un autentico saggio letterario ...

Gli autori e le loro opere hanno una primaria importanza nel panorama teatrale tra la fine dell'800 e l'inizio del 1900, ma assumono talvolta l'aspetto di elementi “esterni” in quanto, pur essendo legati alla scena, appartengono anche alla letteratura scritta, spesso anzi sono troppo legati a questa e troppo poco al teatro.

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Nel secondo 1800 non esiste un evidente divario tra letteratura e teatro (se non che il secondo segue nelle novità, come sempre, la prima). Per la scena scrivono narratori e poeti, da Capuana a Fogazzaro, a Di Giacomo, mentre commediografi, come Giacosa o Torelli, pubblicano versi e novelle. Tali sconfinamenti sono giustificati dalle numerose affinità di problemi e situazioni (1).

Nel 1878 sale al trono Umberto I° inaugurando un periodo che è stato definito l'età di compromessi ed errori politici, fallimenti, fratture internazionali (2)

Certamente, pur non volendo essere così drastici, questa fu un'epoca movimentata da ogni genere di esperienze, dalle avventure coloniali ai profondi mutamenti economici (3). Il positivismo rinnovava la cultura italiana, e si presentava come un correttore dello scolorito idealismo degli anni ‘60 per la sua scrupolosa attenzione alla realtà sociale e naturale. Dal punto di vista teatrale questa posizione equivaleva al rifiuto della drammaturgia convenzionale evasiva, per un ritratto obiettivo della vita quotidiana.

E NEL FRAMMEZZO IL TEATRO IN ITALIA ANDAVA PER LA SUA STRADA, 

E CAMMIN FACENDO ......

Impacciato dalla tradizione e poco al passo coi tempi, il teatro in versi sopravvive nelle opere ancora rappresentate di Pietro Cossa e Felice Cavallotti (4). La tragedia manzoniana, invece, pur essendo rispettata è rappresentata molto raramente, in quanto poco teatrale e troppo religiosamente severa. La preferenza del pubblico è rivolta decisamente alla commedia per i suoi più immediati legami con la realtà della vita.

In questo campo, il napoletano Achille Torelli aveva felicemente stupito critici e platee per l'ambientazione della sua commedia I mariti, rappresentata nel 1867 dalla compagnia Bellotti-Bon (5).

Discreta fortuna aveva avuto anche il modenese Paolo Ferrari, dalla cui produzione eterogenea risaltavano soprattutto le cosiddette commedie a tesi: Il duello (1868), Il ridicolo (1873). La maggior parte delle sue opere era condotta con un notevole senso teatrale, che gli fece acquistare una nutrita schiera di imitatori.

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Achille Torelli

 Il 14 gennaio 1884 è una data che riveste una certa importanza nella storia teatrale di fine secolo. Si rappresenta infatti a Torino Cavalleria rusticana di Giovanni Verga lavoro tratto, come gran parte delle opere teatrali successive, dalle sue novelle. Perfino coloro che avevano ammirato Verga scrittore si dimostrano scettici sulla possibilità che il pubblico arrivi a comprendere la sua "nudità" e il metodo “impersonale”.

Il lavoro ha invece successo nonostante le violente polemiche scoppiate nei teatri e sui giornali (6). L'attitudine drammatica che Verga dimostra nelle sue rare comparse sulla scena con drammi, bozzetti brevi, scene popolari (La lupa, Caccia al lupo, In portineria, Dal tuo al mio), si perde nelle opere minori dove si rivela, invece, il contrasto tra il realismo della vicenda e un linguaggio modellato sulle convenzioni del teatro borghese di ispirazione francese, o sul bozzettismo di maniera.

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Giuseppe Verga

Anche se il verismo è l'ideologia più apprezzata di fine ‘800, il teatro di questo periodo ha poco da spartire con le opere più caratteristiche di Verga (Cavalleria, La Lupa) e con la sua atmosfera spirituale di tragedia (7).

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Emile Augier

Molto apprezzati sono Emile Augier e Dumas figlio per la loro rappresentazione benevola e blandamente critica della società borghese. Allora in Italia non esisteva una seria tradizione teatrale impostata su un repertorio che rispecchiasse il nostro costume di vita, ma si attingeva più volentieri, secondo le esigenze del pubblico distratto e incolto, al repertorio francese brillante o a quello italiano che lo imitasse" (8).

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Alessandro Dumas (figlio)

Luigi Capuana, nonostante la sua posizione di agguerrito teorico del verismo, non riesce a produrre un lavoro di rilievo.

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Luigi Capuana

L'opera che meglio risponde alle esigenze veriste della platea italiana la scrive invece Giuseppe Giacosa nel 1887: Tristi amori. Questa atmosfera di incertezza, nella quale si delinea la dissoluzione del mondo piccolo-borghese laborioso e onesto, è confermata nell'atto unico I diritti dell'anima (1894), in cui ai può rilevare anche un timido accostamento ai drammi ibseniani.

Giacosa diventa uno degli autori più apprezzati dal pubblico borghese, che affollava i teatri, per la serietà del suo lavoro, per la predilezione nel descrivere le aspirazioni del ceto medio di cui mostra anche le inquietudini e gli aspetti negativi.

Un articolo del commediografo, uscito alla vigilia della prima di Cavalleria rusticana, esemplifica chiaramente questa mentalità borghese che vedeva solo nella resa veridica del proprio mondo sociale il traguardo più difficile e ambizioso per un autore di teatro (9). In questo articolo egli rimproverava a Verga di aver scelto la via più facile descrivendo un ambiente rusticano, dato che più semplici erano i meccanismi che muovevano tale vita.

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Giuseppe Giacosa

Un altro autore che gode le preferenze del pubblico è Gerolamo Rovetta, romanziere e drammaturgo. Nei suoi drammi ritrae pessimisticamente la società milanese del post-Risorgimento, rivelandosene però un superficiale osservatore.

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Marco Praga e Girolamo Rovetta

Tra i promotori del verismo in Italia vi è Marco Praga che, come Rovetta, descrive la società milanese della quale critica aspra mente le contraddizioni, pur avendone accettata la morale.

E' uno dei più decisi negatori della poesia a teatro, ma quell'impassibilità che vuole applicare alle vicende narrate, in accordo ai canoni veristici, è annullata da un fondo moralistico che lo coinvolge nell'azione.

La vita per lui costituisce un'atroce delusione, ed è vista attraverso quella che ai suoi occhi assume il carattere della più significativa “tragedia umana”: l’adulterio (10). Solo ne La moglie ideale (1890) questa "colpa" si tinge di ironia.

Negli ultimi drammi (Ondina. La crisi, La porta chiusa) supera i limiti della commedia borghese,  arricchendo, psicologicamente i suoi personaggi sotto la diretta influenza delle opere di Ibsen e di Roberto Bracco. Decisamente più importante la sua attività di critico teatrale e soprattutto presso la Società Italiana degli Autori ed Editori, di cui fu uno degli organizzatori.

Si possono citare anche Camillo Antona Traversi, che rappresenta con ironia la società aristocratica ed elegante, e Federico De Roberto, più noto come romanziere. Non si può dimenticare invece, anche volendo dare un quadro sintetico della situazione teatrale in Italia, che alla fine del secolo prendono vigore i teatri dialettali, quasi a voler riconfermare nel l'Italia unita la dignità regionale. Alcuni autori dialettali come Vittorio Bersezio, Carlo Bertolazzi e Giacinto Gallina, escono dai confini della loro regione per conquistare una posizione nel teatro nazionale.

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Giacinto Gallina,

"Zente refada", 

ed  Treves

Emilio Zago, 

"I rusteghi" di Carlo Goldoni

Ermete Novelli come Capocomico Tromboni, " Il Ratto delle sabine "di Schoentan

Carlo Micheluzzi, il Nobilomo Vidal, "Serenissima" di Giacinto Gallina

Nel primo ‘900 la politica di Giovanni Giolitti, pur tra tanti contrasti, assicura un decennio di relativo benessere e stabilità economica.

Nonostante il nuovo secolo nascesse “mistico e irrazionalista” (11), in questi anni operano le stesse tendenze rilevabili alla fine dell’800. La frattura tra i due secoli si verificherà solo con la Prima Guerra Mondiale,

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Al teatro verista sono ancora legati gli esordi del napoletano Roberto Bracco, uno dei pochi drammaturghi italiani di allora il cui nome venga conosciuto anche oltralpe. Scrive commedie di modello francese, ironiche e sentimentali (Infedele, Il perfetto amore), atti unici (Don Pietro Caruso), e riesce poi a superare il realismo psicologico con opere che presuppongono la conoscenza di autori come Ibsen (12) e Gerhart Hauptmann, ma le sue ambizione te si non garantiscono la teatralità e il successo delle opere. Applaudito fu il Piccolo Santo (scritto nel 1909), visto come una anticipazione di quello che sarà il “teatro del silenzio” in Europa (13).

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Enrico Annibale Butti, autore di teatro e romanziere più noto per i suoi drammi che per le opere letterarie, tenta la stessa strada, ma non è dotato di una grande personalità che gli assicuri un successo di pubblico. I soggetti dei suoi lavori si rifanno al la problematica ibseniana, ma i suoi personaggi, a differenza di quelli di Ibsen, mancano di volontà, sono dei vinti sin dall’inizio (Vortice, La corsa al piacere, Fiamme nell'ombra).

Con Butti e Bracco il teatro verista si è esaurito. Indici del mutare degli interessi e dei gusti è il numero di personalità minori e di mestieranti che, sapendo come piacere al pubblico, dosano con esperienza convenzioni e novità: Ettore Moschino, Domenico Tumiati, Dario Niccodemi e Sabatino Lopez.

Roberto Bracco

 

 

Eleonora Duse

come Nora

 in "Casa di

 Bambola" di

 Henrik Ibsen

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La letteratura teatrale a cavallo dei due secoli, formatasi sotto l'influenza del teatro polemico e didattico francese, viene sconvolta da due energie turbatrici: l'ibsenismo, "folgorante scoperta di virtù simboliche”, e il dannunzianesimo (14).  

Gabriele D'Annunzio, che a questa data mantiene una posizione di primo piano come “maestro di comportamento” e come “poeta vate”, si dedica al teatro nella stessa misura con cui procede nell'attività letteraria.

Egli vuole riaprire la scena italiana alla grande tragedia e sostituire al linguaggio quotidiano uno ricercatamente lirico che sia in grado di evocare un mondo arcaico di passioni e sentimenti. Nei momenti di minore ispirazione l'artificiosità del linguaggio finisce col soffocare l'azione, trasformando i drammi in declamazioni oratorie, ma anche dove questo succede è evidente la forza della sua personalità capace di combattere efficacemente il gusto fotografico di imitazione francese.  

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Per ogni lavoro dannunziano (La città morta, La GiocondaFrancesca da Rimini, La figlia di Jorio, La Nave,  vi sarebbe un lungo di scorso da fare sulle polemiche e sugli alterni successi che lì circondano, certo è che quasi nessuna delle sue opere è passata inosservata alla critica e al pubblico (45).  

Al principio del secolo vi furono autori che, in seguito al grande successo della Francesca da Rimini pensarono di aver trovato il filone dell'arte e della poesia saturando il mercato con drammi in costume: da Enrico Corradini a Vincenzo Morello (16)

Altri commediografi, sordi a ogni possibile rinnovamento, trovano ancora pubblico coi loro quadretti borghesi di vita regionale. Esistono tuttavia delle eccezioni, come il veronese Renato Simoni, apprezzato critico teatrale, che cerca di scuotere il pubblico coi temi inconsueti delle sue commedie, tra le quali sono: La Vedova (1906) e Tramonto (1914).  

 

Eleonora Duse: Francesca da Rimini (1902)

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Per completare questo breve panorama, non si può ignorare la presenza sulle scene di due movimenti come il Futurismo e i Crepuscolari. 

Di teatro si occupa Filippo Tommaso Marinetti, fondatore e animatore del Futurismo (Le Roi Bombance, Il tamburo di fuoco), ed Enrico Prampolini che opera soprattutto nel campo della scenografia.

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Sem Benelli Enrico Prampolini F.T.Marinetti Sem Benelli

Il Crepuscolarismo, invece, si trova più a suo agio nel regno della lirica che in quello chiassoso del teatro. Più che di autori crepuscolari (Fausto Mario Martini, Ercole Luigi Morselli) si dovrebbe parlare di singoli lavori: infatti, l'opera più rappresentativa di questo indirizzo è considerata Tignola (1908) di Sem Benelli, che è anche l'autore di alcuni drammoni storici (La maschera di Bruto, La cena delle beffe).  

Cronologicamente, anche Luigi Pirandello dovrebbe essere compreso in questo panorama. 

Già nel 1898 aveva pubblicato La Morsa, atto unico ridotto da una sua novella, e altri drammi saranno poi scritti e recitati prima della guerra (17).

Le sue opere teatrali, però, vengono accolte per lo più con freddo rispetto, poichè le problematiche non appartengono alla sensibilità ancora ottocentesca del primo 1900. Solo dopo la tragedia del la guerra ci sarà un pubblico in grado di apprezzarne il lavoro, quando cioè “l'umanità sentì espresso nell'opera di Pirandello lo sgomento, lo sfacelo spirituale in cui si dibatteva” (18).  

Luigi Pirandello

Le condizioni della scena italiana, alla fine dell'800, sono ancora legate al nomadismo degli attori che viene considerato come un male inevitabile, vi è però la consapevolezza diffusa di quanto maggior decoro verrebbe assicurato da una sede stabile. Nella prima metà dell'800, alcuni governi sostennero, anche se non proprio per amore dell'arte, la formazione di compagnie (19), nella seconda, invece, anche dopo l'avvio del novello Stato Italiano, vi è un manifesto disinteresse per l'organizzazione della vita teatrale, e un completo affidamento di questa all’iniziativa di privati (20).  

A cavallo tra 1800 e 1900, le precarie condizioni teatrali (21) suscitano allarmi che, pur essendo circoscritti a gruppi di intellettuali, conducono ad alcuni tentativi di costituire stabili teatri d'arte: a Torino nel 1898 per l'iniziativa del critico Domenico Lanza, dello scultore Leonardo Bistolfi e del costumista-scenografo Luigi Sapelli (meglio noto,sotto lo pseudonimo di “Caramba”); a Roma nel 1905 il critico Edoardo Boutet con Ferruccio Garavaglia, sempre a Roma l'attore Ermete Novelli e la sua “Casa di Goldoni” (1900); a Milano, dove Marco Praga rileva nel 1913 la compagnia Di Lorenzo-Falconi.  

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Manifesto 

della compagnia Galli, Guasti, Ciarli, Bracci (1912)

Tali compagnie hanno una vita corta e travagliata, non solo per gli scarsi finanziamenti e i mezzi inadeguati a loro disposizione, ma soprattutto per le scarse concessioni al gusto corrente in fatto di repertorio, attori e scenografia. Si tratta di esperienze troppo nuove per il pubblico dì allora.

La parte del leone la fanno, sempre le compagnie di tipo tradizionale, quelle legate alla figura di un grande attore. In queste compagnie due erano i tipi di contratto che vincolavano i componenti.generalmente per la durata di tre anni: quello capocomicale in cui il capocomico, che poteva essere insieme direttore artistico e primo attore, era responsabile unico della gestione (compagnie Novelli, Duse, Salvini, Rossi); e la compagnia sociale in cui i soci si dividevano in proporzioni stabilite le spese e gli utili e che, essendo spesso formate da attori con ruoli di primaria, importanza e soci a tutti gli effetti, avevano il nome “in ditta”. Famose in questo periodo quelle dirette da Virgilio Talli (22): la Talli-Gramatica-Calabresi, e la Talli-Melato-Betrone-Giovanni.  

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Emile Zola

Trionfa ancora l'ammirazione per l’interprete individuale. Spesso l'attore è un creatore più che un interprete, non si spiegherebbe altrimenti come Emile Zola abbia potuto salutare l'esordio del positivismo in Italia ne La morte civile di Paolo Giacometti (lacrimoso melodramma in endecasillabi sciolti), se non attribuendone il merito allo Zacconi, che fece della morte per stricnina del protagonista un suo cavallo di battaglia (23).  

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Ermete Zacconi

Gli attori si lamentano per la debolezza del repertorio nazionale, rispetto al gusto del pubblico (fattore insopprimibile per la sopravvivenza delle compagnie), e della teatralità delle rappresentazioni, ricorrendo di preferenza al teatro francese e alle sue imitazioni. Eppure proprio in questo periodo la collaborazione autore - attore si fa più stretta, ad esempio il rapporto D'Annunzio ­ Duse è uno dei casi più famosi.  

In genere le compagnie hanno un repertorio eclettico che spazia dalla tragedia alla farsa, specializzandosi talvolta in un genere piuttosto che in un altro. Questo è soprattutto vero per quanto riguarda i grandi attori: raramente un artista di fama osa riproporre un lavoro che ha reso famoso un collega, i confronti non sono mai graditi (24).

Inoltre, la non grande affluenza del pubblico,eccettuato per eventi straordinari, costringe gli artisti a rinnovare frequentemente il programma dato che, anche nelle città di maggior giro (Bologna, Napoli, Milano, Torino), le repliche di uno stesso lavoro erano poche.  

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Kostantin Stanislavskij 

("Il malato immaginario") 

Mentre il teatro italiano resta legato ad abitudini ormai radicate, fuori d'Italia fervono importanti iniziative destinate a rinnovare il mondo teatrale: si cominciano a fare i nomi di perso ne che appartengono a categorie sconosciute o che erano state poco apprezzate fino ad allora, sono registi e scenografi quali Adolphe Appia, Gordon Craig (25), Stanislawskij, ... (26)

In Italia scenografi e costumisti (la figura del regista è pressochè sconosciuta) hanno un'importanza secondaria e raramente vengono portati agli onori delle cronache, a meno che non possiedano la personalità di Craig (che lavora a Firenze), o la multiforme attività di Prampolini o Sapelli. 

L’Attore è una personalità sacra: la media borghesia italiana, lontana dall'accorgersi delle manchevolezze della nostra vita teatrale, inorgogliva ai successi strepitosi dei nostri grandi attori, e, sul la retorica formatasi intorno alla Duse e a Novelli, alla Di Lorenzo e a Zacconi, costruiva una falsa coscienza di gloria nazionale in questo campo" (27).

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Edward Gordon Craig 

("I Vichinghi")

La capacità di rinnovamento degli attori è limitata dalle circostanze. Restano legati a vecchi schemi declamatori oppure a un naturalismo di facile successo, tale realismo può essere però di altissimo livello come in Ermete Zacconi, artista cui spetta il merito di aver introdotto in Italia opere straniere di grandissimo valore. 

Lo stesso merito spetta a Eleonora Duse che, pur partendo da un repertorio verista, approda alla riva opposta cercando, attraverso una serie interminabile dì esperimenti, “una spiritualità che riscattasse il teatro da ogni limite materiale” (28)

Si potrebbero fare anche i nomi di Adelaide Ristori, che Silvio D'Amico definisce "la classica attrice-dama", o di Giovanni Emanuel, ammirato interprete shakespeariano e dei classici in genere, ma aver nominato Zacconi e la Duse mostra già quali vie seguano gli attori: la rappresentazione veristica o l'intuizione di verità oltre il semplice testo scritto.  

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Ermete Zacconi Eleonora Duse Adelaide Ristori Giovanni Emanuel

L'arco di tempo che intercorre tra l'unificazione e la Prima Guerra Mondiale è un periodo di trasformazione sociale e con essa della vita teatrale: le stesse opere di Henrik Ibsen, il modo con cui vengono accettate, comprese o non comprese (29), possono essere guardate come un termometro della nuova sensibilità che si sta formando e che coinvolge insieme autori, attori e pubblico.  

 

Qui sotto le doverose note .........

 

1)   Cattaneo, Giulio, Prosatori e critici dalla scapigliatura al verismo. Il teatro, in: Storia della 

       letteratura italiana,  vol. 8°, Milano, Garzanti, 1969, p.385.

2)    Pullini, Giorgio, Teatro italiano fra due secoli, Firenze, Parenti, 1958, p.94.

3)    Pullini nota inoltre come in questo clima di intensi avvicendamenti, nella letteratura e nel teatro si rifletta “non tanto un fallimento generale, quanto la crisi di una piccola borghesia, travolta da forze più grandi di lei o incapace di far fronte a­ gli impegni, alle lusinghe, alla fatica di un meccanismo ormai lanciato …” (Pullini, G., Ibid ., p.131).

4)    In particolare Pietro Cossa ha “successo”. Pietro Coccoluto Ferrigni (Yorick), critico con un discreto seguito dì lettori, loda il Cossa per il modo con cui in Nerone mostra la figura dell’imperatore quale effettivamente era negli ultimi anni della sua scellerata vita" (Sanesi, Ireneo, La Commedia, vol. 2°, Milano, Vallardi, p.603)

5)    Lo stesso Capuana, critico della "Nazione", abbandona l'abituale riserbo evidenziando quell’impostazione borghese che aveva inutilmente cercato nel teatro di allora, sommerso nei soggetti romantico e medievali e nel patriottismo malinteso. (Cattaneo, G., op.cit., p.387)

6)    Il merito di questo successo è dovuto in gran parte all'abilità dei componenti della compagnia di Cesare Rossi: Eleonora Duse, Flavio Andò, Teobaldo Cecchi, rispettivamente Santuzza, Turiddu, Alfio. (D’Amico, Silvio, Storia del teatro, vol. 3°, Milano, Garzanti, p.693).

7)    “Il verismo vero e proprio, anche in campo teatrale, si è manifestato soprattutto nell'Italia meridionale e insulare”, sia per i canoni estetici che per l'impulso di più arretrate condizioni generali. (Pullini, G., op.cit., p.131).

8)    Pullini, G., Ibid, pp.93-94.

9)    Cattaneo, G., op.cit., pp.389‑90­.

10)  D’Amico, S., op.cit., vol. 3°, p.284.

11)   Il primo abbozzo dell'Estetica di Benedetto Croce risale infat­ti al 1900. Nel 1903 Giuseppe  gentile comincia, all'Università di Napoli, le sue lezioni sulla “rinascita dell'idealismo”, e  dello stesso periodo sono le ultime opere del Fogazzaro e del Pascoli, mentre il realismo di Verga ottiene freddi riconoscimenti  (Galletti, Alfredo, Il ‘900, In Storia letteraria d'Italia, Milano, Vallardi, 1951, p. 251).

12)  Bracco espresse la sua ammirazione per il norvegese in un discorso commemorativo nel 1906: “L’Ibsen fu il sublime poeta che nella seconda metà del secolo XIX°, sacro alle più ardenti ambizioni dell'anima umana, avvicinò a quest'anima libera e alata l’arte scenica, contrastandola vittoriosamente alla tirannia del commercio teatrale e alla cupidigia della intellettualità mediocre" (Galletti, A., Ibid., p. 499).

13)  L'opera, portata al successo prima da Ferruccio Garavaglia, poi da Ruggero Ruggeri, costituisce appunto un primo saggio di quel teatro dell'inespresso che verrà circa quindici anni dopo in Francia. “Il Bracco ha precorso, in quest'opera, non solo Jean Jaques Bernard ma Freud, mettendo in scena il dramma del sub-cosciente” (D'Amico, S., op.cit., vol. 40, p.166).

14)  Baretti, Emilio, La critica teatrale italiana alla fine dell'800, in "Rivista italiana del dramma, n.6, 1941, p. 311­

15)   Il teatro di D'Annunzio trovò una grande interprete in Eleonora Duse. 'L'attrice recitò: La città morta, La Gioconda, La Gloria, Francesca da Rimini, Il sogno di un mattino di primavera (Signorelli, Olga, Vita di Eleonora Duse, Bologna, Cappelli, i962, p.181).

16)  Vincenzo Morello è meglio noto come critico teatrale sotto lo pseudonimo di “Rastignac”.

17)   Oltre La Morsa, presentata nel 1910 dalia compagnia di Angelo  Musco, ci sono: Lumie ìn Sicilia (1916), Il dovere del medico (1913), La ragione degli altri, rappresentata col titolo Se non così (1915) (Alberto Sapini, Enrico Pirandello, in Enciclopedia dello Spettacolo, vol.8, col.161-62). 18) D'Amico, Silvio, op.cit., vol. 30, p.169.

19)  Mi riferisco alle compagnie stabili volute dai governi dei al­cuni degli stati che dividevano allora l'Italia, compagnie che erano famose per "il non comune livello medio degli attori e per l'accuratezza degli allestimenti”: la Compagnia Reale Sarda a Torino, la Compagnia Reale di Napoli e quella Ducale di Parma (Mangini, Nicola, Gustavo Modena e il teatro italiano del primo ottocento, estr. da Atti dell'Assemblea del 27 giugno 1965 della Deputazione di Storia Patria per le Venezie, pp.5-6).

20)  Anche una grande attrice come la Duse, che proprio dalla vita nomade aveva raccolto successi a non finire, sogna la creazione di un teatro stabile dannunziano nei pressi di Roma (D’Amico, S., op.cit., vol. 3°p.168)

21)  In questa crisi hanno un certo peso le varie “agenzie" che cercano di controllare il mercato delle assunzioni, e che a volto arrivano fino allo sfruttamento degli artisti (Bizzarri, Libero, mediazione, in Enciclopedia...cit., vol. 7, col.335. Squarzina, Luigi, compagnia, in Enciclopedia…cit., vol. 3°, vol. 1240)

22)  Squarzina, Luigi, compagnia, in Enciclopedia …cit., vol. 3°, vol. 1240)

23)  Cattaneo, G., op.cit., p.385­

24)  A questo proposito, secondo quanto scrive Olga Signorelli nella sua biografia della Duse (pp.36-37) sembra notevole il coraggio di questa attrice nell'affrontare la,Principessa di Bagdad, che apparteneva al repertorio di Sarah Bernhardt, nel 1881 dopo le recite dell’artista francese nello stesso teatro di Torino. Da studi recenti, tuttavia, risulta che questo esempio non è proponibile, in quanto “la celebre attrice francese venne in Italia per la prima volta  solo un anno dopo, tra gennaio e marzo del 1882 […]. La Duse, invece, […] aveva portato al successo la commedia di Dumas […] nel 1881. (Mangini, N., Drammaturgia e spettacolo tra Settecento e Ottocento, Padova, Liviana Editrice, 1979, p.121)

25)  Edward Gordon Craig, regista e teorico teatrale inglese, si fece notare in Italia nel 1906,  la sua ”sconvolgente" scenografia di Casa Rosmer (lbsen) a Firenze. La prima attrice era Eleonora Duse.

26)  In Italia resterà per lungo tempo inalterata l'importanza del binomio autore-attore soprattutto per il 

      prestigio che quest'ultimo gode presso le folle. Verrà accettata con difficoltà la tendenza moderna 

      che "riduce l'autonomia individuale dell'attore per definirla come un elemento costitutivo del più 

      vasto quadro dello spettacolo".  (Calendoli, Giovanni, L'Attore, Roma, edizioni dell'Ateneo, 

      1959, p.534).

27)  Pullini, G., op.cit., p. 511.

28)  Calendoli, G., op. cit., p. 94.

29)  Spesso per una compagnia rappresentare un autore nuovo era un adeguarsi alle novità più che una scelta consapevole. Achille Ponzi descrive, nel suo libro Dal buco del suggeritore, persone ed episodi veri della sua carriera di suggeritore facendo la cronaca di una fantomatica compagnia del 1900.  In occasione di una rappresentazione dell'Hedda Gabler di Ibsen, egli rileva come dato di fatto che, se la Duse proclamava di dovere molto a questo autore, il gran numero degli attori vi era assolutamente disadattato: “La Verrutti è niente, e Romualdo Volpi e i suoi compagni ridono recitando quel che non comprendono". (Ponzi, Achille, Dal buco del suggeritore, Bologna, Cappelli, 1927, p .89 )

Baldin superdott.ssa Anna, Henrik Ibsen sulle scene italiane: 1889-1924 (Università degli Studi di Venezia, Tesi di Laurea in Storia del Teatro, Anno Accademico 1980-81 - Cap.I°