impatto la
mattina. Chi è quella signora con le occhiaie scavate che la guarda attraverso
la superficie lucida?
Eppure ormai dovrebbe esserci
abituata, è un esercizio che fa spesso: guardarsi allo specchio e vedere
Maddalena invece di Tanachvil. Nemmeno ricorda quando ha cominciato a farlo,
forse la prima volta che si è resa conto che non si ricordava il nome di sua
madre, fatto sta che ora è un'abitudine.
E poi Maddalena non è poi così
diversa…Certo, quelle orecchie così tonde e gli occhi un po' spenti, ma tutte
le notti passate alla freehold le hanno regalato qualche anno di più di adolescenza. Nessuno le crede mai quando
dice l'età e sua madre la accarezza sorridendo amara" Siete proprio un
mondo nuovo voi ragazzi…Guardati, sei rimasta la stessa di tanti anni fa…"
e poi comincia a nuotare tra i ricordi.
Questa mattina Maddalena è stanca
e Tanachvil è esausta, ma entrambe si immergono in una vasca di acqua profumata
ed entrambe si vestono per uscire.
Quando la porta di Ouroboros si
apre, gli occhi del serpente si illuminano di una luce rossastra, ma questo
ragazzo non può vederli scintillare alle sue spalle, solo Tanachvil li vede.
"Salve…Posso fare un
giro?" Ha le mani grandi e si mangia le unghie, non si è tolto gli
occhiali da sole ma lo farà presto, pensa Tanachvil…A meno che non voglia
sbattere la testa da qualche parte…
"Prego…Faccia pure. Abbiamo
tutto il tempo..."
"Scusi?"
"Ho detto faccia pure con
comodo…"
"Ah…Certo, grazie…"
Da quando è entrato il negozio
scintilla debolmente e Tanachvil sente sulla punta della lingua il sapore aspro
dell'odio e della disillusione, un sapore che le accende il desiderio e le
stuzzica l'inventiva, come sempre.
"Allora? Posso
aiutarti?"
Dopo pochi minuti Lui è già seduto
davanti alla Dama in nero e un bicchiere di vino, speziato e caldo, passa dalla
mano di Tanachvil alla sua. I tarocchi
si dispongono lievi sul tavolino e il dolore di un mortale viene portato alla
luce.
Nell'aria del negozio turbinano amore
deluso, stanchezza, odio, desiderio di vendetta, lacrime, e lacrime, e lacrime…
La testa di Daniele cade sul
tavolo, Tanachvil finisce con calma il suo vino e poi si alza.
Quando Eva'n Lyeus apre la porta
di Ouroboros il corpo bianco di Daniele è appeso alla piccola balaustra del
negozio, come un Cristo grottesco, a braccia aperte. Tanachvil è sotto di lui
con un grande bacile che ora posa per terra mentre un denso liquido rosso cupo
continua a colarvi dentro.
"Disturbo forse,
Tanachvil?"
"No, non disturbi mai, ma
saresti così gentile da attendermi su, nella biblioteca, mentre finisco
questo?"
Eva'n sale la scaletta di legno
scuro e scompare nel soppalco ingombro di volumi mentre le mani di Tanachvil rimuovono
dal corpo di Daniele i simboli tracciati dalle sue dita.
Il grande bacile è pieno di
dolore, glamour e dolore, rosso cupo come sangue avvelenato.
"E…Quanto verrebbe
questo?" Daniele sbatte un attimo gli occhi e si guarda intorno, per un
attimo perde l'equilibrio.
"Si sente bene? Vuole
sedersi?
"Sì…Cioè no…Sto bene, è che
per un attimo mi era sembrato…Niente…"
"L'amuleto può portarlo via
così, ma mi raccomando, non lo tolga mai."
"Davvero non vuole niente?
Io…"
"Se proprio insiste potrebbe
farmi un favore in cambio…"
Tanachvil sussurra qualcosa
all'orecchio del ragazzo che le sorride, si volta ed esce da Ouroboros.
Maddalena ora è scomparsa,
Tanachvil splende di scintille nere e rosse.
"Allora Eva'n…Ora ti
ascolto.."
Mollata.
Merda, non ci credeva.
Era successo tutto in cinque
minuti, lì, in piazza, e da due ore non le riusciva di muoversi dai gradini di
S.Petronio.
La settimana prossima sarebbero
dovuti andare via insieme…In campeggio, al mare…Con gli altri.
Lei aveva già il biglietto del
treno! Che testa di cazzo! E adesso cosa te ne fai? Merda, le veniva da
piangere…No, errore, stava già piangendo da un po'… In campeggio con gli altri,
in tenda insieme, quanto era che lo progettavano? E adesso? Lui sarebbe andato
e lei l'avrebbero dimenticata in fretta…Amici di merda. Vaffanculo.
Cinque minuti ci aveva messo lo
stronzo: "Ciao Cri, ci becchiamo tra una mezz’oretta in piazza?" E
lei, cogliona :"Vorrà dirmi qualcosa
per la partenza!" Seee, come
no, ti ha detto proprio qualcosa per la partenza: che tu resti a Bologna, ciao
ciao!
"…Mi dispiace Cri, ma io non riesco più ad andare avanti…Ho bisogno di stare un po' da solo perché se no strippo! Lo sai che per me sei la più bella e la più dolce del mondo, ma è troppo, non mi sento di darti abbastanza, ora come ora. Sono troppo incasinato…Non ti merito!"
Vaffanculo!
Hai presente? Vu- a- effe-effe-a
-nculo! Potevi almeno essere più originale!
…Karma Camillion…
Stronzo! Però come faccio…
You come and go…You come and gooooo!
Perché ti amo, porca puttana…
Karma
karma karma karma karma camillion!
Cazzo! Telefono!
"Pronto?"
"Ciao Cri, come va? Ho
saputo…"
"Merda, cos'è uscita
un'ANSA?"
"No è che ho visto Fabri
adesso…"
"Ah…"
"Ascolta Cri, vuoi che venga
lì?Ci facciamo due passi, un gelato…"
"No, guarda, adesso vado a
casa che mi devo suicidare…Ci sentiamo dopo."
"Dai Cri, non fare la scema!
Ascolta…Magari dovrei farmi i cazzi miei, ma io te lo dico lo stesso…"
What?
"Cosa scusa?"
"Lo so che dovrei star zitta,
ma tu non ci devi stare male perché Fabri è uno stronzo!"
Ueé! Pianino, eh! Qui 'Fabri è uno stronzo' lo dico solo io!
"Non ci va solo con gli altri
al mare…"
Salve…Lei è un mucchio di mattoni? Come mai la vedo
arrivare dritta dal cielo sulla mia capoccia?
"…Ci va con la Simonetta."
Dlin-Dlon!
L'Eurostar Milano-Bologna delle 14.50 è arrivato a destinazione sulla
mia crapa con tutto il suo peso! Dlin-Dlon!
"…Cri?
Ci sei? Hai capito? E' quella stronza della
Simonetta che te lo ha portato via! Io lo sapevo da un po' ma non ne ero sicura
e speravo che fosse una cosa così, passeggera, poi quando oggi mi ha detto che
ti aveva lasciata ho pensato che stronzo! E allora ho pensato che era meglio se lo
sapevi perché davvero sarebbe da fargli un culo così a quel bastardo fedifrago
e a quella troietta che tanto non ha tette e poi lo sai con chi stava l'anno
scorso? Pensa che stava con uno che in disco al mare l chaimano
Yoda perché ha delle orecchie enormi! Dai l'avrai sicuramente visto e
poi…………………………"
Il cellulare continuava a emettere
frasi prive di senso.
Cristina lo guardò e poi spinse il
pulsante rosso per un po', finché dallo schermo luminoso non sparì tutto
quanto.
Al mare. In tenda. Al posto suo.
Simonetta. Da un po'.
E quanti lo sapevano di grazia? Tutti
tranne lei! Logico! Simonetta…Che solo due settimane fa le aveva telefonato per
chiederle che cosa faceva la sera…Se aveva già preparato l'esame di geografia…E
lei che quella sera comunque aveva deciso di stare a casa aveva pensato che era
carino da parte sua sentire se voleva uscire…E poi l'aveva chiamata Fabri poco
dopo, dicendo che…
Dicendo che non poteva passare a
trovarla quella sera!!!
TROIA! Stronzo lui e troia lei!
Fregata come un'idiota! L'avevano
presa per il culo per chissà quanto!
E cominciava pure a piovere…
Cristina si sentiva così stupida
da vergognarsi a tornare a casa…Avrebbe voluto cambiare identità ed emigrare in
Cile!
Comprò una stecca di cioccolato
alle nocciole e un pacchetto di paglie, che tanto adesso che quello l'aveva
mollata non c'era più nessuno che le rompesse i coglioni se ingrassava o
fumava!
Sgranocchiava cioccolata dalla
tasca della borsa, e sgranocchiando arrivò in via Malcontenti.
Il canale si tuffava sotto la
strada, sotto i suoi piedi, sotto via Indipendenza, e lei aveva voglia di
tuffarsi nel canale, ma non sarebbe stata una gran mossa: una difterite e una
gran botta sul culo, altro che gesto romantico!
Alla terza sigaretta l'accendino
si rifiutò di funzionare, forse perché pioveva abbondantemente già da un quarto
d'ora e la pietrina doveva essere a mollo nella pioggia acida…
Per strada non passava nessuno.
Gettò l'accendino in acqua e poi
si appoggiò con le spalle al parapetto.
Qualcosa dietro di lei rise.
Una risatina sottile e ironica,
bassa bassa, ma ben udibile, tanto è vero che Cristina si voltò subito, per
vedere chi le stesse ridendo dietro. Nessuno. Nel canale naturalmente non c'era
nessuno.
Con la paglia spenta e umida di
pioggia Cri si guardava intorno e solo in quel momento vide un negozietto,
piccolo, così piccolo che prima non l'aveva proprio visto. E dire che c'era
stata davanti per almeno dieci minuti…Mah,
sarà che non ci vedo un cazzo con questa pioggia, le lacrime e il resto. Ora
vado a sentire se hanno un accendino da prestarmi, e magari mi faccio un giro e
mi compro qualcosa, shopping terapeutico…Mia madre lo fa di continuo!
La porta rotonda si aprì con un
cigolio da manuale quando Cristina spinse la maniglia d'ottone e, mentre la ragazza entrava, la testa di
serpente che sormontava l'ingresso si illuminò un attimo alla luce dei due
occhi di rubino del grande rettile di legno e metallo. Ma questo Cristina non
lo sa.
(Scritto a due mani con Marco ‘Kaleidon’Felicioni)
Fuori c'è
un vento sottile che illude e poi taglia.
Dentro
fa caldo, come tra le braccia di un amante.
E lei entrando sente il cambio di temperatura, e le guance diventano
rosse, e le braccia si rilassano lungo i fianchi, mentre la porta si chiude
alle sue spalle e occhi di fuoco verde scintillano nel buio precoce di
dicembre.
Ouroboros
si fa bello per presentarsi, ed ogni ninnolo, ogni libro, ogni drappo, ogni
asse, si lustra per mostrarsi al suo meglio...Ma lei non li vede....Lei non li
guarda, si guarda soltanto intorno e in quegli occhi c'è soltanto l'arma
sottile dello scetticismo.
"Posso
aiutarla?"
Boccata
di fumo, sorriso, fruscio: Tanachvil.
"Hem...Ecco...Sì...posso
dare un 'occhiata?"
"Certamente..."
Certo
che puoi, puoi guardare, puoi chiedere, e alla fine verrai a sederti qui,
davanti alle carte e al vino, davanti alla Dama dell'Oblio, per sciogliere i
lacci del tuo dolore e farne un dono per Tanachvil.
Poche
domande, poche parole, e alla fine c'è il tavolino di ferro battuto, e i
Tarocchi che scorrono da una mano all'altra..."E dicevi che....?"
"Che
non lo vedo più da una anno...Più o meno...Ma io avevo...Ero...Mi sono
comportata male, e magari ora lui ce l'ha con me. Ma dei suoi
coinquilini…nessuno lo ha più visto da almeno due mesi e io...Io vorrei sapere
se sta bene...Se è colpa mia...E vorrei trovarlo, e..."
"Va
bene...Adesso taglia il mazzo, Giulia."
Le
carte calano, una ad una, e la voce di Tanachvil descrive sensi di colpa,
egoismo, rancore e rimorso, desiderie e rimpianti, e alla fine, una svolta...
"...E
c'è una scelta, una scelta importante...E molto della tua vita dipenderà da
questa scelta.Quindi stai molto attenta, rifletti su ciò che fai,
Giulia..."
Ma
mentre parla Tanachvil pensa, indaga, e qualcosa sembra chiamare altro, dietro
la storia di Marco e Giulia, dietro un amore mancato, un abbandono, una
scomparsa...e trovare il ragazzo diventa una necessità e un sospetto che
cresce, vederlo in faccia, conoscere il suo volto...Smentire un sospetto forse
assurdo.
"Hai
qualcosa di suo?"
La
ragazza fruga nello zainetto, tra i libri e una custodia di pelle, tra
l'astuccio e il portafoglio, ed estrae il biglietto di un museo..."Ci
eravamo andati insieme...Firenze...Ma io ho perso il mio e lui mi ha dato
questo, per ricordo, può andare?"
Certo
che può andare...
Una
stesa di carte senza scopo, senza significato, per coprire la magia, magia di
fata, che lei non deve vedere...
Tanachvil
allunga la mano gelida sul cartoncino e chiude gli occhi.
Silenzio.
Buio.
Poi
l'immagine di qualcosa di lontano...
Giulia
si annoda la sciarpa attorno al collo.
Sprofonda
nel cappotto largo, enorme e capiente in cui la sua figura minuta scompare
sotto strati di lana pesante. Sfila lungo le strade, trasparente come uno
spettro.
Una come
tante… appena uscite dalle aule puzzolenti, stordite dal caffè e dal fumo,
camuffate con acciaio, perline, pizzi e cerniere.
Giulia,
studentessa al terzo anno di Scienze dell’Educazione Primaria.
Talmente
anonima da non poter nemmeno sperare di venir ricordata.
Stringe
il suo ciondolo come un tesoro prezioso. Un rasta le dà uno spintone che quasi
la fa cadere, mentre dall’altra parte del marciapiede un piccolo punkabbestia
le sorride con il suo ghigno di ferro. Tutto muta, caricaturale e deforme.
Un mancamento,
niente colazione… ecco perché.
Si
aggrappa all’aria fumosa e riesce a riprendere il passo.
Nottata
pesante, pesantissima. Troppe fotocopie sbiadite, troppo evidenziatore negli
occhi, troppa geometria, troppa nicotina e troppe, troppe parole…
Se Giulia
potesse esprimere un desiderio in questo momento si circonderebbe all’istante
di un silenzio religioso. Una quiete rara ed eterna.
Se
potesse…
Intanto
dalle grondaie una corona d’occhi l’ha già adocchiata. La segue mentre si
infila nei vicoli e sbuca in piazza S.Francesco. Quegli occhi luccicano golosi
e voraci alla vista della scintilla purpurea che Giulia stringe in petto e che
lei stessa alimenta.
Schioccare
chitinoso, gocciolio di colla, odore di polvere. La figura nera si disfa come
una scultura di cenere e una donna dai capelli color ferro e le labbra
sanguigne sbuca poco più sotto da un portone.
Entra
nella grande libreria allentandosi la morsa della sciarpa. Si guarda intorno.
Il
solito labirinto bianco stipato di edizioni economiche.
Non sta
cercando niente, vuole solo costringersi a passare un pomeriggio fuori casa.
Spulcia tra le nuove uscite correndo con gli occhietti castani sulle copertine
colorate. Sfoglia le pagine giallastre vergate dalla stampa da quattro soldi.
“Sta
cercando qualcosa?” no grazie.
Ecco in
fondo la saletta sui libri d’illustrazione e fotografia. Un quarto d’ora buona
sul lavoro di un acquerellista inglese, troppo a giudicare dallo sguardo
dell’acida commessa.
Giulia
sospira, ripone il libro nello scaffale.
…e non
può credere alle sue orecchie.
Si
perché solo una persona ha quella voce… una cantilena infantile e quella “s”
mai perfetta… debole ricordo della sua terra…
Giulia
si scaglia lungo i stretti corridoi di persone grigie, arrivando fino al
bancone… e lo vede… oltre l’angolo di cartoline ed agende.
Sta
chiedendo informazioni al commesso.
Sguardo
verde, muschio scuro sulla pelle lunare. I capelli sono corti, neri, lucidi.
Porta un cappotto nero, pantaloni eleganti, stivaletti di vernice. Diverso… ma
pur sempre lui.
E così
la giovane e insignificante studentessa perennemente in ritardo con le bollette
e con gli esami stringe il ciondolo d’argento che sembra emettere un suo
calore… e rammenta le parole della signora vestita di nero. Il tono basso le fa
vibrare le tempie e le riempie i pensieri fino all’orlo.
“se lo
incontri… libera il serpente… e non lasciarlo più andare.”
Le
piccole dita corrono a far scattare il meccanismo. Le labbra tremano, il cuore
esplode in una rosa di scintille purpuree. Gli occhi piangono lava quando li
alza estasiata per guardare il suo amore perduto.
Algido
come l’inverno.
Terribile.
Indietreggia…
incredula si appoggia all’espositore di calendari. Lo fa cadere… e intanto il Principe
dalle lunghe orecchie e la pelle di ghiaccio scompare nel labirinto di carta su
per la scalinata che dà al piano superiore.
Fiato
corto, la fronte brucia, gli arti sono pesanti.
Giulia
arranca tra le persone. I colori l’accecano, il grigio la disgusta. Lo cerca
con lo sguardo…è ancora là… sale lentamente con la grazia di un Principe e le
piume della sua coda nera ricadono dolcemente lungo i gradini bianchi… sta per
raggiungerlo quando si ferma.
"...E
c'è una scelta, una scelta importante...E molto della tua vita dipenderà da
questa scelta.Quindi stai molto attenta, rifletti su ciò che fai,
Giulia..."
Esita.
Eccola
la scelta.
…e
nessuno intanto nota la donna dal volto bianco che legge indisturbata un
vecchio tomo miniato sul fondo del corridoio.
Nessuno
la vede mentre chiude il libro che si sgretola in uno sciame di polvere nera.
Nessuno
rabbrividisce mentre dalla bocca cola un liquido denso e scuro e colla
scarlatta.
Nessuno
corre via urlando quando gli arti uncinati e pelosi avanzano picchiettando sui
dizionari e le guide turistiche in direzione della scalinata.
Nessuno
può avvertire Giulia mentre la mano diafana le sta per prendere il collo
sottile e le fauci della ninfaracnide si spalancano.
“MARCO!”
La sua
scelta.
Giulia
scatta in avanti.
L’artiglio
della donna ragno la manca di pochi centimetri.
Piange
sangue e fuoco.
Un
ruggito alle sue spalle.
“MARCO!
ti prego… sono io… IO!”
La
ragazza avanza fino alla scalinata.
Il
Principe albino si gira guardandola dall’alto in basso.
Lo
sguardo crudele la trapassa come una lama di vetro… ma per sua fortuna dura
poco. Gli occhi d’opale si trasformano in dischi di smeraldo e la maschera di
porcellana si disfa come nebbia.
Un
lungo istante di silenzio.
Giulia
boccheggia…
“cos’è
successo…”
Marco
la guarda come un bambino che si sta giustificando davanti al padre… Paura,
sgomento, impotenza… pensa a qualcosa… a tutto quanto… da dove cominciare… da
quant’è che non si vedevano…
“Io…”
“Marco…
cosa… cosa mi sta succedendo…”
La
ragazza avanza cercando risposte… implorandolo. Il suo sguardo chiede… Chiede…
CHIEDE.
“Cosa
sei...c…cosa… Marco ho paura…”
Ma
l’inverno scende su di loro stringendo il piccolo corpicino di Giulia in una
spirale di brina. Kalèidon scende gli scalini inspirando potere dal gelo denso come
nuvole. Raccoglie una lacrima di smeraldo e la porta ai capelli scendendo con
l’artiglio d’argento lungo la nuca. Guarda Giulia con la triste freddezza di
chi sa cosa deve fare.
La voce
è velluto, bassa, sicura e avvolgente.
“Non ti
preoccupare Giulia… ti sono mancato?”
Lei si
aggrappa alla veste di broccato nero.
“Cos’è
successo… cosa… sei cambiato… Marco cos’hai fatto…e queste…”
accarezza
il piumaggio nero dagli occhi di lapislazzulo.
“io non
capisco…”
“Non
c’è nulla da capire Giulia… tutti cambiano… anche tu sei molto diversa da come
ti ricordavo.”
E il
sorriso di Kalèidon è dolcissimo, bello e candido… il Principe che lei ha
sempre sognato…
“Non…
voglio lasciarti… te ne sei andato e io…”
“Giulia…”
“…”
“Giulia…”
Il
Principe le prende il piccolo volto con delicatezza avvicinandolo al proprio.
Lei lo guarda, commossa, piena di quella luce, e si abbandona… nuovamente
innamorata… cercando con le labbra quelle del suo Marco…
Le
incontra per un istante, tanto bello da essere sicuramente il migliore di tutta
la sua vita fatta di uscite squallide, code alla segreteria dell’uni, e
fotocopie.
Finalmente…
ecco a cosa si riferiva la cartomante… Giulia stringe il suo Principe… ha fatto
la scelta giusta…
Poi il
gelo le entra dentro, dritto fino al cuore.
Le
braccia forti la stringono soffocandola mentre cerca di divincolarsi da quelle
lame che le lacerano la trachea con violenza. Scalcia mentre tutto il piacere
svanisce, insieme al dolore, insieme al desiderio, insieme all’estasi e
soprattutto insieme all’amore. Guarda il suo Principe che si fa guardare,
ammirare, adorare… lo guarda mentre lui le ruba la scintilla purpurea dagli
occhi.
“Scusami
Giulia…”
(Questi sono i racconti sull’ adolescenza di Tanachvil tra
i mortali, quando ancora si chiama Maddalena e si svolgono negli anni ottanta.
Attenzione: Alto contenuto di gergo bolognese!)
Nevicava, e pure forte, sotto casa
di Maddalena non c'era il portico e le si stavano ammosciando i capelli con
l'umidità, e quegli stronzi non arrivavano. Nemmeno aveva voglia di uscire,
quella sera. Si era fatta una bella crisi familiare pomeridiana e adesso le
faceva male la testa.
Quel pomeriggio era tornata a casa
e a sua madre era venuto un mezzo infarto, e dire che non era la cosa peggiore
che avesse fatto al suo aspetto fisico negli ultimi mesi…Se poi avesse saputo
il resto! Ma quel pomeriggio era tornata a casa con un km di capelli in meno, e
a sua madre era saltato il tappo: bum! Esplosa in lacrime per i suoi bei
capelli (belli? Ma quando? Dai mamma sembravano finti!) e le trecce che non
avrebbe più potuto farle (Oh, ma dai, guarda che in un paio d'anni sono già
lunghi di nuovo!) e le cose che avrebbe detto sua nonna (Le stesse che stai
dicendo tu?) eccetera, eccetera…Poi era tornato suo padre e l'aveva guardata un
po' male, ma alla fine le aveva accarezzato la testa e aveva sorriso.
In fondo si era solo tagliata i
capelli! Corti, ok, molto corti, dispari, va bene, forse un po' troppo dispari,
ma non era mica la fine del mondo!
E quegli stronzi non arrivavano.
"Oh Madda! Cheffai stasera?
Noi andiamo a mangiare le crescentine, vieni?"
Si, ma ci muoviamo?
Dal fondo della strada sbucarono
di colpo i fari di una Ritmo: rapido avvicinamento, frenata, portiera aperta,
Maddalena a bordo, portiera chiusa.
"Oh stronzi! Potevate
metterci di più, così mi surgelavo per bene!"
La strada non era delle migliori
con la neve che era caduta in quei giorni, ma arrivarono senza slittamenti o
frenate lunghe, cosa quasi miracolosa dato lo stato criminale di conservazione
delle gomme. Dentro si stava bene, era caldo e c'era un gran caminetto acceso,
qualcuno li guardò storto quando varcarono la soglia. Una signora col grembiule
cacciò un'occhiataccia al ciuffo blu elettrico di Miriam, o forse agli orecchini
di Vittorio, o magari ad entrambi.
Di certo i quattro darkettini
ruspanti non erano passati inosservati.
Maddalena ormai aveva perso il
conto delle crescentine mangiate e dei bicchieri di Sangiovese che aveva
buttato giù, e stava bene. Magari era il calduccio del fuoco, o il sano sapore di fritto e affettato, ma non
se ne sarebbe voluta andare più.
Però la testa girava, eccome se
girava (Okkio bimba!Che il sangiovese è traditore!) e lei decise che era il
caso di fare un giro fuori, anche se faceva un freddo cane, anche se nevicava.
Maddalena si alzò di scatto,
barcollando un po' "Vado a prendere un po' d'aria…Torno tra dieci
minuti…Hai una paglia Anto?"
Presa la paglia e il cappotto,
presa anche la sciarpa, infilata la porta: fuori!
L'aria era gelata, ma buonissima,
non nevicava più, Maddalena camminò per un po' nel parco intorno al casale,
gironzolando tra gli alberi carichi di neve…"Toh, un tasso…Questo ha le bacche velenose…Me lo
diceva Marta. E questo …Cos'è pure…Merda, così, senza foglie è difficilissimo…Mah…Sembra
un Nocciolo. Questo lo so, aspetta…Cigliegio? Pesco?"
Mandorlo
"Grazie!
Oh…ma sei tu? Cos'è adesso mi
metto a parlare con gli alberi?"
Il mandorlo era forte e sembrava
anche vecchiotto, Maddalena si sedette a terra, fregandosene come al solito del
bagnato e dello sporco, quando si trattava di stare in mezzo a un prato o
vicino a un albero. Tirò fuori dalla borsa una scatoletta e un pacchetto di
cartine. "Probabilmente me lo sono
immaginato…Però è vero, sei un mandorlo. Mah…Marta dice che lei con gli alberi
ci comunica…Magari imparo anch'io. Intanto mi fumo una canna qui con te, così
facciamo conoscenza, ok?"
L'albero non rispose, per fortuna,
Maddalena non avrebbe saputo come fare per offrirgli un tiro, ma intanto che il
fumo si sbriciolava, senza bene sapere il perché, continuava a parlare.
"Beh, sai che stai in un bel posto? Mi piace! si mangia bene e non ci sono
paninari e cinnazzi rompiballe…A dire il vero forse anche io sono un po' una
cinna…Ma non sono rompiballe! E poi ho quindici anni, mica tredici!" Si
fermò per dare un leccotto alla cartina "Devi essere bello a primavera!
Con tutti quei fiori bianchi! Perché ce li hai bianchi vero, i fiori?Io sono
sempre nera, anche a primavera…E' che non mi va di vestirmi a colori solo perché
lo fanno tutti…Per me devi essere come ti senti. E io mi sento nera da
morire…Quasi sempre, sai?E piango un casino e mi sento come se mi mancasse un
pezzo dentro e senza quello non vado…"
Maddalena accese la canna e diede
un paio di tiri, con la testa appoggiata al tronco. Si stava bene, non era
freddo in quel punto. Pensò che forse erano i rami dell'albero…O l'effetto
igloo che faceva la neve tutto intorno, ma si stava davvero bene appoggiati lì,
anche se quel posto non era proprio il suo genere e magari preferiva il Cubo o
qualche altro posto in cui ballare. Magari se anche lì avessero messo un po' di
musica non sarebbe stato male…
Ricominciò a nevicare e a
Maddalena rimaneva in mano soltanto il filtro, si alzò e si diede una ripulita
con le mani al fondo del cappotto, bagnato e sporco di fango.
"Beh…Io torno dentro a bere
qualcosa. Però mi é piaciuto parlare con te! Magari ci rivedremo uno di questi
giorni…" Senza pensarci fece una cosa che subito dopo le sembrò davvero
stupida, si protese in avanti e lasciò un bacio leggero sul tronco dell'albero,
poi sorrise e si voltò per andarsene.
A presto.
Cosa?
Ah, sì, a presto, ok…Merda devo avere bevuto un po' troppo!"
(Le fate fuggirono la banalità del mondo moderno e
scomparvero secoli fa per poi ritornare a vivere tra noi nascondendosi sotto
spoglie umane.
Sono i Changelings.
La natura umana però spesso si confonde con quella fatata
e la presa di coscienza della propria reale natura spesso è lenta e traumatica
al tempo stesso.
Questo è il risveglio di Tanachvil.)
Sto male…
Non riesco a definirlo oltre. Stare male. E mi sembra di
non essere mai stata peggio.
Maddalena camminava alla deriva
per Bologna, erano tre giorni che faceva fuga, non sopportava di stare in
classe, non sopportava le voci, le idiozie, il frastuono lacerante della
campanella, ogni ora, ogni maledetta ora.
E in più doveva essersi presa un
accidente l'altra sera, Che idiota! Stare
mezz'ora seduta per terra, in mezzo alla neve…Ci credo che adesso ho 'sto mal
di gola assurdo!
Erano tre giorni che non riusciva
quasi a parlare, ogni volta che provava ad emettere un suono la voce le si
strozzava in gola e una fitta, come una puntura profonda, le serrava il collo,
le spalle, fino al petto. Almeno niente raffreddore, era già qualcosa…Ma niente
febbre, quindi le toccava andare a scuola, almeno doveva uscire di casa la
mattina, poi camminava per la città per ore, si fermava sulle panchine o in un
bar a scaldarsi per poi tornare fuori, a prendere il vento gelido di febbraio
in faccia.
Era di un umore schifoso, da
giorni, e dire che stava andando tutto bene, la congrega di streghe era una
seconda famiglia, Marta era sempre pronta ad aiutarla e consigliarla, sua madre
alla fine si era rassegnata al suo taglio drastico di capelli e anche agli
orari non proprio ortodossi a cui rientrava il venerdì e il sabato…Tutto bene.
Ma stava male.
Sua nonna era stata quasi contenta
di vederla coi capelli corti "Così sembri un maschiaccio! E almeno stiamo
tranquilli per qualche anno ancora! Eh, quando ti ricresceranno vedrai che
comincerai ad avere tutti i tuoi morosini e allora io mi preoccuperò…"
Preoccuparti nonna? E di che? Ormai è un po' tardi per
preoccuparti!
Decisamente sua nonna non
immaginava, ed era meglio.
Tutti i venerdì andava a ballare,
usciva di casa vestita pesante, coperta fino alle orecchie, poi, a casa di
Miriam si cambiava, si tirava come una dannata e usciva con gli altri. Oppure
andava a vestirsi da Alex, e a volte capitava che tra il togliersi i vestiti
con cui era uscita di casa e mettersi quelli che aveva nello zaino, passasse
molto tempo. Ma dopo si usciva comunque.
E poi ballavano, bevevano,
fumavano e qualche volta tiravano anche, quando ce n'era, e la settimana scorsa
era così ubriaca che, le avevano detto, si era fatta uno nel bagno, dai
lavandini, e lei non si ricordava neanche chi cazzo fosse, ma non gliene
fregava granché.
Era così da un po', e andava bene,
ma ora no, ora stava male, ora si sentiva la quindicenne più vecchia di
Bologna.
Prese un gettone dalla tasca
destra del cappotto ed entrò in una cabina.
Due squilli, poi
"Pronto?"
"Pronto, buongiorno, sono
Maddalena, c'è Fabio per favore?"
"Sì, te lo chiamo
subito…" Passi nel corridoio, rumore di ciabatte in avvicinamento.
"Ohi, piccola, come va?"
"…così. Senti che stai
facendo? Ti va di prendere un caffè? sono in giro…"
"Hai fatto fuga di nuovo, eh?
Stavo studiando un po', ma un caffè mi andrebbe…Ascolta, se passi qui ti faccio
un caffè e ti do anche un po' di torta di riso, ti va?"
Maddalena mugugnò un sì e appese
la cornetta.
Mentre Fabio tagliava una fettona
di torta Maddalena stava appollaiata su uno sgabello imbottito, col le gambe
semi incrociate e un muso incredibile.
"Che hai combinato? Avevi
un'interrogazione?"
"No, mi giravano, non avevo
voglia…E' che ultimamente sono un po' giù…"
Da quando avevano celebrato
Beltane insieme, di tanto in tanto si vedevano, passavano le ore a guardare la
tivù, chiacchierare, mangiare schifezze, poi qualche volta finivano a letto e
magari fuori a bere fino alle cinque. Ma soprattutto Fabio era un 'confessore'
ideale, non la giudicava mai, non la sgridava e sapeva dare i consigli giusti
al momento giusto.
"Come va col tipo…Come si
chiama? Daniele?L' hai poi visto?"
A Maddalena si illuminarono gli
occhi per un attimo "Sì! Ci siamo visti…Madonna, Fab! Non so cosa mi sta
prendendo! E' che l'ho slumato per troppo tempo! Credevo che una come
me…Insomma, mica sono una pin-up! E invece! Non so…Non vorrei gasarmi troppo,
però mi sa che gli piaccio proprio!"
"Certo che gli piaci, scema!
Quand'è che la smetterai di sottovalutarti?"
Sottovalutarsi…Sì ma Daniele era
davvero troppo!
Ecco, andava tutto così bene!
Persino il tipo più figo che avesse mai visto che ne voleva proprio da lei,
dopo che lei e Miriam lo avevano adorato a distanza a qualsiasi serata dark
negli ultimi quattro mesi! Ed era venuto a cercarla lui, per chiederle
d'accendere, e poi le aveva offerto da bere, e poi avevano ballato, e poi una
passeggiata, e poi casa sua…E non le sembrava vero! E aveva subito chiamato
Miriam e poi anche Serena, che però un
po' l'aveva smontata, …"Dai? Daniele? Ma per favore! C'avrà trent'anni! E
poi lo sai, a me i capelli così lunghi non piacciono…E secondo me ha le unghie
finte! Ma se a te piace…"
Certo che le piaceva! E magari,
chi lo sa…Poteva essere la volta buona che la piantava di farsi il primo che
capitava e si metteva davvero con qualcuno a cui teneva…
"Oh! Madda? Ci sei?"
"Scusa…Mi ero un attimo
estraniata! Comunque non so, spero che vada bene…Ti tengo aggiornato! "
Mangiarono la torta, bevvero il
caffè, poi Fabio tornò a studiare e Maddalena verso casa.
La serata non era iniziata male,
non troppo, Maddalena si sentiva una gran figa, vestito di velluto e pizzo,
scollatura generosa, stivali con la punta e veli appuntati dietro alla testa.
La quantità di alcol in corpo era già parecchia, la musica era buona, eppure
nemmeno lì si sentiva del tutto a posto. Era come se fosse morto qualcuno e lei
lo avesse dimenticato. E tutto da quella dannata serata a mangiare le
crescentine…Era colpa del fritto?
Ballava aspettando di vederlo
arrivare, di vederlo spuntare dalla porta. Si immaginava di vederlo camminare
in mezzo alla gente, verso di lei, di sentire il suo profumo e il suo passo
leggero accanto…Ma non arrivava, non lo vedeva.
"Sebaaaa! Hai visto
Daniele?"La gola le faceva un gran male,
"Chiii?"
"Daniele!"
"Ah!
Daniele? Sì…Guarda, l'ho visto prima…Però è un
po' che…"
"Allora è già qua?!
Grazie!"
Dov'era? Maddalena lo cercò
dappertutto, ma non riuscì a trovarlo.
"Ciao Mad!"
Si voltò verso la voce: Serena.
"Ciao Sere…Come va?"
Chiacchierarono un po' di cazzate,
qualche pettegolezzo stupido e a Maddalena faceva sempre più male la gola,
tanto più che per riuscire a farsi sentire lì in mezzo le toccava urlare, o
almeno provarci.
"Hai mica visto Daniele? Mi
hanno detto che prima era qui"
" Ah…Daniele? No, non l'ho
visto…Cioè, l'ho visto prima, a inizio serata, ma adesso…Non saprei!Sei ancora
così cotta?"
"Beh…Insomma, schifo non mi
fa! E poi ti dirò, sono convinta che
anche a lui abbia preso bene…"
In quel momento Daniele entrò
nella sala e Maddalena si zittì di colpo. Le sembrava un dio, uno qualsiasi, e
quel dio veniva verso di lei…
"Ciao bella…" Due bacini
casti casti, e un'occhiata di quelle
micidiali. Poi si voltò un attimo verso
Serena "Ciao Sere…Tutto bene ragazze, che si dice in giro?"
Parlarono cinque minuti, poi
Serena si scusò e disse che doveva andare verso casa "Domattina ho gli
esami del sangue…" Si salutarono e Maddalena rimase sola sul divanetto con
Daniele.
"Andiamo a ballare?"
"Mi dispiace splendore, ma
stasera devo scappare…Sono giusto passato a fare un saluto…"
Si alzò.
"Però ti prometto che venerdì
prossimo arrivo presto e resto finché non mi cacci!" La guardò con gli
occhi socchiusi e un mezzo sorriso, mentre raccoglieva il cappotto e le chiavi
della macchina dal tavolino.
Maddalena lo guardò uscire dalla
sala…Sapeva di essere un po' ridicola, doveva avere gli occhi a cuore in quel
momento! Ma non gliene fregava poi molto!
Ma sì! In fondo avrò pure il diritto di essere contenta!
Corse verso la porta facendo lo
slalom tra le teste cotonate e le sigarette accese, arrivò alla ringhiera del
balconcino che dava sull'esterno e si sporse per vederlo andare verso la
macchina.
E poi sentì un gran freddo.
All'inizio fu soltanto freddo, un
gelo fortissimo, che da quel momento non l'avrebbe abbandonata più, poi la
testa cominciò a girare, ma non perse l'equilibrio e restò ferma, fissa a
guardare.
Guardava la strada, la macchina di
Daniele, Serena appoggiata con la schiena ai finestrini, la testa all'indietro
e una gamba piegata. E, a reggere quella gamba, il braccio di Daniele, Daniele
spalmato completamente su di lei mentre la baciava.
Poi si staccarono, lui le aprì la
portiera, salirono in macchina e partirono in fretta sparendo dalla vista di
Maddalena.
Freddo. Solo freddo, un freddo
atroce, e nient'altro. Continuava stringere la ringhiera con tutte le sue forze
e a fissare la strada e intanto le tornavano in mente frasi…"Dai? Daniele?
Ma per favore! C'avrà trent'anni! E poi lo sai, a me i capelli così lunghi non
piacciono…E secondo me ha le unghie finte! Ma se a te piace…"
…
"Ah…Daniele? No, non l'ho
visto…Cioè, l'ho visto prima, a inizio serata, ma adesso…Non saprei!Sei ancora
così cotta?"
…
Maddalena stringeva la ringhiera e
si sentiva formicolare tutto il corpo, non sentiva altro.
"Madda? Madda? Che fai lì?
Stai male?"
…
"Oh, Maddalena! Merda, questa
non si muove! Madda che ti sei fatta?Guardami!…Merda!"
"Che succede?"
"Non lo so, dammi una
mano…Maddalena non si muove di qui…Aiutami, staccala dalla ringhier…Occazzo!"
"Ma è tutta piena di
sangue!"
"Come cazzo ha fatto?"
"Non lo so…dio! Ha le mani
tutte tagliate…Madda!!! Cazzo rispondimi!"
Maddalena non si muoveva. La
portarono su un divanetto e lei si sedette da sola, ma non dava altri segni di
vita.
Guardava la sala, illuminata in
blu e rosso, la gente vestita di nero, e le sembrava che tutto si muovesse come
su una barca. La sensazione di male
dei giorni precedenti, si era fatta così acuta da diventare il totale delle sue
sensazioni. E non le dava più fastidio.
Si sentì debole, per un attimo
pensò di svenire, poi scosse la testa, si alzò e andò verso il bagno.
Rassicurò con un gesto chi le
stava accanto, stava bene, niente di che,
bevuto troppo, pensa un po' quel cazzo che vuoi…Sangue? Oh, già, hai ragione.
Non fa male…Ma perché non mi esce la voce?
Freddo, forse è colpa del freddo…No.
Arrivò in bagno e guardò la sua
faccia nello specchio mentre faceva scorrere l'acqua per sciacquarsi le mani.
Ebbe un capogiro violentissimo, e la nausea, forte, che le premette alla bocca
dello stomaco.
Gli occhi…Cos' hanno i miei occhi…Si passò un dito sul viso, lasciando una scia rossa di
sangue dove toccava.
Quella che toccava era la sua
faccia, ma allora perché aveva occhiaie così solcate e profonde…E il sangue
richiamava qualcos'altro di rosso in fondo alle iridi. E i capelli? Non ci
aveva fatto subito caso… Io li avevo
tagliati i capelli… Strizzò gli occhi un secondo e quando li riaprì,
davanti a lei c'era Maddalena, quella di sempre, soltanto che ora le mani le
bruciavano da matti e non capiva come avesse fatto a spappolarsi i palmi a quel
modo.
Fece per sciacquarsi sotto il
getto del rubinetto, poi invece restò a guardarlo.
Nel bagno c'era solo lei, guardava
l'acqua e pensava… Daniele. E Serena…Chissà
quanto le aveva riso dietro lei…La immaginava, al telefono con un' amica a
ridere di lei, dei suoi sentimenti e delle sue illusioni puerili…La vedeva
ridere di gusto e poi venirla a salutare un secondo dopo, a chiacchierare di
Daniele,a dirle che secondo lei potevano essere una gran bella coppia…
La rabbia le stava montando dentro
velocemente, la sentiva scorrere come quell'acqua, le passava attraverso e la
cambiava, la rimodellava…
All'improvviso vide un fiume e le
sembrò di essere immersa tra le acque di un
torrente in piena, al buio, ma fu un attimo soltanto e subito tornò
l'acqua del rubinetto che riempiva il lavandino…
Maddalena chiuse il tappo, spense
l'acqua e lasciò che il suo sangue gocciolasse…L'acqua divenne rosata, poi
rossa, e poi scura, troppo scura, uno specchio, e lo specchio rifletteva
l'immagine di quella strana Maddalena che prima era comparsa per un attimo…
Poi l'immagine si trasformò, e
diventò una macchina, con due persone a bordo, su una strada provinciale…Le
mani di Daniele, perfette, candide, i capelli di Serena, il suo viso,
sorridente.
Ridi?
Ridi!
Ridi ho detto!
Sì, smascellati
pure dalle risate, ridi di me? Mi fa piacere!
Spero che tu muoia dal ridere!
Maddalena gettò le mani
insanguinate nell'acqua, e l'immagine svanì.
H.10.30 del mattino dopo.
"Pronto?"
"Pronto Madda…" La voce
di Miriam era rotta, si sentiva che aveva appena pianto.
"…No, sono la mamma, Miriam,
Maddalena non può venire al telefono…Lei, ecco, non riesce più a
parlare…Il dottore ha detto che è una
laringite molto grave e che non deve assolutamente sforzarsi, mi
dispiace."
"Signora, la prego, me la può
passare lo stesso, è importante, le giuro che non la faccio parlare…"
"Va bene, ma solo un
secondo…Maddalenaaaaaaaaaaaaaa!"
"…"
"Madda…Non
credo tu abbia saputo…Non so come dirtelo…Ecco…Serena, è morta. Non si sa
esattamente come, pare una crisi asmatica mentre era in macchina, ieri
sera……"
***
Marzo…
Ormai non parlava da un mese.
Il dottore aveva detto che una
forma così grave di laringite non l’aveva vista mai in tutta la sua carriera e
le raccomandava di provare a parlare anche se le faceva male. Ma a Maddalena
non faceva male affatto, semplicemente non aveva voce, non riusciva a parlare,
non poteva emettere nessun suono, per quanti sforzi facesse. E così ascoltava.
Ascoltava molto di più e ascoltava meglio, aveva imparato a scomparire, a
passare inosservata grazie al suo silenzio, ma c’erano volte in cui avrebbe
voluto urlare, e non poteva.
Dopo la morte di Serena, sua madre
e i dottori erano stati concordi che lo shock psicologico doveva aver
peggiorato la sua situazione, mettendole come un blocco, impedendole di
guarire.
Ma Maddalena sentiva che non era
così, che non c‘entravano affatto tutte quelle palle sui traumi e le corde
vocali e quando pensava alla morte di Serena non si sentiva affatto scioccata,
ma indifferente e gelida.
Non parlava da un mese, nemmeno un
suono, e ormai era diventata silenziosa in ogni cosa che faceva.Camminava
leggera come un felino, per le strade di Bologna, si muoveva velocemente e
senza fare rumore, in ogni momento della giornata.
Non aveva parlato con nessuno
delle strane visioni che aveva avuto un mese prima nell’acqua del lavandino,
voleva capire e aspettava.
Quella sera si trovavano tutti a
casa di Marta per una riunione informale, una cena e poi un po’ di chiacchiere,
Fabio l’aveva convinta andarci “Dai che ti fa bene uscire un po’…no, non me ne
frega niente se non parli, anzi! Così ci dai un po’ di tregua, rompiballe!”
E alla fine era andata.
Aveva bevuto molto del vino speziato che preparava Marta e mangiato nulla, il vino le dava una sensazione di calore dolorosa, pungente, ma piacevole come le unghie di un amante sulla schiena. Il cibo la faceva stare male e basta.
Dopo quella sera erano venute
altre cene, altri incontri, Marta le aveva fatto i tarocchi…
La Morte…’Cambiamenti Maddalena,
cambiamenti radicali…’ e la Papessa, apparentemente fuori contesto, sempre,
ricorrente, ad ogni stesa, la Morte e la Papessa…
Stava arrivando la primavera.
Maggio…
Beltane era stato come un ricordo cui qualcuno avesse modificato i particolari, come quei giochi sulla settimana enigmistica. Avrebbe voluto cantare con le altre, nel bosco, avrebbe voluto gridare a perdifiato la sua invocazione agli Dei, avrebbe voluto…Ma la voce non accennava a tornare. Ormai i dottori le avevano diagnosticato un afonia da shock traumatico che per quanto ne sapevano poteva essere permanente. C’erano stati molti pianti in casa. Non il suo.
Nel bosco, quella notte, Maddalena
sedeva appoggiata al tronco di un noce, aspettando il momento per tornare al
cerchio, dove gli altri già danzavano attorno al palo e festeggiavano. Guardava
l’oscurità, tra i rami, il nulla pieno di cose del buio, assaporava gli odori e
poi qualcosa si mosse.
All’inizio non riuscì a
distinguere altro che movimento, poi vide due occhi luccicare tra i rami e un
piccolo cerbiatto correre verso di lei, guardarla per un attimo e poi fuggire
via spaventato. Un cerbiatto. Nero. Non aveva mai visto un cerbiatto nero…Non
sapeva esistessero. E mentre ancora seguiva i balzi dell’animale tra i
sentieri, in mezzo alle piante, in lontananza sentì una voce, debole, distante…
Si girò di scatto, non proveniva
dal cerchio, non proveniva da nessuna direzione…
L’ultima parola la inchiodò al
suolo, come se la pressione fosse improvvisamente aumentata, sentì il proprio
sangue scorrere velocissimo e qualcosa dentro di lei muoversi, agitarsi, poi
risalire veloce come un geyser fino ad erompere in un grido che di colpo zittì ogni
rumore di festa in lontananza.
Gridò, con la voce che ormai non
aveva da mesi, gridò forte e lacerò la notte, fino a restare senza fiato, poi,
finalmente, dopo mesi, pianse.
Giugno…
La scuola finalmente finì. Era uno
strazio dover sostenere tutti quegli esami scritti, ma tanto non c’era nulla da
fare, la Cevenini Maddalena della quinta A ginnasio era muta, non poteva mica
essere interrogata come tutti i ragazzi ‘normali’…
La scuola finì e Maddalena fu
promossa, niente da dire, ottimi voti ovunque, a parte matematica s’intende.
La scuola finì e Maddalena partì
per squallide vacanze montane con famiglia e cuginetti. Ore di passeggiate
lungo i torrenti, cinema all’aperto e birre ghiacciate coi ragazzi del paese,
un paio di storie finite subito, una ragazza, molto bella, molto nota, molto
stupida, che per tutta l’estate aveva fatto di Maddalena il suo principale
bersaglio per scherzi idioti, finì in un crepaccio e fu ricoverata all’ospedale
con gravi lesioni al viso e alle gambe. Maddalena andò a trovarla, ma nessuno
seppe mai cosa si dissero. Gli infermieri sentirono che lei piangeva, mentre
Maddalena usciva dalla stanza e scendeva lentamente le scale verso la porta
d’uscita.
Ottobre…
Samahin.
Sulla scrivania di Maddalena, tra
i libri e il portacenere, stava un invito ciclostilato per una festa di
Halloween a Calderara…Miriam e Alex ci andavano, avevano provato di convincere
anche lei, alla fine avevano desistito.
Fabio passò a prenderla col
furgone alle otto e mezzo, il freddo di fine ottobre appannava i vetri e la
radio gracchiava un notiziario regionale.
“Sei pronta? Dai, sarà una
celebrazione bellissima, vedrai, Marta ha fatto il vino speziato che ti piace
tanto e abbiamo trovato un punto nel bosco dove si vede tutta Bologna
dall’alto, vedrai che splendore!” Fabio chiacchierava, Maddalena sorrideva
svogliatamente.
Samahin era come un invito silenzioso e Maddalena lo aspettava, sentiva nell’aria un cambiamento, la fine di qualche cosa di importante era alle porte… Ma in fondo era proprio questo il succo, no? La fine dell’anno, il cambiamento…La Morte…I tarocchi.
Quando aprirono il cerchio, il
loro fiato condensava l’aria gelida creando una nebbiolina evanescente attorno
a loro, Marta conduceva il rituale, Maddalena stava di fronte a lei, dalla
parte opposta del cerchio, gli occhi fissi sul calderone da cui le fiamme
portavano all’aria il profumo delle erbe aromatiche…
“Le porte tra i mondi sono sottili, tutto ciò che è ora
termina, tutto ciò che ora termina rinascerà dalle fiamme…”
Lentamente le parole di Marta le
entravano nella mente e Maddalena cominciò a sentire un’ ondata di nausea e di
vertigine, poi la sensazione della terra sotto i suoi piedi si fece sempre più
debole…
“Samahin porta le voci di chi non è più, di chi ora è
altro. Ogni cosa incontra la sua fine e ogni fine incontra il suo inizio, il
cerchio si chiude…”
Gli occhi di Maddalena si aprirono
di scatto sulla notte e vide …
Vide il fuoco del calderone
alzarsi al cielo con un balzo, vide ogni altra cosa paralizzarsi attorno a lei
e al cerchio, vide se stessa muovere lentamente un passo verso le fiamme…
Sì alzò
la nebbia attorno al cerchio, all’improvviso, densa, bianca, innaturale…
“Tutto termina e tutto
ricomincia, qui Lui muore per rinascere da Lei, qui ogni cosa brucia tra le
fiamme e le voci del passato si fanno presenti…”
Marta interruppe la preghiera e il silenzio si fece di ghiaccio,
mentre Maddalena avanzava verso il calderone. Ora tutti potevano vedere la
fiamma alzarsi verso il cielo e la ragazzina avvolta dagli abiti bianchi
avvicinarsi alle fiamme con lo sguardo assente.
“Maddalena…” La voce di Marta era
calma e ferma “Maddalena rispondimi se puoi farlo…con un gesto, se mi senti…”
Maddalena arrivò al calderone con
un ultimo passo. Fabio era pronto a correrle incontro per impedire… Per
impedirle di fare qualsiasi cosa di pericoloso.
“Maddalena…” La voce di Marta si
era fatta un poco più decisa e suonava più come un severo richiamo “Maddalena
ora fermati!”
“NO.”
Alzò il volto dalle fiamme e quanti le erano di fronte trattennero
il fiato. La voce che per mesi era mancata ora si era fatta un sibilo, un
sussurro profondo che tutti potevano udire distintamente e che paralizzò
l’istante.
“No. Non mi fermerò, sorella. “
Gli occhi di Maddalena si erano fatti rossi come le fiamme, forse per il
riflesso del fuoco, ma ogni cosa intorno a lei sembrava farsi rossa e scura
come lava, tutti, indistintamente, sentirono il terreno farsi caldo sotto ai
piedi. Maddalena afferrò l’athame dall’altare e lo passò tre volte sulla
fiamma.
“Non…Non c’è più Maddalena.” Il coltello rituale tagliò la mano sinistra, qualche
goccia di sangue scuro e denso colò tra le fiamme.
Un corvo gracchiò in lontananza.
Istintivamente il cerchio si prese
per mano, Marta cominciò per prima, poi seguirono gli altri, alzando un canto e
con il canto loro stessi si protesero verso Maddalena, dandole forza, dandole
sostegno.
Il coltello tagliò la veste e qualcos’altro.
Forse solo Marta, Fabio e pochi
altri lo videro, ma sembrò che l’athame incidesse in profondità la pelle di
Maddalena e una luce cremisi si liberasse dalla ferita, come sangue vaporizzato
e iridescente. La veste finì nel fuoco e bruciò in un istante. Maddalena vedeva
ogni cosa intorno a lei come se fino a quel momento fosse stata cieca, poi fu
certa di aver già fatto quel che stava per fare, un infinità di volte e
l’ultimo residuo di paura svanì, lasciando cadere a terra il suo involucro
mortale, come un bozzolo consunto. Poi si mosse e saltò.
Saltò veloce, come le stesse
fiamme, attraversando con un solo fluido movimento la colonna di fuoco che
ormai si alzava dal calderone, atterrando dalla parte opposta mentre la terra
tremava sotto i suoi piedi e tutto il bosco veniva scosso da un tremito reale e
concreto.
Restituì l’athame a Marta, poi, si
voltò di nuovo verso il resto del cerchio, cristallizzato nell’attesa.
“Ogni cosa stanotte muore, ogni
cosa rinasce. Ciò che non c’era ora è qui, ciò che c’era è scomparso. Questa
notte come allora il patto con la terra e sigillato, questa notte saluto
Felsina, dopo le nebbie dei secoli… Le
porte tra i mondi sono sottili, tutto ciò che è ora termina, tutto ciò che ora
termina rinascerà dalle fiamme…Ogni fine incontra il suo principio, il serpente
morde la sua coda…Poiché il mio legame a questa terra è forte, ora io sono
QUI…”
Esitò un istante, poi un sorriso le si dipinse in volto e di nuovo
con quel grido sussurrato: “Tanachvil!”
(Un altro racconto dalla vita di Dama Tanachvil coi
mortali.
Si svolge anni dopo i racconti del risveglio, ai giorni
nostri. )
Passa un autobus, rumoroso, su via
Farini alle mie spalle.
Entro in tabaccheria tenendo
sollevato l'orlo della gonna…mi si sta rompendo un tacco.
Piove, la prima pioggia dopo
Mabon.
"Diana blu."
"…"
"Grazie."
Butto gli spiccioli alla rinfusa
nella borsa e strappo la plastica delle sigarette, poi l'alluminio.
L'accendino è scarico da mesi, ma
la paglia si accende lo stesso. Piccoli vantaggi di essere una strega. Cazzate.
I tacchi fanno un rumore ovattato
sotto il portico. Mi siedo sul muretto e aspetto.
Fabio arriva con le mani in tasca
e la testa china, poi mi vede e abbozza un sorriso buffo e i suoi
cinquantacinque anni spariscono in un ghiacciaio verde tra le sue palpebre.
"Ciao…sono in ritardo,
scusa…Mi hanno trattenuto a scuola."
Gli sorrido, non fa niente, e
intanto mi gusto l'odore magnifico che ha…Dopobarba, sigaro Toscano e resti di
olio rituale…Mi riempio bene le narici e mando giù, mentre un brivido
intermittente mi attraversa carico di ricordi.
"Andiamo? Ho freddo
qui…"
Gliel' ho promesso dopo il rituale,
mi ha detto che ci teneva moltissimo…Ha giurato che non avrebbe fatto nulla di
dannoso, e ai suoi giuramenti credo, ai suoi sì…
Mi incammino verso la porta della
chiesa ed entriamo nella penombra che sa d'incenso, non parliamo, non ci
guardiamo, arriviamo silenziosi al piccolo confessionale ed entriamo. Non ci
vede nessuno, non c'è nessuno.
Quando entriamo nella freehold
Fabio mi stringe il braccio, lo vedo sgranare gli occhi e sento il suo cuore
battere veloce. Poi si calma.
"…Scusa…" E' imbarazzato.
Mi lascia velocemente il braccio, ma io lo fermo e mi appoggio del tutto a lui.
"Tranquillo. Qui non hai
nulla da temere. Accomodati."
E così vede Settechiese
dall'interno, e i suoi occhi esaminano ogni cosa, percepiscono la magia, bevono
l'incanto, e diventano ancora più verdi.
"Volevi vederla…Ecco, questa
è Settechiese. "
"E'…sei…E' come te…"
Sorrido, é un complimento "…E
volevi parlarmi, hai detto. Avanti."
Il sorriso gli scompare dal volto
in un attimo, si siede su uno scranno imbottito e si strofina i palmi sulle
guance, fissandosi le scarpe. "Puoi venire qui, per favore…" Mi
indica il divano accanto alla sua sedia, io lo raggiungo. Aspetta che mi
sieda. "Mad…Tanachvil…Qui immagino
io debba chiamarti così, o sbaglio? Tanachvil…Ho pensato molto a quello che mi
hai detto l'altra sera dopo il rituale…e ho concluso che non voglio."
"Scusa?"
"Non voglio! Non voglio
vederti passare gli anni sotto quel velo, sotto quella maschera di durezza che
ti sei imposta. Non voglio vederti appassire, perdere la luce che hai sempre
avuto dentro…Si sta spegnendo…Non voglio! Non posso lasciare che tu ti immoli
come un' idiota per quel cretino crestuto! "
Mi guarda, si aspetta una
reazione, che non arriva, mi limito a fissarlo, so che non hai finito, avanti.
"E…e non sei così scema da
non capire! E allora perché fai così? Cazzo Mad! Ti conosco da vent'anni! Non
c'è mai riuscito nessuno a farti stare buona! Non sei una suora, non lo puoi
essere!Me lo hai raccontato pur tu di quello che ti è successo nella…come si
chiama? Ah, sì, nell' età del sogno! Tu fai casini anche se non vuoi!"
"Fabio…Ora esageri." Mi
guarda come se non mi sentisse. Sta
piangendo.
Si può trarre forza dalle lacrime delle persone che amiamo? Sono
lacrime come le altre? O sono speciali? Mi sento quasi un po' in colpa mentre
bevo un po' del suo dolore…Giusto così, per gradire.
"Adesso mi vuoi spiegare come
fai a dar retta a quel bambino? E' carino, va bene, questo sì, ma avrebbe
bisogno di una balia e qualche bacchettata! Non di una città da governare! E tu
non puoi sostituiti a lui, non è colpa tua se é triste o se é pazzo! Stai
diventando pazza al posto suo? E' questo che vuoi fare? Sei arrivata a questo
punto? allora sei già matta da legare! E sei anche una stupida!"
Sta piangendo, ancora.
Ha le guance rosse e le mani
visibilmente sudate…La vena della fronte pulsa e gli occhi sono uno spettacolo
di acqua e fuoco verde.
Poi mi afferra un braccio.
E' una cosa così rapida che non
faccio in tempo a sgusciare via come al solito.
Non me lo aspettavo, ecco, questo
no…
"Lasciami Fabio, ora."
Glielo dico con calma, guardandolo negli occhi.
Mi prende anche l'altro braccio…Lasciami Fabio, ti prego, non farmelo fare,
ti prego, non voglio farlo… Una Tanachvil interiore supplica di non dover
arrivare a dimostrazioni di forza…
Fabio ha smesso di piangere e si
alza dallo scranno, lo guardo, aspetto, non mi lascia i polsi.
Si siede sul divano, accanto a me,
con una gamba piegata sotto e l'altra appoggiata a terra, poi mi da uno
strattone e mi stringe a sé, bloccandomi qualsiasi movimento.
Me l'aspettavo e lo assecondo. Lo
ha sempre fatto, quando eravamo più giovani, era una delle sue mosse classiche.
L'adoravo.
Mi respira a un centimetro scarso…Aspetto, cosa mi vuoi dire ora?
"Non me ne frega niente di
Evan, non me ne frega niente dei tuoi voti, non me ne frega niente di nessuna
di quelle fottutissime fate…Mi frega solo di te."
Mmm…Un po' scontato.
"Ti amo Maddalena."
…Ah.
OK.
Ecco.
Questa non me l'aspettavo, no…
"Ti amo da non so quanto
tempo, non ho mai smesso…Amo te, amo anche Tanachvil, non ne posso più di far
finta di niente…"
"Ora lasciami Fabio. "
Mi guarda. Cosa ti aspettavi, Che dicessi
che ti amo anch'io? Che abbracciassi un futuro di felice convivenza, figli,
domeniche in montagna, che con le lacrime agli occhi la strega cattiva
scegliesse la retta via dell'amore salvifico?
Mi guarda e non mi lascia. Ma fa
un errore, mi stringe per le spalle non mi tiene le mani.
Lo abbraccio.
Gli strappo veloce un capello
dalla nuca, lo tendo e lo spezzo in due.
Lasciami.
ORA..
Scintille rosso scuro gli penetrano le orecchie. Sbarra gli
occhi…Mi guarda come un cagnolino che non crede che il suo padrone possa dargli
un calcio…Ma intanto sente il dolore.
Mi lascia andare subito.
Pensavo che mi sarebbe
dispiaciuto…Non l'avevo mai fatto. Non avevo mai usato gli incanti del sogno su
di lui, e lui si fidava. Ora non credo si fidi più.
Sia alza e indietreggia, vuole
andare via, si guarda intorno disorientato.
Poi succede qualcosa ai suoi
occhi…Non vedo il momento esatto, ma sento l'energia che si blocca intorno a
lui.
Si volta verso di me e i suoi
occhi sono gelidi. "Io ti amo, per la Dea! Hai capito?"
"Esci di qui." Ancora
una volta lo avvolgo in scintille purpuree e lui comincia quasi a spostarsi.
Poi si blocca. "NO."
Sento l'incanto che si rompe
contro la sua volontà di diamante, e fa male.
Mi fissa con un'aria di sfida ora
e se ne sta lì, in mezzo alla mia freehold, come se ne fosse il padrone.
Intollerabile.
"Ti amo…"
"Io no."
La mia voce riempie la stanza e lo
colpisce come una sassata, visibilmente. ed è più forte di qualsiasi magia.
"Io no, mi hai sentito? Non
ti amo, non ti ho mai amato. Mai. E adesso vattene."
Improvvisamente lo vedo farsi
vecchio, stanco, più di quanto non sia in realtà. E i suoi occhi si spengono.
Si volta e se ne va.
Io rimango sul divano, in
silenzio. Magari fra un po' piangerò.
Per ora mi accendo una sigaretta.
-il lamento per
Evàn-
E' notte tarda, il cielo di
Felsina è spento, le stelle splendono fredde tra la nebbia, come non succedeva
da secoli, il silenzio avvolge via S.Vitale, un ubriaco bestemmia sputando
contro una colonna, i Goliardi passano tra le due torri e non ridono, non
cantano, non ne hanno voglia, la bottiglia resta piena.
Una tristezza silenziosa prende
alla gola, la città non risuona, non canta, non vomita, i cocci di bottiglia
rimasti negli angoli aspettano di essere rimossi.
Tanachvil parcheggia tra
un'impalcatura e una femata dell'autobus, tira bruscamente il freno a mano,
istintivamente si volta sul sedile del passeggero per dire a Shiru di scendere,
ma il posto è vuoto. La chimera è scomparsa. La creatura nata dai suoi sogni di
ragazzina è scomparsa con Felsina tutta, coi suoi sogni massacrati, con il Suo
Principe…
Qualcosa luccica tra la seduta e lo schienale della
poltroncina, incastrato, Tanachvil allunga la mano ad afferrare l'oggetto...Un
lucidalabbra glitterato...Rosso, mezzo consumato...Evàn.
Tanachvil crolla di traverso tra
un sedile e l'altro stringendo quel piccolo, insignificante cilindretto come se
fosse la vita stessa, sulla tappezzeria c'è ancora l'odore di muschio e di vino
che nei mesi si è depositato dai vestiti, dalla pelle, dalle cose di Evàn e le
lacrime le allagano qualsiasi percezione, per minuti interminabili, finché la
volontà prende possesso nuovamente dell'involucro arido della strega.
Chiude la macchina, attraversa il
portico silenziosa sino al portone.
Non c'è bisogno di chiedere chi
sia, Marta da il tiro e Tanachvil sale le scale lentamente, la vecchia strega
la sta aspettando sulla porta, le corre incontro e la abbraccia senza una
parola, senza un suono, poi la porta dentro casa.
Marta ha il viso segnato da
innumerevoli lacrime che rivelano la sua età impietose, la treccia di capelli
bianche e lussureggianti ora è sciatta e sbiadita.
"Hai preparato...Tutto?"
la voce della strega è più roca e flebile del solito.
"Tutto...In taverna, sotto al
lucernario. Vuoi prima un the, qualcosa?"
"No, no, non voglio
nulla...Grazie. Altri?"
"Arianna sta arrivando,
dovebbe..."
Il campanello suona per un
istante, Marta apre rapida la porta, la strega sale veloce le scale ed entra,
lasciandosi dietro profumo di spezie dai capelli sciolti, ha gli occhi
arrossati, struccata, stanca. L'abbraccio è breve, senza parole, poi le tre
donne entrano nella taverna.
"Le altre saranno di ritorno
domani, domanil'altro al massimo..."
Ma Tanachvil smette di ascoltare,
lo sguardo si dirige preciso verso un angolo buio e vorrebbe scappare, ma
inchiodata com è al suolo dal dolore non fa altro che congelarso nell'istante
in cui incontra lo sguado verde di Fabio.
L'uomo esce dall'ombra, sa di
essere stato visto e avanza verso la Vestale senza distogliere lo sguardo dal
punto del velo in cui qualcosa di rosso acceso indica gli occhi. Quando lui le arriva di fronte Marta lascia il
braccio di Tanachvil e fa un passo indietro. Sembra che non debba più muoversi
nulla, si guardano semplicemente senza sbattere le palpebre e nessuno pare
voler cedere. Poi Fabio allunga un braccio verso di lei, sino alla nuca,
delicatamente. E Tanachvil cede, mentre Fabio la tira verso di sè e la stringe,
mentre dalla lava rossa e dal fuoco verde scendono lacrime come giada e granati
e l'immobilità si rompe.
Poi è il momento di comiciare.
Quattro streghe accendono candele
e si pongono ai quattro angoli del mondo. La magia del cerchio riempie la
stanza e la trasfigura, fino a che da un appartamento del centro di Bologna non
si leva il lamento funebre per Evàn Lyeus, Principe delle Fate e Incarnazione
del Dio.
Prima è una melodia, una nenia
senza parole, che da ogni punto cardinale si compone di note diverse, poi
ognuno dona il dolore del suo elemento.
La voce di Arianna si leva e
argentina intona:
"Non più, non più, il suo
profumo porta il mio vento
Piange il respiro del mondo, che
non più sulla pelle sua gioca,
Non più, non più, per sempre mio
Re, Non più, non più, il suo nome ora l'Aria canta."
Poi Fabio si unisce all'armonia
con il tono caldo di un baritono:
"Non più, non più la mia
fiamma riscalda il suo sguardo
Piange la brace del mondo, che non
più la sua danza attende,
Non più, non più, per sempre mio Re, Non più, non più, il suo nome ora il Fuoco canta."
La voce di Marta, decisa e calda:
"Non più, non più, il mio
suolo sorregge il peso suo dolce,
Piange il corpo del mondo, che non
più i suoi passi accoglie,
Non più, non più, per sempre mio
Re, Non più, non più, il suo nome ora la Terra canta."
Infine Tanachvil, arrochita in
principio, poi profonda di mille echi:
"Non più, non più, la mia
onda lambisce il suo corpo,
Piange la linfa del mondo, che non
più dagli occhi suoi sgorga,
Non più, non più, per sempre mio
Re, Non più, non più, il suo nome ora l'acqua canta."
Le quattro voci si uniscono nel nome di Evàn, modulandolo in note ed armonie in continuo mutare, aria, acqua, terra e fuoco si uniscono nel canto che richiama ogni creatura a piangere il suo signore e ogni cosa intorno a loro sembra versare lacrime,finché le forze abbandonano anche le quattro streghe e le lacrime prendono possesso dei loro corpi.