13. IMPRONTE DI DECADIMENTO

 

1) La proposta del 17 novembre da parte del sottosegretario agli interni Massimo Brutti di prendere le impronte digitali a tutti gli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno (ergo: anche agli immigrati regolari) può essere assunta come uno dei simboli più espressivi dei processi di decadimento e deriva che hanno afferrato le culture politiche di sinistra dominanti in Italia. Processi che nell'ultimo decennio (periodo in cui nel nostro paese, peraltro, la sinistra è stata quasi ininterrottamente al governo) vanno rivelando profili sempre più inquietanti.

In un vortice di destrutturazione implosiva non sono sospinti soltanto i valori fondativi della sinistra, ma anche gli elementi minimi delle culture liberaldemocratiche. I fondamenti culturali delle sinistre e quelli liberaldemocratici sono da ridiscutere e rielaborare; ma non, certo, per azzerare diritti e garanzie e ripristinare antiche e nuove ossessioni statocentriche.

La proposta del sottosegretario muove dall'assunto che occorre tracciare una netta linea di demarcazione tra "l'immigrazione regolare" e "immigrazione irregolare, per poter "governare" la prima ed "espellere" la seconda (1). Qui "governare" significa "regolarizzare", per evadere con equità la domanda di regolarizzazione che proviene dal mondo dell'immigrazione. Così, scoraggiando e sanzionando la scelta della clandestinità. "Governare l'immigrazione" significa anche — per il sottosegretario — impedire che le nuove mafie "mettano radici nel mondo dell'immigrazione".

La rilevazione delle impronte digitali di tutti gli immigrati risolverebbe alla radice i problemi, consentendo la distinzione dei regolari dagli irregolari, l'incoraggiamento dei comportamenti conformi a legge e la sanzione espulsiva della clandestinità. Si costruirebbe, in questo modo, una banca dati ad accesso limitato (agli organi di polizia) con aggiornamenti periodici. Ciò — secondo le posizioni del sottosegretario — dovrebbe garantire la sicurezza di tutti i cittadini e degli stessi immigrati.

Inoltre, l'archivio delle impronte digitali — per il sottosegretario — vanificherebbe anche il fenomeno dello scambio di identità tra immigrati. La certezza dell'identità, attraverso la rilevazione delle impronte, si tradurrebbe, così, in certezza di garanzie, perché — afferma il sottosegretario — "le persone senza identità non hanno diritti".

Il problema assume una particolare rilevanza simbolica, perché — come non nasconde il sottosegretario — in ballo è il controllo identitario di comunità straniere: "Insomma, poniamoci questa domanda: riteniamo che sia utile oppure no un controllo certo dell'identità di appartenenti a comunità straniere che sono sul territorio italiano? Credo di sì".

Che, poi, la stessa proposta fosse stata fatta anni prima dalla Lega Nord (contenente, in sovrappiù, l'estensione della rilevazione ai piedi) non pare preoccupare il sottosegretario. Anzi, le due proposte — per il sottosegretario — sono incommensurabili: "Quella [della Lega] era una proposta buttata lì, senza costrutto e soprattutto in un contesto offensivo. Nulla a che vedere con il fatto che io mi ponga il problema di prevedere un sistema di controllo con garanzie e contrappesi. Noi possiamo minare questo fronte xenofobo e dimostrare che i loro argomenti sono propagandistici solo facendo funzionare meglio le cose. Fino a quando ci saranno anche pochi immigrati, ne sono convinto, che delinquono a causa di forme di controllo deboli avremo un fianco scoperto. Dobbiamo venire incontro alle preoccupazioni dei cittadini sforzandoci di rendere ragionevole la domanda di sicurezza senza cedere alla demagogia e alle paure ingenerate anche strumentalmente. La percezione dell'insicurezza c'è: loro ci speculano sopra, noi dobbiamo dare risposte a quella parte di problemi concreti che ci stanno sotto".

Il sottosegretario mostra di non sapersi dare ragione delle critiche inoltrate all'esercizio di questo tipo di controllo sugli immigrati: "... cos'hanno da temere? Quale libertà si comprime o si lede? Onestamente non capisco dove vadano a parare queste preoccupazioni. Io credo che l'immagine degli immigrati diventerebbe l'immagine di persone che sono sottoposte a regole rigorose che devono rispettare per essere rispettati".

La nota più amara e, insieme, kafkiana sta proprio nel fatto che questa incomprensione venga espressa da un esponente autorevole del maggiore partito di governo che è, insieme, il maggiore partito della sinistra italiana, il cui responsabile alla giustizia non solo difende la proposta Brutti, ma la estende, addirittura, a tutti gli italiani (2).

Le culture e le politiche della gran parte delle forze della sinistra italiana vanno precipitando giù per un piano inclinato, di cui si è ben lontani dall'intravvedere il termine ultimo.

 

2) Non ci occuperemo del portato di efficacia e congruenza della proposta di Brutti che sorvola su una serie di circostanze che qui ci limiteremo ad enunciare:

a) la rilevazione delle impronte degli immigrati è una pratica di polizia, ormai, consolidata nel nostro paese;

b) sulla base di rilevamenti comunitari, si può tranquillamente escludere che in Italia esista un "problema sicurezza" che resta, invece, un puro evento mediatico, prodotto anche per il conseguimento di fini politico-elettoralistici;

c) su base empirica, se non facendo propri codici culturali xenofobi, non può porsi l'equazione immigrazione irregolare=criminalità;

d) la rilevazione delle impronte digitali estesa a tutti coloro che inoltrano richiesta di soggiorno è peggiorativa nei confronti della già restrittiva convenzione Eurodac (3).

Piuttosto, è intorno al versante più propriamente simbolico della proposta che intendiamo articolare alcune rapide riflessioni.

V'è un'illusione che a sinistra ridonda: quella di ridurre i problemi politici e culturali a pura espressione simbolica, per poterne, poi, rivendicare con forza il "governo" e, quindi, incamerarne i "ritorni politici" e di immagine. Ciò è particolarmente vero sui temi della sicurezza e della immigrazione che, per loro natura, vantano un alto grado di esposizione simbolica.

Collegata a questa illusione, sempre a sinistra, v'è la profonda interiorizzazione di codici comunitaristi, in forza di cui l'alterità etnica viene affrontata o con la risposta dell'assimilazione oppure con le strategie del controllo indiscriminato.

La proposta della rilevazione delle impronte digitali, in questo senso, è illuminante. La "comunità civile", per bocca dell'esecutivo, di buona parte delle forze di governo e di tutta l'opposizione di centro-destra, tende ad assumere i tratti intolleranti della "comunità organica" che in tema di immigrazione:

a) include per pure ragioni di profittabilità economica;

b) esclude su tutti i piani culturali e politici.

I fascismi etnici e i populismi comunitaristi, oggi dilaganti in tutta Europa, non sono affrontabili con questi strumenti. Anzi, questo, è esattamente il loro terreno. Democrazia, diritti e garanzie diventano un optional, la cui applicazione è affidata alla discrezionalità (varia e mutevole) dei soggetti e degli organi del potere.

La rilevazione delle impronte digitali, proprio per il suo elevato valore simbolico, sottomette totalmente alla discrezionalità del potere: espone un essere umano nella sua completa nudità, non per sua libera scelta, ma costringendovelo. Inoltre, è un onnivoro strumento di catalogazione e, insieme, di costruzione e rappresentazione dello stigma sociale. Il che rende più agevole lo scatenamento e l'orientamento, per fini politici, di campagne mediatiche contro soggetti e comunità ben individuati e ben sottoposti al controllo invasivo delle istituzioni.

Pretendere di avere controllo totale sulle comunità dell'immigrazione è attentare alla identità umana, in senso lato e generale: gli umani considerati come specie del vivente, prima ancora che come agglomerato di differenze irriducibili, eppur comunicanti. L'umano come specie del vivente non può essere ridotto al rango di oggetto digitale e archivio digitalizzato. Non lo può, ancora di più, l'umanità sofferente delle differenze dell'immigrazione.

(novembre 2000)

Note

(1) Le posizioni del sottosegretario sono assai bene espresse in L'impronta della sinistra (intervista di L. Quagliata), "il manifesto", 19 novembre 2000. In seguito, nel dare conto delle posizioni del sottosegretario, ci riferiremo sempre a questa intervista

(2) Cfr. A. Colombo, "E allora noi schediamo tutti", "il manifesto", 19 novembre 2000.

(3) Eppure, nella intervista innanzi citata, il sottosegreatrio diessino si richiama espressamente a questa Convenzione. Eurodac sarà firmata alla fine di novembre, a Bruxelles, dai ministri della giustizia e degli interni dei 15 governi della Ue, nel corso della riunione del Gai (Gruppo Affari Interni). Essa prevede il rilevamento delle impronte digitali: a) di coloro che richiedono asilo; b) degli immigrati che attraversano clandestinamente le frontiere della Ue. Diversamente dalla "proposta Brutti", agli immigrati che hanno fatto richiesta di soggiorno e risultano in regola, dunque, non verrà rilevata alcuna impronta.

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