La storia Almeno un millennio prima della venuta di Cristo all'uomo, ormai componente di comunità organizzate, non era sfuggita la posizione strategica di Monte Jato. Dominando  dall'alto dei suoi 850 mt. le fertili vallate del fiume  omonimo  e del Belice, con le ripide fiancate di cui alcuni tratti a strapiombo, con un altopiano di oltre 40 ettari, consentiva un comodo e difendibile insediamento. Posto, inoltre, all'incrocio degli assi di collegamento tra le principali città  marittime quali Panormo, Lilibeo, Agrigento, Selinunte, Imera e  Solunto, usufruiva dei vantaggi derivanti dal commercio e, nello stesso tempo, non  era esposto agli attacchi popoli predoni d'oltremare.

Una traccia che assicura la presenza dell'uomo nella Valle dello Jato la si trova nella grotta di monte Mirabella alle sorgenti dello Jato. Superato l'imbocco, nella parete sinistra, ci si trova in presenza di 12 pitture rupestri di colore rosso rappresentanti animali e figure femminili delle quali alcune in forma simbolica.

Le  prime  notizie di fonte storica, se per storia si vuole  intendere  quanto pervenuto per iscritto, risalgono a Filisto: un generale vissuto a  cavallo tra il V e il IV secolo a.C. In due frammenti, riportati da Stefano Bizantino, si legge: Iaitia polis Sikelias, Jato città della Sicilia, e Ietai frurion Sikelias, Jato roccaforte della Sicilia, con  una differenziazione tra la rocca e la città che lascia supporre  l'esistenza  di  un'acropoli dove erano ubicate le strutture  comunitarie:  agorà, teatro, bouleteurion, centri di culto ecc.

Ma oltre a Filisto si occuparono di Jato e delle sue vicende: Tucidide, Diodoro Siculo, Silio Italico, Plinio, Cicerone e, sempre che si  voglia  prendere per  buona l'asserzione di Adolf Holm, anche Plutarco. Ritiene infatti l'Holm  che la  battaglia tra Cartaginesi e Siracusani nel 340 a.C., successiva  a  quella sul Crimiso, sia stata combattuta a Jato. Si  è certi in ogni caso che Jato nel 276 a.C. era venuta a patti con  Pirro, re dell'Epiro, e che nel 254 a.C., nel corso della prima guerra punica, era entrata a far parte della provincia  romana. Sembra molto probabile un ruolo di primaria importanza nel corso della seconda guerra servile.

Nel corso del I secolo a.C. Jato era stata una delle città depredate sotto la pretura di Verre e successivamente era stata difesa da Cicerone.

L'indagine archeologica, ormai da oltre vent'anni portata avanti da una  missione dell'Università di Zurigo e diretta dal Prof. H.P.Isler, ha  dimostrato che la Jato storica coincide esattamente con il sito degli scavi e, di anno in anno, oltre alle conferme, vengono alla luce una serie di elementi tali da far pensare  che  Jato fosse una città molto piu' importante di quanto  le  fonti storiche ci riportino. Scrive il Prof.H.P.Isler: "Il periodo indigeno della città viene attestato unicamente dai dati di  scavo. L'origine della città sembra si situi agli inizi del Primo Millennio a.C. La gente abitava in capanne delle quali si trovarono scarsi resti; avevano ceramiche fatte a mano, senza tornio, con decorazione dipinta o stampigliata. La popolazione faceva probabilmente parte del popolo degli Elimi, il cui centro fu più tardi Segesta.Questo  mondo indigeno chiuso ebbe intorno al 550 a.C. i primi contatti  con  la cultura greca. Nel tardo VII secolo a.C. era stata fondata Selinunte la città greca  più  accessibile. Questi contatti con una civiltà superiore  sia  per tecnologia che per altri aspetti si manifestarono anzitutto nell'importazione di artefatti di tipo greco, soprattutto di ceramica. Il  mondo indigeno venne trasformandosi, si cominciò a lavorare  la  ceramica indigena al tornio e la si sostituì più tardi con produzioni d'altro tipo. Già nella seconda metà del VI secolo a.C. si costruì un tempio alla dea  Afrodite.  Questo tempio con la sua pianta ortogonale e la forma allungata  non segue  un modello architettonico indigeno, ma è di tipo greco  diffuso  nelle città del litorale. Assomiglia, infatti, per pianta e dimensioni sia al  Tempio A di Himera che al tempio della Malophoros a Selinunte.

Nel VI e nel V secolo a.C. arrivarono anche ceramiche dipinte a figure nere  e rosse prodotte ad Atene. Nella prima meta' del IV secolo a.C. la città, che ora portava il nome  greco di Iaitas, coniò le sue prime monete. Il  processo  di ellenizzazione culturale di Iaitas culminò in  una  completa trasformazione  della citta' indigena. Verso il 300 a.C. si intraprese la  costruzione  di una citta' tutta nuova, di tipo greco, munita di tutti gli  elementi  necessari: un teatro, un'agorà (piazza pubblica), con portici e  quartieri residenziali. Dell'abitato anteriore venne conservato il venerato tempio di Afrodite, che venne inglobato in un quartiere di abitazioni. Le nuove costruzioni, con fondamenta poggianti sulla roccia viva, scompigliarono gli strati più antichi in modo radicale, per cui i resti anteriori  preservati sotto le costruzioni di tipo greco sono scarsi.

Rimane  fin ora ignoto se la cinta muraria visibile sulla parte orientale  del Monte Jato appartiene alla città indigena"

(La parte riguardante gli scavi archeologici è reperibile nel sito http://www.millecose.it/sancipi/)

Scarse sono le notizie su Jato dopo il primo secolo d.C. Col nome di "Letum", così come riportato nei manoscritti ciceroniani,  figura nell'Itinerario  di  Antonino,  composto sotto Caracalla  ed aggiornato  sino all'età di Costantino.

Nel febbraio dell'anno 599 Gregorio Magno scrive una lettera al defensor  Fantino per un processo del magister militum Maurenzio contro la Chiesa  panormitana per la Massa Getina.

Bisogna  attendere l'anno 1079 per avere notizie certe di Jato come città ed entità politica. Probabilmente la popolazione è tutta musulmana e tale rimane sino alla completa distruzione della città.

Quell'anno il Conte Ruggero d'Altavilla, dopo aver conquistato quasi  l'intera isola, riesce con uno stratagemma ad espugnarla. Bruciate le messi, sottomette 13000 famiglie. Così scrive, certamente esagerando il numero,  Goffredo Malaterra. Per  oltre un secolo la città, integratasi nella società siciliana  del  XII secolo,  apparentemente vive un periodo di pace e prosperità con  sue  leggi, costumi e religione grazie all'accorta tolleranza normanna. Edrisi nella sua opera dal titolo, quanto mai suggestivo Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo (oggi diremmo: una guida turistica) così  definisce Jato nel 1150: Jato, alto di sito, forte ogni credere, ha un territorio nel quale arriva  al sommo  grado la feracità delle terre da seminare e la vastità  dei  confini. C'è una prigione sotterranea nella quale viene chiuso chiunque incorra  nella collera del re". Yakut dice che Jatina e' famosa non solo per la coltivazione del  cotone  e della canapa ma anche per aver dato i natali ad Alì ibn Abd Allah  al-Jatini. Quasi certamente Jatina non è Jato ma la città a valle del monte in corrispondenza degli attuali feudi Dammusi, Signora e Chiusa.

Nel Maggio del 1182 - con un vero e proprio atto scritto nelle tre lingue ufficiali dell’epoca normanna: greco, latino ed arabo - atto controfirmato dall’Arcivescovo di Palermo Walter of the Mill (Gualtiero Offamilio), dal Vicecancelliere Matteo d’Aiello e dall’Eletto di Siracusa il potente inglese Riccardo Palmer, Jato e l'intero suo territorio, pari a circa 1000 kmq, vengono  concessi da Guglielmo II all'Arcivescovado di Monreale. In quell'anno stratego, ossia comandante, di Jato è Yahia, forse giurista  e autore di una Storia di Sicilia. Stratego di  Jato era già stato nel 1149 Abu-Taib, forse poeta,  mentre  nel 1111  aveva ricoperto tale carica Giorgio d'Antiochia prima  di diventare Grande Ammiraglio di Ruggero nel 1126.

Per il periodo svevo e le lotte di Jato contro Federico II si rinvia alla pagina successiva.