Ernesto Rossi

(Livorno 1827–Pescara 1896)

Si dedica al teatro "contro il volere della famiglia", ma presto diventa un attore di successo, recita coi maggiori contemporanei, con Gustavo Modena ed Adelaide Ristori, e gran parte della sua carriera la svolge in compagnie da lui formate e dirette.

Diventa famoso per la sua "bellezza" e per il suo temperamento esuberante: è il prototipo del "mattatore" ottocentesco, nel bene e nel male, tanto che molti contemporanei gli preferiscono Tommaso Salvini ed Eleonora Duse si esprime come si sa.

rossi ern2.jpg (27588 byte)

«Ebbe grandi amicizie. Garibaldi dopo i suoi successi argentini. gli scrisse per congratularsi con lui, e una sera a teatro, dopo averlo ascoltato, lo volle nel suo palco ove gli disse molte cose gentili [...]Anche Cavour gli fu amico e ammiratore, e diverse sono le lettere che gli diresse in varie circostanze.

Con Andrea Maffei fu intimo. La era prima che il poeta.morisse s'erano trovarono a Milano al Teatro Gerolamo, ai burattini. Lasciandosi, Maffei gli disse: "Domani era vengo a sentirti per la centesima volta nell'Amleto"». L'indomani era morto!» (Arturo Lancellotti, I sovrani della scena, Roma [1945 ?.])

«Per la propria mamma, Ernesto Rossi ebbe un vero culto. "Chi ama la madre – diceva scrivendo a un amico - può fare qualche male non sarà mai cattivo, perchè il pensiero, l'amore della madre, l'accompagneranno sempre, dovunque, nei pericoli e nelle dubbiezze della vita.

Se sarai incerto, ti domanderai cosa farebbe la mamma?

"Ed agirai rettamente. Anzi, vedi, col pensiero della mamma nel cuore si fa molto bene ad altri che diversamente non si farebbe. Se ti loderanno, la lode l'attribuirai alla mamma che ti ha fatto uomo... Quando rivedrai la tua, salutala per me, e di me ricordati che non l'ho più. Se vieni a Firenze, viemmi a trovare: ti mostrerò una sala di ricordi artistici che tanto piacevano alla mamma".

 L'amore, della famiglia fu congiunto in lui all'amor di Patria. Quando il 9 Gennaio 1878 morì Vittorio Emanuele, egli si trovava a Trieste. Voleva non andare in scena in segno di lutto, ma la polizia austriaca non glielo permise. Allora Ernesto Rossi aprì il teatro, fece levare il sipario, e presentatosi al proscenio disse con voce commossa: Essendo morto il Re d'Italia, stretto parente dell’Imperatore Francesco Giuseppe, in segno di lutto sospendo la recita!” Il pubblico sfollò in silenzi e la Polizia non poté nulla eccepire». (Arturo Lancellotti, I sovrani della scena, Roma [1945 ?])

Ancora più spassoso è quanto scrive Arturo Lancellotti sui rapporti Ernesto Rossi – Giacinta Pezzana:

«Ma l'antipatia del Rossi [per la Pezzana] aveva anche un movente vorremmo dire nella... simpatia. Egli si credeva irresistibile e trovava naturale tutte le donne gli cadessero ai piedi. Stupito che la nuova attrice non l'amasse ancora, giorno le disse: “Ti do due mesi di tempo, ragazza  mia. Vogliamo scommettere?"

E si scommise, per gioco, un regaluccio da venti lire. La Pezzana ammirava in lui l'artista, ma l'uomo le era indifferente.

A soli trentaquattro anni egli aveva una bocca sdentata che gli spettatori dei palchi e delle poltrone non potevano vedere ma che all'attrice, costretta a recitargli accanto, repelleva. Quando nell'Otello le parlava quasi sulle labbra, essa era ossessionata, da un dente che gli si muoveva nella gengiva inferiore. « Pareva un soldatino che sortisse da una garitta. Era il soldatino, che montava la guardia al mio cuore e mi fece vincere la scommessa”.

La moglie del Rossi, tutta lieta che una prima attrice non se la intendesse con quel suo fanciullone, prese a volerle bene, e fu proprio attraverso di lei, che, trascorsi i due mesi, la Pezzana gli fece ricordare il regalo. Di quale scommessa si trattasse non disse niente, non disse.

Ernesto Rossi si morse le labbra e volle fare il gran signore, offrendo alla vincitrice un magnifico ventaglio di madreperla…». (Arturo Lancellotti, I sovrani della scena, Roma [1945?])

La Divina su Ernesto