11. IL MOBBING: COME ELIMINARE L'ALTRO SENZA CONSEGUENZE

 

1) In questi ultimi anni, in tutte le società avanzate, si è andato diffondendo a macchia d'olio un fenomeno assai allarmante: il mobbing. Il mobbing (da to mob = attaccare, accerchiare) consta in pratiche di attacchi sistematici sfocianti in abusi, oltraggi e soprusi esercitati dal mobber (superiori gerarchici o colleghi) contro un lavoratore isolato (il mobbizzato) divenuto, per svariate ragioni, indesiderato.

Nessuno luogo di lavoro è risparmiato dal mobbing, il quale colpisce sia ai livelli bassi che a quelli intermedi della gerarchia. Più aumentano competizione e competività sociale e più le strategie di mobbing trovano un fertile terreno di coltura.

Il mobbing si rivela:

Le varie definizioni che sono state date del mobbing convergono nel definirlo una strategia di "terrorismo psicologico" e di "prevaricazione crescente" con danni letali e irreversibili per l'equilibrio psico-fisico dei soggetti che ne rimangono colpiti. Tanto che, in alcuni paesi (Svezia, Germania), il mobbing è riconosciuto espressamente come malattia professionale e causa di infortuni sul lavoro.

Recenti ricerche empiriche condotte in Svezia e Germania hanno dimostrato che:

Ricordiamo, ancora, che in Svezia il mobbing è reato e le aziende hanno un garante anti-mobbing.

In Francia, il prolema mobbing è emerso nel 1994, con la pubblicazione del libro della vittimologa Marie-France Hirigoyen, L'arcèlement morale ("La molestia morale").

Anche in Italia, ultimamente, sono state condotte ricerche specifiche, dalle quali risulta che i lavoratori mobbizzati supererebbero il milione; mentre si aggirerebbe intorno ai 5 milioni il numero dei cittadini coinvolti, in qualità di amici o colleghi di lavoro dei mobbizzati (2), Ma la percezione sociale del fenomeno è tremendamente insufficiente.

Ora, come è stato fatto opportunamente notare, il mobbing è peggio di una malattia, anche se non è propriamente una malattia: la malattia è guaribile con i farmaci; il mobbing no (3). Per sconfiggere il mobbing, si richiede una pratica di solidarietà e una mobilitazione sociale capaci di neutralizzare le coalizioni e le strategie dei mobber.

Ma facciamo un po' la storia del termine.

Nell'800, mobbing veniva usato dai biologi inglesi, per descrivere il comportamento degli uccelli che difendevano il loro proprio nido, con manovre di volo minacciose contro gli aggressori.

Nel '900, l'etologo Konrad Lorenz l'ha impiegato, per spiegare l'attacco coalizzato sferrato da un gruppo di animali ad animali della stessa specie,

Il primo ad applicare il termine alle società umane è stato Heinz Leymann, uno dei maggiori esperti mondiali dell'ambiente di lavoro e, sicuramente, lo studioso più sistematico del fenomeno mobbing, in tutti gli anni '80 e '90.

Tuttavia, il mobbing, nella sua essenza, va ben al di là dello specifico lavorativo, aggredendo in radice fondamentali diritti umani e civili.

Alla base dell'esplosione della strategia di mobbizzazione v'è un conflitto di lavoro che non riesce a trovare canalizzazioni e soluzioni istituzionalizzate. Esso, dunque, nella forma di conflitto irrisolto, si proietta nella sfera delle relazioni personali e civili.

Si tratta di un trasferimento che è anche una rimozione: il conflitto lavorativo rimosso diviene conflitto personale. In questo modo, la stabilità e l'ordine vigenti non vengono mai cogentemente messi in discussione. Il conflitto tra chi detiene il potere e chi lo subisce viene rimosso e la scena viene interamente occupata da una infinita serie di conflitti personali: tra azienda e singolo dipendente e tra gli stessi dipendenti.

Le controversie di lavoro perdono la loro qualificazione politico-sindacale e si trasformano in lotta per la sopravvivenza, da cui trae beneficio soltanto il vertice piramidale che esercita il potere effettivo nei luoghi di lavoro. Si allarga a dismisura l'area delle figure lavorative che l'esercizio del potere e la concorrenza sleale precipita in uno stato crescente di malessere psico-fisico.

La perdita di diritti sindacali si converte in espulsioni di massa dai luoghi di lavoro; una volta espulsi nel sociale, i mobbizzati perdono i diritti civili e umani fondamentali, a partire dal diritto alla salute e al benessere. È, così, che il mobbing è divenuto una vera e propria piaga sociale.

 

2) In base a ricerche effettuate sul campo, si può delineare una vera e propria casistica, se non una modellistica, dei comportamenti tipici del mobbing. Le costanti tipiche sono le seguenti:

A seconda delle costanti tipiche che trovano modo di concretarsi, possiamo distinguere due forme di mobbing:

Qualunque sia forma in cui viene esercitato, il mobbing è un assalto relazionale all'altro, per inconfessabili motivi privati. L'assalto prende luogo sempre nella sfera pubblica e consiste nella eliminazione simbolica dell'avversario, attraverso una campagna strisciante di sgretolamento della sua immagine e del credito di cui gode.

Le strategie di mobbing hanno un carattere estremamente subdolo, perché tendono ad occultare la loro "effettualità" con motivazioni e cause pretestuose, strumentali e false. I loro effetti, però, sono particolarmente visibili: celebrano il rituale della sconfitta del debole e la vittoria del forte. Più le strategie sono subdole e occulte, più gli effetti sono celebrati e resi visibili. Attraverso il mobbing, il conforme ed il conformistico non fanno che celebrare sé stessi, espellendo furiosamente tracce di dissonanza, di alterità e di conflittualità.

Gli stessi detentori di fette di potere aziendale sono soggetti a mobbing, a misura in cui premono schiere di aspiranti "capi" che intendono sostituirli nella scala gerarchica. Per i "capi in disgrazia", la sconfitta è bruciante sotto un duplice ordine di circostanze: a) per la perdita del potere un tempo esercitato; b) per la derisione e/o indifferenza con cui vengono ora circondati.

La razionalità del mobbing è strettamente imparentata col trasformismo gattopardesco: cambiare, perché nulla cambi. Nel vortice delle trasformazioni da mobbing, in realtà, nulla cambia mai veramente: le gerarchia, le culture, i comportamenti dominanti trovano puntuale ed impressionante conferma. Anzi, si ricorre al mobbing proprio per scongiurare il cambiamento.

Laddove l'ambiente avverte una minaccia di cambiamento, là immediatamente mobilita le figure e le strategia di mobbizzazione. Secondo questa razionalità, ciò che può cambiare sono solo gli attori e le comparse; giammai il copione e la scena. E il copione è quello del darwinisimo sociale sfrenato e senza scrupoli.

 

3) Il mobbing è antisociale. Nella sua antisocialità risiede uno dei suoi risvolti più inquietanti. Attacca le culture della solidarietà e le sbriciola, assecondando e valorizzando le culture dell'egocentrismo illimitato.

Non solo. Il mobbing è antirelazionale. Anziché alimentare dialogica e comunicazione, struttura e implementa la guerra privata di tutti contro uno. L'isolamento dell'avversario è la pre-mossa della strategia di accerchiamento. Dopodiché al malcapitato non resta che scegliere tra due alternative: a) o combattere e rimanere duramente sconfitto; b) oppure ritirarsi in buon ordine. In tutti e due i casi, lo smacco è cocente e recitato in pubblico.

La recita pubblica della vittoria del forte e della sconfitta del debole avvelena i campi relazionali dell'intersogettività e rende irrespirabile la sfera pubblica che si trasforma, vieppiù, in teatro della rappresentazione sociale del dominio dei forti. Ancora di più: laddove questo dominio vacilla (o è percepito come vacillante), lì il mobbing interviene e si incarica di ripristinarlo o ricostruirlo. La sfera pubblica, così, si conferma come scena pubblica del potere.

Il mobbing rivela proprio qui il suo profilo di:

Proprio per effetto di questo profilo multiforme, agisce come veicolo identitario concentrazionario, sovralimentando le culture dell'appartenenza ristretta, chiuse ad ogni qualsivoglia contatto con figure/culture altere. L'essenza del mobbing consiste proprio nel fare comunità contro singole persone stigmatizzate come Altro disprezzabile.

Ora, il "fare comunità" del mobbing è estremamente mobile e può includere anche gli avversari di ieri o di domani: ciò che conta è coalizzarsi contingentemente contro chi viene percepito come "nemico comune". Il mobbizzato è assalito, proprio nella sua qualità di (presunto) non-appartenente. Egli è cacciato (in tutti i sensi), perché ritenuto responsabile di un'intromissione in un campo relazionale che non gli apparteneva. Deve, quindi, lasciare campo libero agli appartenenti. Il mobbing, ripristinando l'ordine delle appartenenze, è la strategia persuasiva atta allo scopo.

Il mobbizzato è costruito come una figura sradicata: privo di appartenenza. Non è semplicemente accerchiato e assalito in gruppo; ma viene persino strappato a sé e alla propria identità: reso nudo e inerme. Nella sua nudità e debolezza estrema viene rappresentato socialmente come specie umana inferiore.

L'aggressione destabilizza l'equilibrio psico-fisico del mobbizzato che, nella maggioranza dei casi, inizia a percepire se stesso come essere inutile e indigente. Il cerchio della mobbizzazione si chiude: l'aggredito si ritira dalla lotta e non riesce più a trovare spazio alcuno per sé, né nel privato e né nel sociale. La vittima designata diviene vittima sacrificale, senza che sia stata cosparsa nemmeno una goccia di sangue.

La comunità dei mobber, in continua estensione, percepisce i mobbizzati come una specie umana inesistente: esisterebbero solo come specie inferiore sconfitta dalla selezione naturale per la sopravvivenza. Per l'aggressore, non c'è colpa, se non nel mobbizzato medesimo, in quanto incapace di vivere ed affermare dominio sulle cose e sulle persone. Anzi, seconda questa etica dell'odio, del disprezzo e della sopraffazione, il mobbing sarebbe una strategia altamente meritoria, in quanto eliminerebbe le specie umane inferiori e inadatte.

Quantunque permanga un fenomeno non sufficientemente investigato, nel nostro paese si va affermando un'iniziale consapevolezza delle devastazioni apportate dal mobbing; tanto che cominciano ad essere sempre più numerosi i casi di ricorso all'autorità giudiziaria, per denunciare pratiche di mobbing sui luoghi di lavoro.

Il dibattito politico sul problema, però, langue. Esistono varie proposte di legge in discussione che, purtroppo, non appaiono all'altezza della complessità e pericolosità del fenomeno (5); non fanno eccezione, in proposito, le proposte provenienti da sinistra. Il guaio più grande è che la discussione parlamentare procede a rilento e non si profila all'orizzonte, in tempi medio-brevi, una legge ad hoc.

Nel frattempo, il mobbing continua il suo genocidio selettivo.

(settembre 2000)

Note

(1) Cfr. Associazione Prima.

(2) Ibidem.

(3) Cfr. Associazione "La punta dell'Iceberg".

(4) Ibidem. Un'analisi delle rilevanze giuslavoristiche e delle implicazioni del danno da mobbing si trova in Roberta Nunin, Alcune considerazioni in tema di "Mobbing", "Italian Labour Law e-Journal", n. 1, 2000; utili considerazioni si trovano anche in A. Miscione, I fastidi morali sul lavoro e il mobbing, "Italian Labour e-Journal", n. 2, 2000. Sia l'articolo della Nunin che quello del Miscione (che commenta la sentenza della Cassazione n. 143/2000) sono reperibili sul sito della rivista Italian Labour e-Journal. Si rimanda ai lavori appena indicati anche per la ricostruzione di una bibliografia di primo riferimento.

(5) Ricordiamo qui i principali Progetti di Legge: a) Progetto di Legge n. 1813, Cicu; b) Progetto di Legge n. 6410, Benvenuto; c) Progetto di Legge n. 6667, Fiori.

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