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CENERE

Regia

Febo Mari

Sceneggiatura

Eleonora Duse, Febo Mari

    tratta da

“Cenere” di Grazia Deledda (ed. Mondatori, 1904)

Fotografia

Giuseppe Gaietto  (oppure Piero Marelli)

Interpreti

Eleonora Duse (Rosalia), Febo Mari (Anania), Misa Mordeglia Mari (Margherita), Ettore Casarotti, Ilda Sibiglia, Carmen Casarotti

Produzione

Ambrosio Film

Distribuzione

Ambrosio Film, Torino

Durata

30’  b/n

Genere

Drammatico

Origine

Italia, 1916

Trama:

Sardegna alla fine dell’800: Rosalia, povera e ragazza madre, porta il figlio Anania al padre naturale, benestante e sposatissimo.  Passa il tempo,  Anania è adulto e sta per sposarsi, ma vuole cercare la madre per conoscerla.   Rosalia, precocemente invecchiata e pure in miseria, si rifiuta di tornare “in società” per timore di rovinare il rapporto del figlio con la fidanzata (che le rimprovera di aver abbandonato il figlio). Rosalia muore di crepacuore in solitudine, prima che il figlio ritorni da lei (dopo aver abbandonato la fidanzata). Stop

Note

Alcuni recenti studi hanno rivendicato ad Eleonora Duse anche la regia del film.

Qualche anno prima, la casa cinematografica "Cines" e poi il regista Griffith (la Duse aveva apprezzato molto il suo film "Intolerance") avevano cercato inutilmente di introdurre l'attrice nel mondo del cinema.

Il film è stato riprodotto in cassetta VHS nell’ottobre 1992 dalla Mondatori Video Spa - Milano

Commento

[ … ]   Esemplare anche il caso di Eleonora Duse. La grande attrice italiana gira un solo film nella sua vita, Cenere, dal romanzo di Grazia Deledda, nel 1916, al fianco di Febo Mari che ne è anche regista. Ebbene, all'agitata gestualità del compagno di lavoro, la Duse contrappone il silenzio: ieratico e statuario. In tal modo riesce a dare vita a un personaggio animato dal solo fascino della presenza interiore dell'attrice e dal sapiente innesto degli oggetti scenici sulla partitura fisica progettata: uno sguardo, un profilo stagliato sullo sfondo di un paesaggio, un dolore fatto di assoluta immobilità,  una testa che si nasconde sotto uno scialle scuro con un gesto quasi sacrale [ … ].  La Duse cioè sembra sfruttare al meglio la possibilità di dare voce al silenzio, utilizzando proprio il maggiore handicap del cinema del periodo. Una possibilità che affascina anche molti uomini di teatro impegnati, negli stessi anni, a rinnovare la figura dell'attore non dal punto di vista delle tecniche, ma sotto l'aspetto etico ed espressivo, in chiave quasi antropologica, sicuramente pedagogica. Fuori cioè dalla routine del teatro. [ … ]  Da: Teatro e cinema nella cultura del Novecento - Lo sguardo di Batalov - Dalla sceneggiatura alla recitazione, i reciproci influssi fra set e palcoscenico (Daniele Seragnoli )

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