3. FAR WEST POST-MODERNO: I REFERUNDUM DEI RADICALI
1)
Col decennio reaganiano, in nome delle politiche della deregulation e dell'economia dell'offerta (altrimenti nota come economia politica di "supply side"), ha preso inizio un sistematico attacco a quei diritti civili, sociali e politici che hanno sancito delle vere e proprie conquiste di civiltà, contrassegnando il passaggio dal feudalesimo alla modernità e dalla modernità alla contemporaneità.
Con la caduta del "Muro di Berlino" ed il crollo definitivo del sistema bipolare internazionale, l'opera di destrutturazione ha avuto modo di approfondirsi ed allargarsi.
In sintesi, possiamo dire: quello che Reagan e la Thatcher non avevano ancora avuto il tempo di fare, sta per essere portato a termine dai governi neo-liberisti e neo-monetaristi (spesso di sinistra e/o di centro-sinistra) al governo nell'occidente capitalistico dagli anni '90 in poi.
L'Italia non sfugge a questa tendenza di lungo periodo. Con i referendum per la "libertà del lavoro e dell'impresa" indetti dai radicali, anzi, la tendenza trova una delle più estreme e, insieme, rozze coniugazioni che ha per mira la riscrittura, in chiave autoritaria ed oligarchica, della costituzione formale e materiale del paese.
La posta in gioco dei referendum in questione è elevata: "prendere posizione" è, per noi, un "obbligo" morale e intellettuale, prima ancora che politico.
2) Illustriamo, per sommi capi, i contenuti dei referendum più destabilizzanti proposti dai radicali.
ABROGAZIONE DELLA REINTEGRA PER LICENZIAMENTO INGIUSTO. Come si sa, l'art. 18 dello SdL dispone la reintegra del lavoratore ingiustamente licenziato al quale va, altresì, erogato un adeguato risarcimento patrimoniale. Il referendum propone l'abrogazione della reintegra giudiziale, facendo salvo il risarcimento patrimoniale che viene, però, commisurato alle dimensioni dell'impresa. Come dire: i datori di lavoro non solo possono licenziare in maniera arbitraria, ma se la cavano anche con risarcimenti economici irrisori.
DEREGOLAMENTAZIONE DEI CONTRATTI A TERMINE, Si propone la possibilità di reiterare a ciclo continuo, senza alcuna soluzione di continuità, l'istituto dei contratti a termine. Vale a dire: i contratti a termine dovrebbero essere l'unica, o perlomeno la prevalente, tipologia del rapporto di lavoro. Il contratto a tempo indeterminato scomparirebbe, relegato nelle sopravvivenze del passato quale "figura obsoleta". Scopi dichiarati del referendum sono: a) la liberalizzazione selvaggia e assoluta del mercato del lavoro: dalla costituzione alla cessazione del rapporto di lavoro; b) l'istituzionalizzazione della pratica del recesso discrezionale e unilaterale del datore di lavoro.
DEREGOLAMENTAZIONE DEI CONTRATTI A TEMPO PARZIALE. Si propone, segnatamente, l'abrogazione dell'art. 5, D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge 18 dicembre 1984, n. 863. Verrebbero a cadere: a) l'iscrizione nell'apposita lista di collocamento; b) la stipula scritta del contratto part-time, con la relativa previsione della distribuzione dell'orario di lavoro e delle mansioni; c) la delega ai contratti collettivi, ai fini della fissazione delle quote percentuali di lavoratori part-time in rapporto a quelli full-time; d) la definizione delle modalità temporali di svolgimento del lavoro; e) il diritto di precedenza nelle assunzioni full-time; f) il divieto di lavoro supplementare; g) il frazionamento della retribuzione a fini retributivi; h) gli assegni familiari; i) la convalida dell'Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione, per la trasformazione del rapporto di lavoro da full-time e part-time; l) i benefici pensionistici, per chi trasforma il rapporto da full-time a part-time; m) le sanzioni a carico del datore di lavoro, ove ricorra ad un impiego eccessivo di lavoro a part-time.
DEREGOLAMENTAZIONE DEL LAVORO A DOMICILIO. Viene richiesta l'abrogazione della legge 18/12/1973 n. 877, ad eccezione dei due primi articoli. Con l'abrogazione di tale legge, vengono letteralmente cassati i, già precari, diritti di cui sono titolari i lavoratori a domicilio. Costoro, come il caso già esaminato dei lavoratori con contratto a termine e con contratto part-time, finirebbero in balia completa della discrezionalità dei datori di lavoro. Le cerchie della marginalità, dell'insicurezza, del supersfruttamento e degli abusi verrebbero alimentate e dilatate a dismisura.
ABROGAZIONE DELL'OBBLIGATORIETÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. Il referendum sposa il criterio iperliberista della sanità privata, speculando sugli innegabili guasti e ritardi del sistema sanitario nazionale italiano. Ma il rimedio suggerito è peggiore del male. La salute dei cittadini verrebbe messa totalmente a rischio: i servizi di diagnosi e di terapia, gli interventi preventivi e correttivi diverrebbero una merce dal prezzo elevatissimo che solo alcuni privilegiati potrebbero permettersi in misura adeguata. Riportiamo le affermazioni di Clinton, certamente non sospettabile di idee estremistiche: "Il sistema sanitario statunitense è sfavorevole per gli individui, le famiglie e le piccole imprese. Milioni di americani hanno perso l'assicurazione, quando si sono ammalati e ne hanno avuto più bisogno. Le persone con malattie diagnostiche non possono ottenere una polizza o possono ottenerla solo a prezzi esorbitanti".
ABROGAZIONE DEL "MONOPOLIO" DELL'INAIL. Il referendum ha lo scopo di trasferire alle assicurazioni private tutte le competenze che riguardano gli infortuni sul lavoro. La delicata e complessa materia sarebbe assoggettata alle regole del profitto e alle conseguenti discriminazioni, dovute alla differenziazione delle polizze assicurative indotta dal mercato. Mentre il "monopolio" INAIL rende obbligatoria l'erogazione di prestazioni agli infortunati, le funzioni delle assicurazioni private sarebbero, invece, mancanti delle clausole della obbligatorietà, nonostante il pagamento della relativa contribuzione da parte dei lavoratori.
ABROGAZIONE DELLE NORME DI REGOLAZIONE DEL COLLOCAMENTO. Il referendum mira: a) alla liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro, consegnato nelle mani di agenzie private, non soggette ad alcun vincolo e controllo; b) alla eliminazione della norma che fa divieto alle agenzie private di collocamento di richiedere compensi ai lavoratori. Quest'ultima, giova ricordarlo, è una "regola" consacrata a livello internazionale dalla Convenzione della O. I. L. n. 181 del 1987, recepita dall'ordinamento italiano proprio dal Decreto Legislativo 23/12/1997 n. 469 di cui si chiede l'abrogazione.
ABROGAZIONE DEI PATRONATI SINDACALI. Si specula (anche qui) sulle inefficienze e deficienze dell'attività di assistenza dei Patronati sindacali, per proporre soluzioni ancora peggiori. Facile immaginare che i Patronati abrogati sarebbero sostituiti da "agenzie" e "mediatori privati" che avrebbero a cuore più i loro profitti economici che gli interessi legittimi dei lavoratori e dei cittadini. Il sistema di protezione e di assistenza sociale verrebbe vulnerato in un suo ingranaggio decisivo.
ABROGAZIONE DELLE TRATTENUTE SINDACALI. Si sostiene di voler abolire il prelievo automatico delle trattenute sindacali sulle quote associative sui trattamenti pensionistici erogati dall'Inps e dall'Inail. In realtà, non si incide sulle quote sindacali dei pensionati; bensì su quelle dei lavoratori attivi. Difatti, il referendum richiede l'abrogazione della legge n. 311 del 1973 che riguarda i lavoratori in attività; la legge che interessa, invece, i pensionati è la n. 485 del 1972. Va, ancora, specificato che, dopo il referendum del 1995, la legge n. 311 del 1973 ha perso completamente di efficacia, essendo il sistema delle trattenute passato alla regolazione dei contratti collettivi nazionali. Il referendum, proprio per gli "infortuni normativi" che lo caratterizzano, rivela apertamente tutta la sua carica antisindacale. Che il sindacato abbia da ricostruire il suo rapporto con i lavoratori e la società, in quest'epoca di profondi cambiamenti, è un fatto; un altro è quello di volerne azzerare la presenza sociale per via legislativa.
3) I profili di costituzionalità dei referendum, dove non appaiono chiaramente illegittimi, sono perlomeno dubbi. In materia, sono stati prodotti interventi puntuali e rigorosi, a cui rinviamo (1). Ci interessa, in questa sede, metterne in luce il carattere politico-culturale.
Abbiamo esordito, definendo "rozza" la variante neoliberista entro il cui alveo si inseriscono i referendum dei radicali.
Rozza, per una molteplicità di motivazioni:
perché i referendum tentano di ottenere per "via extraparlamentare" ciò che, in cifra soft, si va progressivamente affermando nelle democrazie occidentali avanzate per via parlamentare;
perché estremizzano le ragioni e le regioni del conflitto sociale, sottraendolo ai suoi ambiti e alle sue condotte di espressione e regolazione democratica;
perché polarizzano gli schieramenti politici su due fronti contrapposti, quando, invece, il neoliberismo squarcia trasversalmente l'intero sistema politico italiano;
perché il trionfo degli interessi più forti conduce inesorabilmente al restringimento delle libertà individuali, tra le quali rientrano anche quelli di proprietà e di commercio, tanto care all'ideologia neoliberista (già Mosca, Ferrero e Pareto, per rimanere alla scienza politica italiana di ispirazione liberale, si collocano oltre questo angusto orizzonte);
perché il neodarwinismo sociale che li ispira conduce all'insediamento di istituzioni dispotiche e liberticide e alla proliferazione di agenzie private illiberali;
perché, più che essere tratto distintivo dell'"antistatualismo liberale", costituiscono una modalità espressiva dell'"elitismo oligarchico" che ha sempre nutrito sommo disprezzo sia per i "diritti universali" che per i "diritti delle differenze";
perché scompaginano e scardinano le condotte e gli istituti della coesione sociale, promuovendo un "ordine sociale" dove vigono caos ed imperio del potente, in luogo delle tanto agognate libertà ed equità della tradizione liberale.
Più che liberali, i referendum dei radicali sono liberticidi. Un teorico liberale delle "origini" come Adam Smith e i rifondatori novecenteschi del pensiero liberale (Menger, Hayek, Mises, Rothbard, Kirzner, Buchanan, Rawls ecc.) inorridirebbero.
Significativo, inoltre, un autorevole commento di parte liberale che, pure, non disdegna la sostanza del programma radicale: "sela politica ha ancora un senso, un programma liberale e liberista dovrebbe essere sottoposto agli elettori e attuato dopo una vittoria legittimato dal voto"; non già "attraverso lo strumento dell'abrogazione, cioè utilizzando l'alternativa secca Sì-No" (2).
Il programma Pannella-Bonino è in perfetta sintonia con le posizioni del mondo imprenditoriale, perseguendone i medesimi obiettivi strategici:
libertà di licenziamento;
soppressione di tutti i vincoli giuridici che normano l'uso della forza-lavoro;
liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro.
La differenza tra il programma dei radicali e quello imprenditoriale sta, appunto, nella "rozzezza": il primo pretende di inverarsi, senza alcun impiego della mediazione della politica; il secondo, invece, prevede espressamente l'attivazione della cooperazione politico-parlamentare e il ricorso agli istituti della regolazione sociale.
Proprio in ragione di questa "rozzezza" di fondo, il programma dei radicali presenta alcune controfattualità di fondo, la più importante delle quali sembra essere quella di ricompattare il fronte di sinistra e di centro-sinistra che, altrimenti, avrebbe ceduto, su più punti, alle sirene neoliberiste.
In questo senso, la scelta della Confindustria di appoggiare i referendum potrebbe rivelarsi un boomerang terribile: rafforzamento delle controparti politiche e sociali, con successiva debolezza al tavolo della negoziazione e dello scambio politico.
Per le sinistre politiche e sociali, la mobilitazione per il NO potrebbe essere una delle ultime spiagge:
per rimeditare a fondo sulle opzioni strategiche compiute in quest'ultimo decennio, in forza delle quali sono state sospinte nel collo di bottiglia del neoliberismo o del marginalismo culturale;
per porre fine ad antiche e improponibili contrapposizioni, lavorando a nuove intese, a nuovi codici politici e a più avanzate e proficue differenziazioni culturali.
(Gennaio 2000)
Note
(1) Per un'ampia e convincente analisi critica dei referendum radicali, da questo particolare angolo di osservazione, cfr. i materiali presenti in rete nel sito del "Comitato per le libertà e i diritti sociali", costituito il 2 dicembre 1999 (http://www.freeweb.org/associazioni/comitato-diritti-soc). Per una serrata ricognizione critica di insieme, cfr. L. Ferrajoli, Dieci attentati alla costituzione, "il manifesto", 9 gennaio 2000. Interessante anche la ricerca di "Ares 2000", Tutte le cifre dei referendum: lavoro, salute, previdenza: per informazioni, scrivere a ARES2000@libero.it.
(2) Così E. Berselli, I referendum, provocazione per le riforme, "Il Sole-24 Ore", 29 luglio 1999.