CONSEGUENZE

 

Autrice: Dany

Pairing: Piton/Lupin              Censura: v.m.14

 

NOTE: questa ff è il seguito naturale di “L’attacco”; non è indispensabile aver letto prima le tre parti, ma molte cose risulterebbero più chiare tipo: come ha fatto Piton a divenire insegnante di Difesa dalle Arti Oscure? Come mai è in così buoni rapporti con Lupin?

È una storia slash solo nell’ultima parte e molto soft, la censura è decisamente esagerata visto quello che gira in TV, per cui se cercate emozioni forti non è questo il caso^^, però se siete contro il genere siete pregati di non leggere. I personaggi sono della Rowling …!

 

Piton guardò la classe e si morse le labbra: la tentazione era fortissima, ma era deciso a rispettare le direttive del preside.

Ritornò con il pensiero all’incontro con Silente, in un giorno dell’Agosto appena passato.

Era una splendida giornata estiva: il sole brillava chiaro e caldo, dopo l’acquazzone notturno, il cielo era limpido e dalla finestra aperta entrava il profumo dell’erba bagnata. Fanny era sul suo trespolo, intenta a consumare la sua colazione ed il preside pareva rilassato.

Lo aveva guardato con un pizzico di malizia e gli aveva consegnato un foglio; Piton l’aveva preso incuriosito.

- Quello che hai tra le mani – il tono di Silente era quello di un padre che istruisce il figlio, con il vago timore che sia tutto inutile – è il programma, l’esatto, preciso programma a cui ti dovrai attenere quest’anno! Nulla di più, nulla di meno, ma soprattutto, Severus, nulla di più!!

Piton aveva scorso veloce l’elenco degli argomenti che avrebbe dovuto insegnare, anno per anno, come nuovo insegnante di Difesa dalle Arti Oscure: non era particolarmente restrittivo sugli argomenti, ma su altri punti era molto esauriente… troppo esauriente! Praticamente ci mancava solo che indicasse che tipo di calzini indossare durante le lezioni!

 

- Proprio non le riesce di fidarsi di me, vero? – era un’accusa.

Silente lo guardò da sopra gli occhiali a mezzaluna.

- Non si tratta di fiducia, Severus, non dopo che mi hai salvato la vita! E non lo era neanche prima! Semplicemente mi metto nei panni di un Mago Oscuro che, con le migliori intenzioni, si trovi ad insegnare Difesa: tu stai spiegando ai tuoi alunni come eseguire il Patronus, quando uno di loro, non soddisfatto che l’incantesimo si limiti ad allontanare i Dissennatori, ti chiede se non esista un incantesimo che li elimini definitivamente. Perché non spiegargli il Patronus Rex?

Piton arricciò le labbra.

- Perché sono delle zucche vuote, ecco perché! Già è un’impresa disperata fargli entrare in testa come eseguire il Patronus, tant’è che sono pochi i maghi adulti che riescono ad eseguirne uno decente, figuriamoci insegnargli il Patronus Rex, che è difficile e potente il doppio!

Dovrebbero arrivare al 7° anno minimo con un Patronus come quello di Potter e può star certo che lui è l’ultima persona al mondo a cui lo insegnerei!

- Ma non ti verrebbe la tentazione di parlarne, almeno? – il preside lo guardava con un’aria scettica e Piton fu afferrato dal dubbio.

- Beh… magari potrei dirgli…

- Ah ah!! – Silente puntò il dito, come Gazza che abbia appena beccato un alunno ad imbrattare i muri.

- Ma gli direi solo che esiste e che, però , non è roba per ignoranti zucconi come loro!! – esclamò sulla difensiva, ma Silente stava scuotendo la testa.

- No, Severus, per il semplice fatto che non riusciresti a fermarti lì e, prima che te ne accorga, i tuoi studenti, quelli della tua casa, starebbero prendendo frenetici appunti, molto interessati!

 

Piton aveva promesso che non ne avrebbe neanche parlato ed era uscito dallo studio del preside, convinto del fatto che il preside esagerasse.

Poi era iniziato l’anno scolastico e lui aveva avuto tre soddisfazioni: la prima, nel primo giorno, nel vedere le facce sconvolte degli studenti quando avevano scoperto che avrebbe insegnato Difesa; la seconda nel notare le occhiate stupite degli studenti, quando avevano scoperto che aveva ottenuto l’Ordine di Merlino di seconda classe e la terza, quando quei piccoli rompiscatole si erano infine accorti di non aver mai apprezzato a dovere l’aver avuto un professore di Pozioni eccellente.

Il nuovo professore di Pozioni, in effetti, era una brava persona, ma non sapeva neanche a cosa servissero alcune delle pozioni insegnate da Piton al quarto anno, per non parlare di quelle insegnate al settimo anno: fu così che gli alunni scoprirono di aver esaurito al quinto anno quello che era un normale programma scolastico di Pozioni. Tutto ciò che Piton aveva insegnato agli ultimi due anni era un di più: pozioni potenti, conosciute da una ristretta cerchia di maghi, che aveva dato a coloro che erano usciti fino ad ora, una conoscenza ulteriore.

Beh, adesso la conoscenza ulteriore l’avrebbero avuta in Difesa… ops… no!

Nessuna conoscenza ulteriore!

Assolutamente!

Semplicemente una conoscenza come da programma, magari senza gli errori fatti dai suoi predecessori!

 

Visto le enormi lacune presenti in tutte le classi, dovute a lezioni insufficienti, o per tempo ridotto dovuto a dipartite precoci degli insegnati o per totale incapacità degli stessi, Piton aveva dovuto cercare di recuperare il possibile all’inizio dell’anno.

Così, quella mattina, si era trovato a spiegare i Lupi Mannari al quinto Grifondoro ed aveva scoperto che la più piccola dei Weasley aveva la stessa propensione dei fratelli a creare problemi.

Aveva appena spiegato come uccidere i Licantropi, quando la piccola disgraziata era entrata in azione, alzando la mano e ponendo una domanda ancora più disgraziata.

- Non esiste un modo per far tornare normali i Lupi Mannari che sono diventati così dopo un morso, invece di ucciderli?

 

Piton stava per rispondere e poi si era bloccato perché era una di quelle domande.

Si morse le labbra: come faceva a rispondere senza parlare?

- Dunque… diciamo che ci sarebbe stato un modo, ma è un modo che non esiste più…

 

Gli alunni lo guardarono interrogativi: in effetti non aveva molto senso…

- Cioè… esisteva un incantesimo per riportare i Lupi Mannari Indotti alla loro vera natura, ma è andato perduto e per questo è inutile parlarne!

 

Ma quelle pesti non erano soddisfatte e adesso erano ancora più curiose.

- Ma perché è andato perduto un incantesimo così utile? – Chiese il piccolo Canon.

Piton sentì che lo stavano trascinando dove non doveva addentrarsi e, accidenti a Silente, non riusciva a liberarsi… ma poi cosa poteva dire di pericoloso? Lui quell’incantesimo non lo conosceva!

- Vedete, era un incantesimo delle Arti Oscure e richiedeva molto potere e generalmente un Mago Oscuro che abbia quel potere è più interessato a creare Lupi Mannari, piuttosto che a guarire gli umani che lo sono diventati. Così, visto che non interessava a chi lo poteva eseguire, è andato perduto!

Dopotutto non se l’era cavata male… pensiero che vacillò quando notò l’estremo interesse della piccola Weasley: ma cosa temeva? Anche se lo avesse detto a Potter, per quanto fortunato e potente potesse essere quella vipera, non era un Mago Oscuro, non possedeva assolutamente il potere necessario e, ammesso che da qualche parte l’incantesimo fosse rimasto scritto, non si trovava di certo in Inghilterra, alla portata di un ragazzino.

Quindi Lupin sarebbe dovuto rimanere quello che era.

 

In ogni caso Piton si sentì più tranquillo quando la campana lo salvò da ulteriori domande imbarazzanti. Assegnati i compiti raccolse i suoi libri e si diresse verso lo studio.

Davanti alla porta trovò Lupin che lo aspettava.

- Umpf, sono già passate due settimane?

Remus lo guardò con aria stanca e piuttosto tirata.

- Posso aspettare questa sera…

Ma Piton sbuffò in senso di diniego ed aprì la porta dello studio.

Per un attimo fu abbagliato dalla luce del sole che entrava a fiotti dalla finestra: abituato a vivere nei bui sotterranei, ancora non si abituava al suo nuovo studio al primo piano, esposto a Sud, con un’ampia finestra che gli dava una fastidiosa impressione di essere “allo scoperto”, più… controllabile? Visibile? Vulnerabile?

Socchiudendo gli occhi entrò, facendo segno a Lupin di seguirlo.

- È pronta da questa mattina.

Preso un calice lo riempì dell’orribile liquido fumante e lo porse all’ospite. 

Si sedette dietro la scrivania, indicandogli la sedia di fronte, e guardandolo critico mentre con una smorfia ingoiava l’amaro filtro.

- Hai l’aria distrutta… - commentò, porgendo a Lupin una tazza di tè senza zucchero per pulirsi la bocca. – Ti fanno correre al Ministero?

- Beh, in effetti non è che si tratti di correre, almeno non sempre… più che altro mi affidano i casi più pericolosi, con creature riottose ad assoggettarsi, pensando che come lupo mannaro dovrei essere un tipo cattivo…

Piton ridacchiò.

- Cattivo tu? Me lo immagino mentre cerchi di convincere uno zombi goblin a posare l’ascia e provare a parlare! Scommetto che nell’ospedale della zona sei un cliente fisso! Sei sicuro che l’offerta di lavoro sia come ringraziamento?

Lupin sorrise anche lui.

- In effetti non ne sono più tanto convinto, ma almeno mi permette di vivere dignitosamente… ed il tuo nuovo incarico?

Piton sbuffò.

- Non ho la tua pazienza e colmare le lacune è snervante… non ti fischiavano le orecchie prima? Stavo giusto spiegando i lupi mannari e la piccola Weasley voleva conoscere l’incantesimo per riportare i lupi mannari indotti alla normalità: immagino pensasse a te!

L’espressione di Lupin si rattristò leggermente e all’improvviso Piton si pentì di averne parlato.

- Un incantesimo che non esiste… - Lupin sospirò - …ma se non altro, con le nuove scoperte, non ci saranno più nuovi casi! Beh, adesso vado: ho appuntamento con dei folletti che vogliono contrattare. Ci vediamo domani!

Piton si alzò a disagio e accompagnò Lupin alla porta, poi, quando l’altro fu andato, si avvicinò alla finestra depresso.

Che gliene importava? Non era mica colpa sua se Lupin era diventato un Lupo Mannaro! Da quando in qua si preoccupava dello stato d’animo del suo rivale? E comunque non c’era nulla che potesse fare più della pozione per spegnere l’istinto animale… c’era solo un incantesimo scomparso, l’Omosembiante, inventato per sbaglio mentre l’inventore stava cercando di fare chissà cosa e l’unico, che si sapesse, che ancora lo conosceva, aveva perso la memoria grazie al “grande” Gilderoy Allock, il quale, logicamente, si era guardato bene dal spiegare nel suo libro come si esegue, ammesso che ci avesse mai capito qualcosa (Piton dubitava vivamente che un incantesimo di Magia Oscura richiedesse di infilare la bacchetta nella bocca di un lupo mannaro!)

In ogni caso non era da lui preoccuparsi per… cosa era Lupin se non l’amico di Sirius Black, difetto rilevantissimo, ed un vecchio, odiato compagno di scuola?

Scuotendo la testa tornò ad occuparsi della lezione seguente, con i Serpeverde: almeno sarebbe stata una lezione tranquilla…o no?

 

Quella sera fu convocato dopo cena da Silente, nel suo studio.

Trovò il preside seduto dietro la scrivania, le mani intrecciate e lo sguardo pensieroso fisso su una lettera, apparentemente appena arrivata.

Al suo arrivo Silente sollevò appena lo sguardo e gli fece cenno di sedersi

- Avrei preferito che questa occasione non si presentasse mai… - come esordio non era piacevole – Ma d’altra parte me l’aspettavo: sperare che Voldemort fosse finalmente morto, così, per un gesto d’amore, sarebbe stato bello, ma poco credibile!

Piton sentì la digestione della cena bloccarsi di colpo.

- …è in giro?!

- No!…e tutto sommato è probabile che questa volta non riuscirà più a riconquistare una forma ed il suo potere, soprattutto se facciamo i passi giusti! Logicamente ne ho parlato con il Ministero e logicamente non mi hanno ascoltato. Sai come sono fatti!

Non credono che un’ombra sia pericolosa… è incredibile come possano essere stolti, dopo quello che è successo l’ultima volta!

- …

- Comunque ti ho chiesto di venire perché io non mi posso muovere e perché sei il più adatto: Voldemort non ha più seguaci intelligenti visto che Lucius Malfoy, l’unico che è riuscito a fuggire, è braccato e deve pensare a salvare se stesso; non ci sono più pietre filosofali e gli unicorni sono stati recensiti in tutto il mondo e protetti da incantesimi. Allo stato attuale l’unico pericolo per noi è che riesca a mettere le mani su un antichissimo libro di Magia Nera, dove ci dovrebbe essere un potentissimo incantesimo che potrebbe fare al caso suo.

Che si sappia, del libro ne è sopravvissuto un solo esemplare e si trova in una piccola e sconosciuta libreria di Hijskhag, un paese altrettanto sconosciuto di soli maghi, per lo più oscuri, sulle pendici del monte Narodnaja, catena degli Urali, Siberia.

Piton lo guardò sconvolto.

- Ho come l’impressione che mi voglia chiedere di andare a recuperarlo!

Il preside sorrise debolmente.

- Voglio che tu vada lì e provi a comprarlo: se non ci riesci dovrai distruggerlo!

Piton restò pietrificato un attimo, poi si riscosse.

- Primo: non parlo la lingua ed anche usando la magia impiegherò ore solo per chiedere dove si trova la libreria, sempre che non mi trasformi in una statua di ghiaccio prima. Secondo: dalla descrizione e dal posto dove si trova, mi da l’idea del tipico paese dove non vogliono visitatori: non ci si va ad arroccare su un monte sperduto nelle tormente di neve, dimenticato da Dio, se si ama la compagnia. Terzo: di conseguenza magari il libro giace dimenticato, in mezzo all’immondizia, ma quando scopriranno che lo voglio diverrà improvvisamente il loro tesoro locale e non me lo daranno o cercheranno cifre esorbitanti…

- Puoi arrivare fino a 500 galeoni d’oro!

- …ammesso che sappiano cosa siano i galeoni! E in caso negativo non credo che apprezzerebbero se lo distruggessi e forse mi darà del vigliacco, ma mettermi contro un paese di maghi Oscuri non mi sembra una prospettiva allettante!

Silente ridacchiò, guardandolo da sopra gli occhiali a mezzaluna: da come si stavano mettendo le cose Piton avrebbe ceduto, dopo aver protestato quel minimo indispensabile per far capire che non era entusiasta dell’idea.

- Hijskhag non si trova nel Mare Glaciale Artico, sai? Ci sono forme di vita…

- Quando ci dovrei andare?

- Penso che sarebbe meglio durante le vacanze di Natale…

- Fantastico! Il periodo ideale per una scampagnata sulla catena degli Urali del Nord! Mi servirà una guida che faccia il minatore, per scavare gallerie sotto la neve!!

 

Per le undici il mago aveva ceduto, borbottando contro i maghi russo-siberiani a cui piaceva giocare a fare gli orsi polari: mancavano tre mesi alla data stabilita, il tempo sufficiente per adattarsi all’idea e fare i preparativi.

In effetti Piton si adeguò solo relativamente all’idea, seppure a malincuore e sfogando il nervosismo con Lupin, che era l’unico tanto paziente da stare a sentire le sue tirate contro Silente che gli affidava missioni folli, Voldemort che non riusciva a starsene buono, la Siberia che non riusciva ad essere una terra calda e ospitale (perché il libro non poteva trovarsi in una libreria vodoo dei Caraibi? Perché?) e via di seguito, fin quando si stancava di mugugnare ed allora Lupin cominciava a parlare con tono pacato, cercando di convincerlo che non era poi una catastrofe, prospettandogli gli aspetti interessanti, come trovarsi fra le mani libri antichissimi che si pensava perduti o sconosciuti.

E stranamente funzionava: contro ogni previsione Piton si calmava, almeno per il resto della giornata.

Alla fine fu evidente che la rabbia non avrebbe portato nessuna conseguenza se non fargli venire l’ulcera, per cui era meglio accettare l’ineluttabilità della situazione, senza contare che, in effetti, alla fine poteva risultare interessante.

 

L’autunno passò lentamente: alla fine della giornata Piton si ritrovava con i muscoli indolenziti, visto la tensione che lo attanagliava ogni volta che teneva lezione: ci teneva troppo a quel posto per rischiare di perderlo, ma questo lo faceva sobbalzare ogni volta che uno studente alzava la mano e succedeva sempre più spesso.

In effetti non aveva perso la piacevole abitudine di tartassare gli studenti del Grifondoro, cercando di togliere loro più punti possibile, giusto per diminuire lo spiacevole divario di punteggio con la sua casa, tuttavia l’aver ottenuto la cattedra tanto agognata lo aveva reso un tantino più umano e gli studenti avevano scoperto che, purtroppo, Piton era il migliore insegnante di Difesa Oscura che avessero avuto. Non il più piacevole, quello era stato Lupin, ma indubbiamente il più colto e logicamente questo li portava a fare domande per saperne il più possibile e logicamente questo faceva sudare freddo Piton, che avrebbe avuto tante cose da dire…almeno la metà del genere proibito.

 

Entrò l’Inverno e la data del viaggio si avvicinava: Silente riteneva che Piton avrebbe fatto meglio ad usare delle passaporte, visto le distanze, almeno fino alla Russia, ed il problema era procurarsele. Ogni aiuto da parte del Ministero era da escludersi e così il preside si mise in contatto con maghi di altri paesi europei.

Alla fine riuscì ad organizzare due tappe: la prima in Germania e la seconda in Russia. Comunque decisamente troppo lunghe e quindi Piton avrebbe dovuto mettere in conto un po’ di disagi fisici…

 

Le vacanze di Natale arrivarono con una velocità inaudita (Piton non amava i babbani, ma era un fervente sostenitore della teoria sulla relatività del parametro “tempo” di un certo Einstein: non è vero che il tempo scorre sempre alla stesso modo e, come diceva un altro babbano di nome Murphy, la sua velocità è inversamente proporzionata ai tuoi desideri).

La maggior parte dei ragazzi tornò a casa e questa volta anche il diabolico terzetto, visto che Potter e Weasley erano stati invitati a passare le vacanze insieme alla famiglia della Granger e Piton si disse che era normale che, le uniche vacanze natalizie che avrebbe potuto passare senza preoccuparsi, le avrebbe impiegate con un carico di preoccupazioni doppio.

Silente gli consegnò una mappa con tutte le informazioni necessarie per arrivare a destinazione, le credenziali da consegnare al mago che lo avrebbe accolto in Germania e quelle per il collega russo, una borsa con 500 galeoni d’oro, ed una lattina di burrobirra come prima passaporta.

Piton prese impacciato tutte le cose: vista la destinazione aveva pensato bene di mettere un vestito lungo con sotto pantaloni di lana pesante, un mantello con cappuccio foderati di pelliccia, stivali, guanti ed un colbacco anch’essi foderati, ed uno sciarpone che lasciava scoperti solo gli occhi: come conseguenza, nello studio di Silente sembrava esserci un caldo equatoriale ed il preside sembrava divertirsi un mondo a ricordarsi una cosa dietro l’altra per ritardare la partenza.

Alla fine, quando fu chiaro che Piton stava per buttare tutto all’aria e mandarlo al diavolo, Silente gli diede una pacca sul braccio ed il permesso di partire.

 

L’arrivo in Germania non fu troppo traumatico e gli causò solo un leggero giramento di testa, ma il viaggio verso la Russia fu ben peggiore: era passato un tempo insolitamente lungo dalla partenza e Piton fece l’errore di aprire gli occhi prima di sentire la terra sotto i piedi. Non aveva mai eseguito un viaggio tanto lungo da non essere immediato e la visione di una spirale caleidoscopica che girava vorticosa davanti a se, mentre qualcosa sfrecciava sotto i suoi piedi a velocità assurde, lo fece arrivare a destinazione in preda a conati di vomito, nausea ed un giramento di testa violento che lo abbandonò solo dopo una decina di minuti.

Il mago russo aspetto paziente e con un sorrisetto da saputello che innervosì tremendamente Piton: perché aveva accettato? Perché non si muoveva Black, adesso che era stato riabilitato, dopo la cattura di Minus, ed era libero di muoversi?

Passò il resto della giornata in una locanda di maghi, cercando di capire lo schifoso Inglese che la sua guida parlava ed il suo umore era nero come il tempo: una tormenta di neve era arrivata giusto in tempo per sorprenderli all’esterno, ed adesso era davanti un caminetto a cercare di riattivare la circolazione. All’esterno la temperatura era quaranta sotto zero: le speranze che in Siberia splendesse un caldo sole erano semplicemente assurde.

La mattina dopo, di nuovo imbacuccato e sospirando, cercò di capire le scuse che il mago russo stava adducendo per non poterlo accompagnare: in compenso era riuscito a procurare una passaporta che avrebbe depositato Piton proprio alle soglie del villaggio.

Severus bofonchiò un ringraziamento molto poco sentito e partì di nuovo: la colazione a base di salcicce fritte gli si mise di traverso, ma riuscì a convincerla a rimanere nello stomaco ed aspettò di sentire il duro sotto i piedi prima di aprire prudentemente prima un occhio, seguito poi a breve dall’altro.

Il villaggio che si trovò di fronte, immerso in un grigio buio, ricordava molto un villaggio di Goblin: le case di legno si alzavano strette e terribilmente contorte, avendo il primo piano decisamente ad un altezza insolita, probabilmente per restare fuori dalla neve, che sorgeva su un basamento di grandi pietre rozzamente squadrate che spesso serviva più di una casa.

Le finestre, illuminate, piccole e strette, una diversa dall’altra, sorgevano in modo talmente disordinato sulle pareti, da non permettere di capire come fossero distribuiti i piani. I tetti erano coni altissimi e spioventi, al punto da ricordare le punte delle lance dei tornei medievali inglesi. Una selva di comignoli bassi sui tetti, anche loro con il loro tettuccio conico, lasciavano uscire pesanti volute di fumo. Non si vedeva un cane.

In quel momento la neve non cadeva, anche se in cielo, le nuvole basse e grigie, formavano una coltre ininterrotta e foriera di nevicate incombenti, andando da una parete all’altra dei versanti montuosi che sorgevano quasi alla periferia del villaggio in tutte e quattro le direzioni, le sommità perse oltre le nuvole. Il silenzio era assoluto.

Piton avvertì un leggero attacco di claustrofobia: non era abituato alle montagne e non si era mai trovato in una valle tanto angusta, soffocante, con le montagne che sembravano dover precipitare sul villaggio da un momento all’altro. Più che una valle era una fenditura d’incontro tra più montagne. Ma da quelli parti avevano mai visto il sole? Meglio muoversi!

Abbassando gli occhi Piton scoprì disgustato e solo allora di essere immerso nella neve fino alla cintola: usando la magia sciolse un percorso davanti a sé, fino a quella che sembrava una strada relativamente pulita dalla neve e che attraversava il villaggio.

Il mago russo gli aveva detto di una locanda, l’unica, che sorgeva sulla piazza del villaggio, riconoscibile perché a soli due piani e più larga delle altre case: Piton avanzò arrancando lungo la strada in salita, fino ad arrivare a quello che sembrava un cortile per polli.

- Questa sarebbe la piazza, suppongo! – pensò acido, osservando quella che, di conseguenza, era la locanda –Una baracca, come il resto di questo dannato nido d’avvoltoi!! Notturn Alley, al confronto, è un quartiere ospitale, luminoso ed elegante!!

Sbuffando, di umore sempre più tetro, salì le scale ripide che portavano alla porta ed entrò.

L’interno era esattamente come se l’era immaginato: una sala bassa e fumosa, poco illuminata, con un camino che occupava tutta una parete ed il bancone sull’altro lato. In mezzo meno di dieci tavolini, meno della metà occupati.

Il tutto virava decisamente sul colore giallo: gialla era l’aria, gialle le pareti di legno chiaro invecchiato e sporco, lo stesso giallastro il bancone ed i tavolini e gialle le facce barbute che lo guardavano tra un misto di incredulità e di malignità, mentre fumavano lunghe pipe da cui usciva un fumo giallastro e puzzolente.

L’altro colore era il nero sbiadito delle vesti e dei cappelli degli avventori.

Piton si chiuse la porta alle spalle, scese i tre gradini che immettevano nel salone ed attraversò la stanza, seguito dallo sguardo dei presenti.

Era appena arrivato al bancone e stava per parlare, quando sentì un formicolio alla schiena: girandosi di scatto scoprì un vecchio con una striminzita barbetta gialla che gli stava lanciando il malocchio.

Piton aveva frequentato abbastanza i Maghi Oscuri per sapere come comportarsi: cacciò la bacchetta e diede fuoco alla barbetta dell’insolente, che si affrettò a lasciar cadere sul tavolo la propria bacchetta, occupato a salvare i pochi peli ispidi che gli crescevano sul mento. Il malocchio era troppo debole per poter anche solo infastidire un mago del livello di Piton, ma voleva mettere in chiaro che non era tipo da farsi rompere le noci sulla testa: era un Mago Oscuro anche lui… e lì non c’erano divieti ad usare la magia oscura! Realizzò di botto. Per un attimo fu tentato di sfogare tutta l’energia oscura repressa in tutti quegli anni ad Hogwarts: poteva scatenare una tromba d’aria che spazzasse via quel porcile… ma forse non era una buona idea se doveva farsi dire dov’era la biblioteca!

Così si girò verso l’oste che lo guardava in cagnesco.

- Voglio una stanza! – e fece per usare la magia perché l’altro lo capisse, ma l’uomo sbuffando sonoramente lo bloccò.

- Non necieskaria tu pusa magiska! Ia capiskij Inklasa! Kosa tu cieska ski?

Piton lo guardò un attimo ad occhi spalancati.

- Cosa?…capisci l’Inglese?

L’altro lo guardò male.

- Kè ho diekto tie!

Piton, dopo aver sbattuto gli occhi cercando di decifrare l’”Inglese” del tipo, alzò gli occhi al cielo: preferiva usare la magia.

- Allora, posso avere una camera? Mi tratterrò qualche giorno nel vostro idilliaco villaggio perché mi interessa la vostra biblioteca! Problemi?

L’oste lo guardò torvo.

- Nietch! In Inklasieska no libri?

- Certo che sì! – Piton era al limite della sopportazione - ma la Magia Oscura non è molto apprezzata e noi Maghi Oscuri abbiamo qualche problema a reperire i libri che ci servono… posso avere la camera adesso? Ho fatto un viaggio faticoso per raggiungervi!!

Alla fine riuscì ad avere la chiave di una minuscola e buia cella frigorifera, arredata solo con un letto, una cassapanca ed un tavolo con una sedia.

Sul tavolo, vicino al letto, c’era una specie di candela, gialla, in un candelabro di latta.

Piton girò su se stesso disgustato, pensando che ad Azkaban, adesso che i Dissennatori non c’erano più, le celle dovevano essere più confortevoli ed arredate di quel buco.

Comunque era troppo stanco per litigare e probabilmente le altre stanze, se così potevano essere chiamate, non erano migliori.

Meglio assolvere al più presto il suo compito: lasciando il magro bagaglio, scese di nuovo giù e chiese all’oste dov’era la biblioteca.

La risposta, lunga e dettagliata, del tutto inutile visto che doveva solo attraversare la piazza, gli lasciò un principio di mal di testa che aumentò quando, seguite le istruzioni, raggiunse la sua meta, in una fatiscente torre di legno, pericolosamente sbilenca in avanti, su un lato della piazzola. Piton girò intorno alla torre perché l’entrata, contrariamente a tutte le più semplici leggi di architettura, non si apriva sulla piazza, ma su uno stretto vicoletto, incuneato tra la torre ed un basamento che serviva tre case.

Salito un numero imprecisato di scalini, Piton constatò che la biblioteca, di dimensioni ragguardevoli, era però ammonticchiata in una sola stanza non eccessivamente grande: enormi scaffali, apparentemente non eccessivamente robusti, andavano da terra fino a sfiorare il soffitto e sorreggevano un numero decisamente eccessivo di libri, stipati disordinatamente, per orizzontale e verticale, i più piccoli infilati a chiudere i buchi lasciati dai più grandi, infilati a forza. Altre pile di libri erano poggiate a terra per un’altezza pari a quella di un uomo, in un caos di titoli, argomenti e autori, al punto che diventava difficile muoversi.

Alcune pile erano crollate, ma nessuno si era preoccupato di risistemarle; non c’era un solo tavolino, perché scaffali e libri prendevano tutto lo spazio disponibile. Il tutto era ricoperto da un velo di polvere che rendeva difficile leggere i titoli.

Strette finestre tra uno scaffale e l’altro, ricoperte di ragnatele, non permettevano l’entrata di una luce sufficiente per leggere comodamente.

Piton si chiuse alle spalle la porticina d’ingresso e guardò la biblioteca desolato: la speranza di trovare subito il libro si stava affievolendo sempre di più, non riuscendo a credere che il custode sarebbe riuscito ad orizzontarsi in quel bazar.

Ciò che scoprì fu molto peggio: il custode, dopo che il mago gli ebbe detto con l’ausilio della magia, il titolo del libro che cercava, assentì e gli girò le spalle, facendo per uscire.

- Ehi, un attimo! Dove lo posso trovare?

- Cosa vuole che ne sappia io? – gli rispose l’uomo infastidito – Cerchi! Se c’è lo troverà!

Piton lo guardò uscire e poi si girò con uno sguardo di panico a guardare le centinaia di libri accatastati.

- Cercare? In questa bolgia?! Impiegherò anni a trovarlo!!!

Cercò freneticamente nella memoria un incantesimo di ricerca: probabilmente esisteva, ma lui non riusciva a ricordarlo e così, sospirando, si avvicinò al primo scaffale e cominciò a legger i titoli, usando la bacchetta solo per spolverare e fare luce.

 

Quando il custode si avvicinò a dirgli che era ora di chiudere, Piton aveva finito due scaffali ed una pila addossata al muro, era coperto da cima a piedi di polvere e ragnatele e tossiva in continuazione.

Bastò uscire per smettere di tossire e di respirare: la prima boccata d’aria gli bloccò il respiro in gola, congelandogliela all’istante. La luce era completamente scomparsa e l’aria era talmente fredda da non riuscire a credere che potesse essere ancora gassosa.

Tirandosi il cappuccio sulla testa Piton cercò di raggiungere la locanda il più presto possibile, tenendo conto della lastra di ghiaccio su cui doveva camminare.

Tra uno scivolone e l’altro riuscì ad arrivare agli scalini senza cadere, salì le scale praticamente in ginocchio ed entrò carponi, tornando a respirare normalmente solo quando fu dentro.

Gli avventori erano gli stessi vecchi acidi che c’erano quando era arrivato e l’occhiata che gli lanciarono fu la stessa: forse avevano sperato che fosse morto assiderato mentre cercava di tornare.

Piton ingoiò solo pochi bocconi di una specie di porridge caldo e grumoso che l’oste gli portò e poi si trascinò fino al suo letto, dove si coricò praticamente vestito, sotto la coperta di pelliccia di… che diavolo di animale poteva vivere da quelle parti?… Di Yak? Addormentandosi immediatamente.

 

Il giorno dopo, i muscoli indolenziti per aver dormito il più raggomitolato possibile, tornò al lavoro e così per altri tre giorni.

Gli avventori, l’oste ed il custode si abituarono a vederlo e smisero perfino di cercare di lanciargli maledizioni di vario genere, anche perché il mago straniero sembrava essere alquanto potente e non aveva il senso dell’umorismo per cui tendeva a rispondere in modo alquanto violento.

Inoltre il custode, con grande rabbia di Piton, si era accorto che il mago, per leggere tutti i titoli, stava spolverando e mettendo a posto tutta la bibioteca.

 

Il quarto giorno Piton era arrivato all’ultimo scaffale (mancavano però una quindicina di pile), quando, dopo aver spolverato, individuò il libro, ricoperto di pelle nera, sull’ultimo ripiano in alto.

Estasiato usò la magia per tirarlo giù e fu un errore, perché non si accorse che il libro era incastrato in mezzo agli altri: tirato violentemente verso l’esterno, il libro si portò dietro tutti gli altri libri e lo scaffale in cui era incuneato.

Lo scaffale precipitò, fermandosi, per fortuna di Piton, contro il muro alle spalle del mago, con un boato tremendo, mentre tutti i libri contenuti piovvero addosso al mago che si era buttato a terra.

Quando la nube di polvere si fu poggiata di nuovo, comparve il custode che guardò stizzito Piton semisommerso dai libri.

- Adesso, però, rimette tutto a posto!

 

I maghi che si erano affacciati sentendo il boato e vedendo la nube di polvere uscire dalla biblioteca, impiegarono un po’ di tempo a capire che il custode non stava ballando senza musica il loro ballo locale, ma era preda dell’incantesimo Tarantallegra.

 

Rialzato lo scaffale, Piton stava nervosamente ammonticchiando i libri negli scaffali, dopo aver messo da parte il suo, ma c’era un libricino che continuava a riscivolare giù. Sempre più innervosito lo prese e lo aprì per dargli un’occhiata: era un vecchio diario di esperimenti di un mago dal nome impronunciabile, scritto con un inchiostro molto sbiadito, ma l’incantesimo di traduzione riusciva ancora a tradurre.

Quando il custode rientrò, decisamente stremato, si avvicinò cautamente a spiare dietro lo scaffale e trovò il professor Piton seduto per terra e immerso nella lettura: gli occhi si spalancavano di tanto in tanto ed a un certo punto non riuscì a reprimere un’espressione sonora d’incredulità. Meno di un’ora dopo lo straniero balzò in piedi e avanzò a larghi passi verso il custode con il libricino in mano, poi si bloccò di colpo, tornò indietro e riapparve con anche un libro più grande.

- Voglio comprare questi due libri!!!

Il custode lo guardò stupito.

- Comprare? Questa non è una libreria, è una biblioteca: noi compriamo, non vendiamo!

L’aria di Piton si fece minacciosa.

- A giudicare dalla polvere che regna sovrana, sono anni che qualcuno non entra qui, a consultare qualcosa, e se comprate anche un solo libro non ci sarà più spazio per entrarci. Vi offro cento galeoni d’oro!

Il custode sobbalzò: nessuno in paese aveva mai visto cento galeoni tutti in una volta… ci si poteva comprare un sacco di cose dalla carovana che una volta all’anno li raggiungeva…

- … beh, io non so… devo chiedere al capo villaggio…

-  E allora vai: che stai aspettando?

 

Piton si aspettava una cosa rapida: non immaginava di aver attivato il Consiglio del Popolo, una riunione ufficiale dei vecchi del villaggio che consultavano il resto degli abitanti su una questione di interesse comune.

Quando il custode gli disse che entro due giorni il Consiglio si sarebbe riunito Piton lo guardò sconvolto.

- Voglio solo comprare due libri! Non voglio l’appalto per costruire un palazzo!

Ma il custode non intese ragioni e Piton, consegnati i due libri che, se non altro, furono riposti da parte, tornò alla locanda: ciò che aveva trovato andava al di là di tutte le aspettative ed era deciso a tornare in Inghilterra con tutti e due i libri, anche se ciò significava restare altri due giorni in quel buco orrendo.

 

I due giorni divennero tre, poi quattro, poi cinque, poi sei: il Consiglio si era riunito dopo due giorni, ma ogni abitante sembrava voler fare il proprio discorso a favore o contro la vendita. Piton fu convocato tutti i giorni e gli furono rivolte diverse domande: perché voleva comprare i libri? Come mai in Inklasieska non si trovavano quei libri? Era lì per interesse personale o per conto di terzi? Chi gli aveva detto di rivolgersi a loro?

Piton cercò di rispondere il più velocemente possibile, mischiando verità e bugie, quando lo riteneva il caso.

Poi, dopo un’ultima consultazione che durò tutta la giornata, i Vecchi decisero che se lo straniero era disposto a sborsare cento galeoni forse era disposto a sborsarne mille? Da?

E lì iniziò un’estenuante contrattazione, dove Piton dovette tirare fuori tutta la sua grinta e la sua eloquenza: per la grinta non c’erano problemi, ma per l’eloquenza, beh, Piton non era quello che si può definire un chiacchierone esperto di retorica e ad Hogwarts era tanto se ogni tanto si metteva a battibeccare con la McGrannit sull’ultima partita di Quidditch.

Per sua fortuna giunse una nuova tormenta di neve ed i Vecchi, per paura di rimanere bloccati nella scomoda aula del Consiglio (a loro dire portava male smaterializzarsi durante le tormente di neve), accettarono la modica cifra di trecento galeoni, dopo di che i libri passarono di proprietario e tutti corsero a rinchiudersi nelle loro comode case.

Piton, che non era superstizioso, si strinse al petto i libri e si smaterializzò, rimaterializzandosi davanti al camino della locanda e facendo andare di traverso la Vodka ad un astante.

 

Piton non rimase un secondo più del necessario: affrontò uno dietro l’altro i viaggi di ritorno, ignorando i malori dovuti alle distanze, e quando si ritrovò sul prato di fronte al portone di Hogwarts fu tentato di buttarsi a terra e baciare il leggero strato di neve candida che ricopriva il prato. Non lo fece perché Gazza, che stava spazzando l’ingresso, stava guardando verso di lui. L’aria, che preannunciava una nuova nevicata, sembrava mite e piacevole rispetto a quella siberiana.

Direttosi immediatamente allo studio del preside, consegnò a Silente il libro richiesto, con i soldi risparmiati ed un breve resoconto frettoloso dei fatti, poi adducendo come scusa una tremenda stanchezza, si ritirò nelle sue camere rimaste nei sotterranei e tirò fuori il libricino.

In effetti non c’era un reale motivo per non informare il preside della sua esistenza, e indubbiamente glielo avrebbe consegnato, ma non prima di aver provato uno degli incantesimi descritti.

Tornò a leggere le pagine eccitato, chiedendosi quanto poteva essere pericoloso: teoricamente aveva il potere per eseguirlo, però l’incantesimo lo avrebbe esaurito completamente e se non fosse riuscito le conseguenze sarebbero state fatali…

Dopotutto poteva anche rinunciare… perché diavolo ci teneva tanto? Eseguirlo perfettamente non gli avrebbe portato nessun premio: il Ministero, sempre che non lo rinchiudesse ad Azkaban per uso illegale di Magia Oscura - erano abbastanza deficienti da farlo - lo avrebbe al massimo ringraziato con una stretta di mano.

Se salvare Hogwarts, Silente e tutti gli altri dalla morte gli era valso l’Ordine di Merlino di Seconda Classe, nulla di ciò che avrebbe potuto scoprire nel resto della sua vita gli avrebbe permesso di raggiungere la Prima Classe.

Di conseguenza, perché farlo? Per avere la gratitudine di una sola persona?

Piton si rese conto che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quell’idea balorda che continuava a relegare nei posti più lontani e dimenticati della sua mente, ma sempre presente e pronta a spuntare nei momenti meno indicati…beh, non proprio, se l’ultima volta gli aveva salvato la vita.

Eppure una parte di sé continuava a rifiutare il confronto: prendere quella sensazione, riconoscerla per quello che era, con tutte le implicazioni, riconoscerla infondata, folle, il parto di una mente stanca e per un attimo totalmente pazza e finalmente eliminarla. Finché non si fosse deciso sarebbe rimasta lì, come un fantasma fastidioso e insolente, ignorata, ma sempre presente.

Però quella sera Piton era troppo stanco per affrontare pensieri spiacevoli… comunque una seccatura!

Ebbe comunque la forza di raggiungere, prima, la piccola finestrella che vicino al soffitto permetteva di guardare a livello del terreno e fissò la luna appena sorta: mancavano due giorni alla luna piena.

 

[CONTINUA]